di Claudio Nunziata. Intervengono Edgar Morin, Giorgio Celli e Claudio Nunziata - Sala Gramsci, lunedì 17 Settembre 2007 h 21.00
“Le magnifìche sorti e progressive” della storia sono oramai un mito. Morin ci avverte che non potrà esservi uno sviluppo lineare, che insieme ai fattori positivi si accentuano anche quelli negativi e che attraverso le reciproche interferenze di essi, della evoluzione scientifica e dei disastri ecologici ci potremo trovare di fronte a situazioni totalmente nuove. Il rimedio è attrezzarsi ad affrontare l’imprevisto.
Invita ad affrontare il futuro con l’entusiasmo dell’azione politica e con la forza del senso critico, in modo laico, libero da costruzioni fideistiche e da dogmi partitici al fine di ricercare il senso di una umanità condivisa.
Anche se in conseguenza di un auspicabile progresso economico e tecnologico nel prossimo futuro le risorse non fossero più concentrate in poche mani e in pochi paesi, molti segnali inducono comunque a dubitare che di pari passo si svilupperebbero anche i paradigmi fondamentali della cultura (solidarietà, tolleranza, democrazia, eguaglianza).
E se nel 2047 in un mondo, che sarà di fatto planetarizzato, vi saranno ancora situazioni di arretratezza insopportabile, allora vi saranno anche situazioni di approfittamento probabilmente accompagnate da dittature, guerre e ribellioni violente. Se non avverrà un rinnovamento diffuso a livello dei principi, non si riuscirà a contenere le tensioni sociali, e gli eventi tragici continueranno a far parte della storia dell’uomo. Bisognerà solo sperare che questi si sviluppino nei limiti delle istanze che li hanno generati e che i loro effetti non si espandano a livello globale. Ma ciò sarà possibile solo se i paesi ricchi non tenteranno ancora di sfruttare in modo predatorio e totalizzante le proprie posizioni egemoniche.
L’aumento esponenziale delle migrazioni e la conseguente compresenza sullo stesso territorio di persone con storie e culture diverse sono destinati a generare problemi di comunicazione e di incomprensione reciproca. Nelle società culturalmente evolute vengono messi a punto e probabilmente saranno affinati meccanismi per affrontare le tensioni sociali che ne conseguono, in una prospettiva di regolazione dei rapporti tra gli individui e gli individui e lo Stato volta a dare sempre maggiore rilievo all’azione politica, alla mediazione sociale ed alla cultura del diritto.
Ovviamente questi fattori non potranno svolgere un ruolo risolutivo, ma sono naturalmente destinati ad attutire gli effetti traumatici di tutti gli altri che incidono sul cambiamento. E questa funzione di abbassamento del livello di conflittualità potrà essere tanto più efficace quanto più puntuale sarà l’azione politica, quanto più condivise saranno le regole generali espresse nella legislazione, più partecipati i processi di formazione delle leggi e più praticato l’impegno per la mediazione.
Oggi si regolano con le parole, con la conoscenza, con il pensiero e con la forza della ragione molti conflitti che ieri venivano regolati con lo scontro e la forza fisica e la nozione di rivoluzione perderà sempre di più il suo ancoraggio con la nozione di violenza. I cambiamenti, anche rapidi e traumatici, nei paesi democratici possono avvenire anche solo cambiando il contenuto delle leggi e attraverso queste può essere più efficacemente contenuta la barbarie, la violenza, l’intolleranza, l’arretratezza culturale. E parallelamente le libertà verranno slegate dalla nozione di arbitrarietà individuale per correlarsi con quella di responsabilità.
Ed è in questo quadro che assumeranno una importanza sempre maggiore tutti gli strumenti istituzionali finalizzati alla tutela dei più deboli e dei diritti offesi ed in particolare la Magistratura, sulla quale nelle società avanzate sono inevitabilmente destinate a scaricarsi molte tensioni latenti nella società. E’ questo il motivo per cui la funzionalità del sistema giudiziario è destinata a diventare in misura sempre maggiore un presupposto ineludibile della convivenza civile. E ad essa, piuttosto che allo spauracchio della insicurezza urbana - che costituisce un effetto solo indiretto e superficiale dell’illegalità diffusa - dovrà essere prestata una attenzione maggiore di quanto non avvenga oggi.
