giovedì 28 gennaio 2010

Gli effetti del disegno di legge 1880 sul processo penale

a cura di Claudio Nunziata
(tabelle espositive allegate)

Tenterò di fare chiarezza ricorrendo ai numeri nel tentativo di correggere le tante informazioni fuorvianti, sbagliate, approssimative e superficiali che si sono diffuse sull’argomento.
In parte esse sono state determinate da una obiettiva complessità del problema, ma in parte sono state indotte da alcune artificiose informazioni: la denominazione di “processo breve” è deliberatamente fuorviante, perché bisognerebbe piuttosto parlarsi di “rinunzia al processo”. Fuorviante anche la indicazione di una ricaduta sull’1% dei processi pendenti che è frutto o di ignoranza o di deliberata mistificazione. Le brillanti strutture del Ministero della Giustizia hanno fatto un calcolo di molto inferiore alla realtà e poi lo hanno rapportato percentualmente al numero di tutti i procedimenti penali pendenti, che sono circa 3.200.000.
Ma 2.500.000 di questi sono pendenti in fase di indagini e ad essi non è destinata ad applicarsi la nuova normativa. Fare riferimento ad essi è una operazione metodologicamente scorretta, poiché l’istituto della estinzione processuale è destinato solo al giudizio ed avrà presumibilmente una ricaduta a regime del 33%. Ed in particolare una ricaduta rivolta a scaricarsi direttamente sui processi e sui riti più complessi, vale a dire sui processi con numerosi imputati, quelli con numerose imputazioni e su quelli provenienti da udienza preliminare.
A Bologna, come in altre sedi, la analisi concreta aveva evidenziato una ricaduta nella misura del 71% di tutti i processi provenienti da udienza preliminare contro il 27% per i processi provenienti da rito immediato e del 17% per le citazioni dirette a giudizio. Quindi una ricaduta che va ha incidere su processi di maggiore delicatezza, per i quali il legislatore non ha previsto l’applicabilità di riti più sbrigativi e l’imputato ritiene di non affidarsi al giudizio abbreviato.
Esistono dei principi di etica statistica pubblicati nel 2007 da Eurostat che impongono la chiarezza delle fonti, la indicazione dei metodi utilizzati nelle rilevazioni e delle sequenze operative eseguite durante le rilevazioni stesse, principi che rendono doveroso descrivere e documentare il processo produttivo del dato statistico. Ad essi il Ministero della Giustizia non ha ritenuto di adeguarsi, peraltro non rendendo neanche pubblici i dati di partenza , manifestando con ciò la mancanza di un approccio laico rispetto al disegno di legge, solo formalmente di iniziativa parlamentare, distacco che sarebbe stato tanto più doveroso in quanto influiva direttamente sugli interessi del Presidente del Consiglio.
Vale la pena osservare che è assolutamente fuorviante il riferimento che viene spesso fatto a soglie di durata che sarebbero anche di 10 anni, dal momento che queste sono previste per meno dell’1% dei processi, mentre per il 75% la soglia indicata è di 6 anni e mezzo e per il 24% di 7 anni e mezzo. Senza considerare che potrebbe vedersi estinto anche un processo che non abbia rispettato la prima soglia e sia, per questo, relativo a un fatto commesso appena 3 anni e mezzo prima, e si verificherà così il paradosso di una prescrizione sostanziale che sopravanza la estinzione processuale.
Va inoltre evidenziato che praticamente la durata della prescrizione per i reati con pena inferiore ai 10 anni è equivalente alla somma dei tempi di estinzione del processo previsti dalla prima fascia del d.l. 1880, se si tiene conto anche della fase delle indagini, sicché il nuovo istituto processuale proposto costituisce una duplicazione priva di ragionevolezza e del tutto superflua. Ha il solo scopo di recuperare alla estinzione i processi che siano sfuggiti alla prescrizione.