E tanto più le leggi saranno adeguate ad intercettare i reali bisogni sociali, tanto più si potranno ridurre le occasioni di conflittualità e porre le basi perché le altre componenti dello sviluppo possano rendere al meglio.
Le leggi stabilite da organismi democraticamente eletti, ed anche da organismi sopranazionali, segneranno la nuova grammatica dei rapporti e dei conflitti sociali, anche se comunque anch’esse saranno esposte alla strumentalizzazione per fini di sopraffazione ed acquisizione di posizioni di potere. E a maggior ragione se i presupposti di fatto della realtà, che determinano la formazione di nuove leggi, tendono a cambiare continuamente e le nuove leggi a non essere più adeguate a regolare i fenomeni che ne costituiscono l’oggetto.
Comunque il metodo di estendere la cittadinanza e di dominare le diversità, oggi tanto numerose e complesse, attraverso regole maturate in un contesto democratico rappresenta l’unica speranza per il nostro futuro prossimo venturo.
Ovviamente questa prospettiva non sarà in grado di assicurare sempre le auspicate condizioni di giustizia e di equità che teoricamente ne costituiscono la ragion d’essere. Non è escluso che continueranno a sopravvivere in certa misura ancora le dinamiche conflittuali tradizionali e quelle nuove determinate da nuove situazioni imprevedibili. La prevaricazione dell’uomo sull’uomo sopravviverà, ma tenderà ad affermarsi attraverso modalità sempre meno correlate alla prepotenza e la violenza fisica e sempre più legate alla strumentalizzazione captatoria delle parole e del pensiero, ed anche attraverso gli strumenti mediatici, della manipolazione e falsificazione delle informazioni.
Anche se la democrazia è l’unico sistema immaginabile di formazione di un ceto politico e di leggi che rispondano all’interesse dei cittadini, vi sono tanti modi attraverso i quali essa si esprime, molti dei quali facilmente esposti a meccanismi di alterazione che consentono ai portatori di interessi molto forti di captare agevolmente il consenso degli elettori ovvero che non consentono a molti elettori di esprimere in forma adeguata la rappresentanza dei propri interessi. Si pensi ad esempio al divario che esiste oggi tra coloro che su un territorio esercitano di fatto il diritto al voto e coloro che per effetto di una mobilità così diffusa non hanno accesso ad alcuna forma di rappresentanza. Si pensi a tutti i sistemi ove è possibile esprimere il diritto al voto solo ratificando o meno candidature calate dall’alto e senza alcuna possibilità di intervento sulla possibilità di formazione delle stesse. Probabilmente siamo ancora alla preistoria di una epoca che possa essere qualificata veramente democratica. E siano alla preistoria di istituzioni internazionali che possano dirsi ampiamente rappresentative di stati veramente democratici. E, difatti, non sono stati ancora elaborati a livello internazionale degli standard di democraticità efficaci ed adeguati, tali da potere rappresentare un punto di riferimento di tutti gli Stati che ambiscono ad essere riconosciuti come tali.
Queste carenze lasciano spazio alla possibilità di manipolazione del consenso ed alterano il tasso di condivisione delle leggi. I rischi che ne conseguono sono da una parte l’antipolitica e il discredito delle istituzioni, dall’altra il possibile abbandono di questo piano di risoluzione dei conflitti per un ritorno alla violenza. E spesso queste carenze e gli altri ostacoli alla inclusione sociale sono frutto di intolleranze, anche se mascherate, destinate a generare altre intolleranze.
Anche il decadimento della capacità di legiferare e di tenere ancorata la legislazione a principi di portata costituzionale potrebbe riaprire la spirale della violenza. E vi sono rischi di accelerazione di questo decadimento: da una parte la molteplicità e diversità eccessiva dei livelli di competenza che potrebbero far precipitare le comunità di cittadini nell’incubo della confusione, dall’altra il rischio che le leggi rimangano pura affermazione di principio e vengano sistematicamente disattese, che prenda cioè il sopravvento la cultura dell’illegalità. Vi è poi il rischio del gap temporale tra i conflitti e la loro possibile soluzione affidata ai giudici in un mondo che ha bisogno di soluzioni sempre più rapide.
Vi è bisogno, dunque, da una parte di una grande attenzione non solo ai nuovi contenuti delle leggi, ma anche alla loro effettiva attuazione ed all’ampliamento dei relativi effetti sempre più oltre i confini nazionali, dall’altra ad un metodo, quello giudiziario, che con grande difficoltà tende ad imporre la sua autonomia nei confronti della politica e delle posizioni di potere.
Ma occorre soprattutto una "svolta etica" intesa come ricerca di un consenso condiviso verso un corpo di valori già radicati nelle coscienze, non certo imposto. Il problema non è solo mondiale, cioè rivolto alla coesistenza pacifica delle nazioni, ma anche nazionale, perché all’interno dei singoli paesi si vanno oramai stratificando realtà, vite, mondi diversi, che coesistono sullo stesso territorio in modo indipendente l’uno dall’altro, alcuni dei quali spesso abbandonati all’emarginazione ed allo sbando al di fuori di ogni regolamentazione. Occorre sviluppare la comunicazione, la conoscenza reciproca e la mediazione, ricercare dei valori comuni tra questi mondi che siano all’interno dei parametri costituzionali fondamentali. Se non si persegue questa prospettiva, si apriranno infiniti scenari di violenza e barbarie.
Per realizzare questa svolta etica la politica dovrà riformare le sue regole, rinnovare i meccanismi di formazione della sua classe dirigente ed essere capace di controllare le dinamiche sociali ed economiche sottraendole ad ogni forma di soggezione. Occorrerà inoltre che diventi sempre più capace di adeguare le regole e la legislazione allo stesso ritmo di cambiamento della realtà, addirittura anticipandola per dare ad essa un indirizzo. Ed accetti poi la soggezione alle stesse regole, quando vengano applicate per il tramite del potere giudiziario.
E quando la legislazione avrà cristallizzato nuovi valori in norme giuridiche, mutuando principi sedimentati nelle coscienze sociali ed acquisiti sul piano politico, occorrerà assicurare la concreta attuazione di questa nuova legislazione, che potrà assumere anche un rilievo rivoluzionario se comporterà nella sua concreta applicazione il superamento delle resistenze degli interessi particolari sottoposti alla soggezione della norma. E, difatti, il problema è che le resistenze degli interessi che in passato si affermavano attraverso gli strumenti delle dittature, delle violenze e delle guerre, oggi, ed a maggior ragione nel futuro prossimo venturo, si manifesteranno attraverso i nuovi fascismi che tenteranno di strumentalizzare o paralizzare i meccanismi della democrazia e del diritto ricorrendo alla falsificazione, alla illusione, alla delegittimazione, alla manipolazione dei mass media. E giustamente Morin ci avverte che occorre attrezzarsi per non finirne soggiogati. Occorre prefigurare i rischi di questo incerto futuro per poterlo affrontare razionalmente e con spirito volto a soddisfare quelle che Moro definiva “le impellenti esigenze di una società adulta e matura”.
Ma sarà inevitabile che anche se la legislazione riuscirà a sottrarsi all’effetto del liberismo sfrenato e ad imporre regolamentazioni per governare le dinamiche sociali ed economiche, i portatori dei relativi interessi si attrezzeranno per renderle inefficaci. Ne potrà conseguire anche uno scontro tra dinamiche diverse che spetterà prima alla politica e poi al diritto tentare di governare. Di questo conflitto non saranno tanto importati le conseguenze immediate – sulle quali spesso viene concentrata, in particolare da posizioni estremistiche, una attenzione sproporzionata ed irragionevole - quanto piuttosto quelle destinate a radicarsi nel tempo ed a stabilizzarsi sino a diventare patrimonio della coscienza comune. Vi sono già stati momenti in cui parametri cruciali di questo conflitto sono stati definiti con la formazione delle grandi costituzioni moderne.
Sarà inevitabile comunque che la democrazia da sola possa non essere in grado di assicurare il cambiamento, quand’anche fosse una democrazia diffusa e partecipata. Occorrerà qualcosa di più. Utilissimi a tale proposito i suggerimenti che Morin ha posto a base della teoria della conoscenza della complessità (“I sette saperi necessari all'educazione del futuro”): la democrazia deve essere consapevole, deve essere messa in condizione di prefigurare ed affrontare i rischi di errore e di illusione che insidiano costantemente la mente umana, e lo stesso ruolo del cittadino elettore deve essere cautelato dalle falsificazioni e dalle illusioni, che alterano le conoscenze necessarie per esercitare le scelte, in modo che sia ristabilita attraverso gli istituti democratici una corretta relazione di reciproco controllo fra la società e gli individui.