Gli effetti di questo disegno di legge, in termini quantitativi, si potrebbero ritenere non tanto disastrosi, ma solo in quanto il disastro sia stato già compiuto allorché nel 2006 furono dimezzati termini della prescrizione, i cui effetti non si sono ancora manifestati.
Il d.l. 1880 rappresenta, difatti, il completamento della demolizione della funzione del processo penale che andrà ad aggiungersi agli effetti della legge ex-Cirielli, che dovrebbero esaurirsi completamente proprio entro il 2013 (2006+7,5 anni = metà del 2013), quando andrà anche a regime l’istituto della estinzione processuale, senza però che si verifichi una staffetta tra i due istituti, ma con un loro affiancamento che determinerà un progressivo raddoppio dei casi di estinzione. Attualmente i casi di estinzione (per prescrizione) sono poco più di un terzo dei processi che vanno a sentenza, domani anche con gli effetti della ex-Cirielli potrebbero aumentare sino a due terzi, una dimensione anomala per uno stato di diritto.
Diversamente per la norma transitoria per la quale si prevede una ricaduta solo su 11.261 processi. L’unica sua funzione è, dunque, quella di recuperare – per effetto dei diversi meccanismi di applicazione - qualche processo che sia sfuggito alla prescrizione. Dunque, ci si interroga sulla necessità di un intervento di tale natura. Ma sappiamo quale è la risposta. E’ una risposta inquietante, la rinunzia alla applicazione del principio di responsabilità nei confronti di una parte della classe dirigente, che porta diritto alla fine della democrazia.
Se non vi saranno interventi strutturali, nel corso dei prossimi anni, le sopravvenienze e le definizioni saranno prevedibilmente della stessa portata, se non addirittura destinate ad aggravarsi. I giudici e gli uffici già lavorano al limite del sopportabile e non potranno migliorare gli standard di lavoro. Vi potrà essere qualche piccolo miglioramento di facciata nei primi mesi, ma la rigidità delle disfunzioni riporterà tutto come prima.
Prima di passare alla analisi concreta, occorre premettere che i dati di cui dispongo sono prevalentemente riferiti alla data del 31.12.2007, che comunque si tratta di dati che tendenzialmente stabili nel tempo che hanno ricevuto scostamenti pressoché insignificanti negli ultimi anni. Il metodo di calcolo che seguirò ovviamente consente solo una stima approssimativa.
Per quanto riguarda la determinazione della ricorrenza dei reati, ho rilevato qualche anno fa - su una base di 11.000 processi pendenti presso la Corte di Appello di Bologna - che i reati con pena inferiore ai 10 anni sono il 75% del totale dei reati pendenti, quelli con pena maggiore il 25%. Una recente analisi eseguita sui processi pendenti presso l’ufficio GIP/GUP di Bologna ha evidenziato addirittura una percentuale dell’87% per i reati della prima categoria. Si ritiene, dunque, che possa farsi riferimento ad una media tra i due valori e riportare la percentuale di riferimento al 75% in considerazione del pur scarso numero di delitti esclusi dalla applicazione dell’indulto (e di conseguenza della norma transitoria) nonché quelli di criminalità organizzata, che per la loro irrilevanza numerica non considero affatto in questa analisi. Occorre inoltre tener presente che i dati di durata dei tribunali sono rapportati alla data di iscrizione del processo sul registro generale, mentre il disegno di legge fa riferimento alla data di formulazione dell’imputazione, che presuppone – almeno per il passato allorché non si faceva attenzione a questo dato – almeno un anno di attesa dopo l’esercizio dell’azione penale. Per i futuri effetti a regime si può stimare una media di 6 mesi, nella ipotesi che vengano strutturati servizi adeguati presso le procure.