La storia della democrazia italiana fornisce la dimostrazione palese di come, dopo il terrorismo e le stragi politiche, si siano evoluti i meccanismi di condizionamento del cambiamento. L’osservazione di questo processo storico ci mette in condizione di ricercare le contromisure per contenerne gli effetti, per contestualizzarli, per elaborare le strategie che permettano di affrontarne i rischi.
La storia della democrazia italiana, che ha trovato una sintesi nel momento di portata rivoluzionaria della formazione della Carta Costituzionale, è una lunga storia di contrapposizione tra forze divergenti in direzioni completamente opposte, sulle quali i partiti politici tradizionali hanno reiteratamente e con grande difficoltà tentato di imporre la logica della composizione nell’ambito delle istituzioni democratiche. La ribellione alla attuazione dei principi di quella Carta Costituzionale si è manifestata in vari modi dalla strage di Portella delle Ginestre, con le stragi successive, gli omicidi politici ed il terrorismo, che tentarono di imporre prima l’intimidazione e poi il senso di insicurezza ed il bisogno di autorità. Oggi la medesima strategia si attua con effetti similari attraverso le strade insidiose della manipolazione dell’opinione pubblica, della falsificazione, ed anche dell’avvilimento di tutti gli organismi di controllo. E bisognerà lavorare per ripristinarne l’effetto deterrente rispetto al prevalere, già sperimentato, di personalismi a danno degli interessi generali.
La falsificazione si realizza in concreto anche con il riduzionismo e la superficialità, ovvero il tentativo di prospettare la semplificazione della complessità, tipico degli estremismi.
Quali ne siano la modalità, le azioni dirette ad ostacolare l’interpretazione della realtà in determinate condizioni potrebbero celare la stessa carica eversiva che in contesti diversi si esprime attraverso gli atti di terrorismo indiscriminato.
La singolarità della situazione italiana è che la democrazia si consuma tra divaricazioni spesso irriducibili piuttosto che tra scelte, anche radicalmente diverse, tutte costruttivamente orientate verso un medesimo modello di convivenza. L’ampliamento delle libertà può aprire la strada anche ad ogni possibile falsificazione non ed a queste si deve rispondere solo con la valutazione critica, ma anche con il controllo dei poteri occulti e della illegalità organizzata e con la piena funzionalità degli istituti deputati all’accertamento dei fatti ed alla affermazione della legalità.
Ove queste ulteriori cautele non venissero perseguite, si potrebbe determinare la legittimazione della coesistenza, insieme al potere dello Stato, di centri di potere paralleli e potrebbe prevalere la tentazione di lasciare che ciascuno di questi poteri regolamenti in modo autonomo i propri ambiti di influenza. E’ quanto nei fatti già avviene in modo surrettizio, al di fuori di un consenso esplicito e di una legittimazione. Solo una società trasparente può ripristinare un clima di piena fiducia nei confronti dei meccanismi della politica e più in una società si ripristina la fiducia, più questa tende a svilupparsi. La mancanza di fiducia, quand’anche gli istituti democratici rimanessero formalmente inalterati, porta al totalitarismo ed alla necrotizzazione nella società, la degradazione della società in massa, in folla di persone slegate tra loro. E l’illegalità organizzata, le falsificazioni, le illusioni si potrebbero anche proporre come condizioni di sicurezza dopo avere determinato le ragioni dell’insicurezza.
Occorre distruggere, dunque, attraverso i meccanismi istituzionali il potere che l’illegalità ha nella società italiana. Una cosa del genere sarebbe di tale portata innovativa da realizzare di fatto una vera e propria rivoluzione in grado di rivitalizzare radicalmente la possibilità di sviluppo dei diritti e di ripristinare la fiducia nello Stato. E’ questa la rivoluzione prossima ventura che mi auguro si verifichi ancor prima del 2047.
giovedì 31 luglio 2008
Iscriviti a:
Post (Atom)