Scansione temporale degli effetti applicativi del d.l. 1880

Il disegno di legge presuppone tre differenti archi temporali di effetti. La norma transitoria per i processi relativi a fatti anteriori al 2.5.2006 ed una applicazione a regime. In mezzo vi è un gruppo di processi composito tra i quali i processi introitati tra il 2.5.2006 e l’entrata in vigore della legge.
Difatti prevede la sua applicazione solo per il futuro, fatta eccezione per gli effetti della norma transitoria che si applica solo per la fase di giudizio del Tribunale ordinario.
La formulazione del secondo comma dell’art. 9 è: “Salvo quanto previsto al comma 1 [per i processi per reati ante 2/5/2006], le disposizioni di cui all’articolo 531-bis del codice di procedura penale non si applicano ai processi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge”. Si tratta di stabilire cosa si intenda per processi in corso, dizione che sembrerebbe comprendere tutti i processi in qualsiasi fase si trovino (non si dice “processi pendenti in ciascuna fase”), sicché solo i nuovi processi in cui la formulazione dell’imputazione sia stata formulata in data successiva alla entrata in vigore del d.l. 1880, sarebbero esposti alla estinzione processuale, sicché – se non ho mal compreso - rimangono privi di questa copertura tutti i processi di prima fascia dal Tribunale introitati con data del fatto successiva al 2.5.2006 sino alla entrata in vigore della legge, nonché i processi pendenti con pena massima superiore ai 10 anni, in fase di appello e di Cassazione, anche con data anteriore. Grosso modo quattro-sette anni di pendenza da metà 2006 sino a metà 2013. L’entrata in vigore scatta con la pubblicazione della legge, salvo a manifestarsi dopo i primi tre anni l’effetto estintivo.

Disciplina transitoria

Essa è applicabile solo per i processi a giudizio dinanzi al Tribunale ordinario con data del fatto anteriore al 2.5.2006 e con pene massime inferiori ai 10 anni. Nei 166 Tribunali la media della pendenza nazionale al 31.12.2005 era di 373.880 processi cui si sono aggiunti quelli sopravvenuti da gennaio ad aprile 2006 (pari a 113.753) e, tenuto conto della attesa media per circa un anno in fase di indagini, i processi arrivati ancora nel corso di un anno successivo sino ad aprile 2007 (pari a 340.000). Si può dunque calcolare che il totale dei processi pendenti con data stimata anteriore al 2.5.2006 era di 827.633. Si stima, inoltre, che anche dopo il 2.5.2007 sino al 2.5.2008 siano ancora pervenuti a giudizio processi con data del fatto anteriore al 2.5.2006. Ma dal momento che il dato statistico di durata medio nazionale appiattisce situazioni che sono in realtà diversificate, si concentra l’analisi su 61 tribunali in sofferenza - nei quali si è concentrato il 60% del totale delle pendenze - con indice di durata media per ciascuno di essi superiore a due anni . Si suddividono tali tribunali in tre gruppi a seconda della durata media di ciascun gruppo
• 11 tribunali e varie sedi distaccate con durata di trattazione media per ciascuno di essi superiore a 2 anni e mezzo, per un totale di durata – compresa la attesa in fase di indagini - di tre anni e mezzo. In essi si concentrava una pendenza arretrata pari a 60.534 processi , che si stima fosse interamente con data del fatto anteriore al 2.5.2006,
• 6 tribunali e varie sedi distaccate con durata media di trattazione per ciascuno di essi tra 2 e 2,5 anni. In essi si concentrava una pendenza complessiva di 35.809 processi Considerata la durata di attesa in fase di indagini di un anno, si stima che la data del fatto, per metà di tali processi, pari a 17.904, risalisse a prima del 2.5.2006,
• vi sono poi tutti altri 44 tribunali in sofferenza con durata di trattazione media inferiore ai due anni e superiore a 1 e con una pendenza complessiva di altri 118.386 processi, per i quali è possibile stimare una aliquota del 20% riferibile a data anteriore al 2.5.2006, pari a 23.676 processi.
Si escludono i processi pendenti in abbreviato perché prevalentemente relativi a reati con pena >10 anni e per la minore durata del rito.
I processi per fatti anteriori al 2.5.2006 da smaltire da parte dei Tribunali erano dunque 827.633 + 60.534+17.904+23.676 per un totale di 929.747.
Esaminiamo ora quale è stata e sarà la capacità complessiva di smaltimento di processi al 31.3.2010, possibile data di entrata in vigore del D.L.1180:
205.204 pari a 2/3 del 2006 + 336.541 nel 2007 + 340.000 nel 2008 + 340.000 nel 2009+85.000 pari a ¼ del 2010 , per un totale di 1.306.745, dal quale va detratto un 30% (392.023) destinato alla trattazione dei nuovi processi a carico di detenuti con un risultato di 914.722 processi. Ovviamente alla data odierna buona parte di questi processi sono stati già definiti. Ne residuerà un numero quasi irrilevante: 929.747 pendenti – 914.722 definiti = 15.015 .
Di questi residui processi con probabile data del fatto anteriore al 2.5.2006 potrebbero essere esposti alla estinzione, in ragione del titolo di reato, solo il 75%, vale a dire 11.261 processi. Considerata la ripartizione tra 166 tribunali, i processi destinati alla estinzione per effetto della norma transitoria potrebbero essere mediamente una settantina per ciascun tribunale. Si tratta di una piccola aliquota di processi sfuggiti alla prescrizione distribuiti ovviamente in misura maggiore nei 61 tribunali in sofferenza.


L’effetto della applicazione di questa disposizione “a regime” . Gli effetti sui processi di Tribunale

Si procede alla analisi disagreggata riferita ai tribunali in sofferenza con durata > 2 anni si perviene alla identificazione di 96.343 processi con durata superiore ai 2,5 anni:
• 11 tribunali e varie sedi distaccate con durata di trattazione media per ciascuno di essi superiore a 2 anni e mezzo, per un totale di durata – cui si aggiungono 4 mesi per gli adempimenti in fase di indagini - di due anni ed otto mesi. In essi si concentrava una pendenza arretrata pari a 60.534 processi , da cui viene detratto 1/6 in considerazione della differenza rispetto alla soglia di tre anni, con il risultato di 50.445;
• 6 tribunali e varie sedi distaccate con durata media di trattazione per ciascuno di essi tra 2 e 2,5 anni, per un totale di durata – cui si aggiungono 4 mesi per gli adempimenti in fase di indagini - di 2 anni e 7 mesi. In essi si concentra una pendenza complessiva di 35.809 processi, da cui viene detratto un terzo in considerazione della differenza rispetto alla soglia di tre anni, con il risultato di 23.873.
Il totale è di 74.318. Considerato che sono destinati alla estinzione il 75%, dei reati, viene definito in 55.738 il numero di processi candidati alla estinzione in fase di giudizio ordinario, che rappresenta il 14% delle pendenze complessive dei 166 tribunali pari a 396.000 processi .
Il problema è che questi 55.738 processi estinguibili non sono destinati a spalmarsi in modo distribuito su tutte le tipologie di rito, bensì a concentrarsi quasi completamente sui processi provenienti da udienza preliminare e su tutti quei processi che per la loro complessità e per il numero di imputati o di imputazioni (e di conseguenti adempimenti formali) hanno un iter di celebrazione più complesso.
La cifra di 55.738 assorbe ovviamente anche tutti i processi che sarebbero altrimenti destinati alla prescrizione, ma è due volte il numero dei processi che ogni anno sino al 2008 i tribunali hanno dichiarato estinti con sentenza per prescrizione.

Gli effetti sull’appello

I processi pendenti in appello al 31.12.2007 erano 156.362 e si tratta di un dato tendenzialmente stabile. La capacità di definizione delle Corti è stata negli ultimi anni mediamente di 77.000 processi all’anno. In 14 Corti su 29, con una pendenza di 92.266 processi pari al 59% della pendenza totale, i tempi di celebrazione sono di gran lunga superiori ai due anni, sicché le relative pendenze sono tutte a rischio estinzione perché i processi non possono essere celebrati entro il limite previsto dei due anni.
Se è anche vero che potrebbe essere possibile una proroga, questa viene considerata comunque assorbita nel tempo di trasferimento del fascicolo tra il primo ed il secondo grado, che non è inferiore a tre mesi.
Dunque, circa 92.266 processi di appello sarebbero destinati all’estinzione, essendo la soglia di 2 anni eguale per processi con pena inferiore o superiore ai 10 anni. Il ché significa che i processi che si estinguerebbero ogni anno in appello sarebbero di nove volte il numero attuale delle prescrizioni sinora dichiarate nella stessa fase (il 31.12.2008 il numero delle prescrizioni in appello era di 10.311).
E non è dire che ciò sia frutto di un minore rendimento delle relative Corti, dal momento che i magistrati di 9 di queste 14 Corti hanno prodotto un numero di sentenze procapite prossimo o superiore alla media nazionale.

Gli effetti sul giudizio di Cassazione

La durata media di un ricorso in cassazione è andata progressivamente aumentando dai 6 mesi del 1994 ai 7 mesi del 2000 ai 9 mesi (281 gg.) del 2007, ma questo tempo viene misurato dal momento dell’arrivo del processo in cassazione, senza tener conto che generalmente tra la decisione dell’appello e la trasmissione in cassazione passano almeno 4 mesi, lasso di tempo che dipende da tutti gli adempimenti di notifica, cioè dalla volontà o meno dell’imputato, che avrà tutto l’interesse a restare contumace, di farsi trovare, e dall’efficienza dei relativi servizi. In ogni modo la soglia di 18 mesi per la fase appare egualmente congrua, salvo che per una sezione della cassazione.
Un rischio di sforamento esiste per la sez. V della cassazione che ha una media di durata di trattazione dei ricorsi penali di 17 mesi ai quali vanno aggiunti i quattro mesi necessari alle notifiche della sentenza di appello ed al trasferimento del fascicolo. La pendenza della sezione quinta è di circa un decimo rispetto alla pendenza totale della corte, e, quindi, sono circa 3.321 i processi (1/10 di 33.212) che vanno ad aggiungersi ai casi di previste estinzione.


Il totale delle estinzioni a regime

Dunque, dal momento di entrata in vigore di questo disegno di legge, nella attuale stesura, gli effetti in termini di estinzione dei processi saranno i seguenti (senza considerare i processi di criminalità organizzata che sono un numero irrisorio, quelli in fase di giudizio abbreviato e del giudice di pace e i rischi sui tempi di trasferimento al termine delle indagini) :
55.738 processi di Tribunale ordinario
92.266 processi di appello
3.321 processi di cassazione
151.325 totale processi esposti a rischio estinzione ogni anno

Si tratta dell’8% del totale dei procedimenti pendenti in fase di indagini e di giudizio (rapportati ai dati del 2007 che sono piuttosto stabili nel tempo) e del 30% rispetto a tutti i processi pendenti a giudizio. La percentuale supera il 70% se riferita ai soli processi destinati a passare per la fase dell’udienza preliminare.

Il rischio in fase di indagini

Nella attuale situazione delle prescrizioni dichiarate il 78% viene dichiarata con provvedimento di archiviazione. Nel 2008 sono stati dichiarati estinti per prescrizione dai tribunali e dalle corti di appello 35.237 processi Gli uffici del PM per altri 118.000 procedimenti hanno chiesto la declaratoria di archiviazione o di nlp al GIP per prescrizione, per un totale di prescrizioni dichiarate di 154.332. Il 21 gennaio scorso alla camera il Ministro della Giustizia ha indicato in 170.000 le prescrizioni complessivamente dichiarate nel 2009. Sono gli effetti della ex Cirielli che cominciano a farsi sentire. Nel 1 1990 erano 17.452, nel 1996 è iniziata l’esplosione con 56.846, poi nel 1999 e nel 2002 136.545. Riflettete sulle date per comprendere gli effetti delle riforme introdotte in questo arco di tempo.
Un autonomo rischio con possibili effetti di dimensioni enormi discende dalla norma che prevede il caso in cui il PM non riesca ad esercitare l’azione penale entro tre mesi dal termine delle indagini, inadempienza direttamente dipendente dal malfunzionamento dei servizi la cui responsabilità fa capo all’esecutivo. Il mal funzionamento dei servizi degli uffici di Procura, con la anticipazione della decorrenza a quo, è destinato, dunque, ad influire direttamente sulla sanzione dell’estinzione processuale e a depotenziare il principio di obbligatorietà dell’azione penale. Si spera che prima che la eventuale normativa 1880 vada a regime, i relativi servizi vengano messi a punto.
Attualmente questa fase processuale di passaggio dei processi dalla Procura al Tribunale è letteralmente in crisi. Ad esempio a Bologna da ben oltre tre mesi 10.000 processi, già istruiti e pronti per il giudizio, sono in giacenza presso la Procura, di cui 8000 in attesa di ricevere dal Tribunale la data di fissazione dell’udienza e 2000 con data per i quali la Procura non è riuscita a far fare ancora le notifiche. Per comprendere la dimensione del fenomeno basti osservare che si tratta di circa un quarto della pendenza del tribunale di Bologna il 31.12.2007.
Una pendenza occulta che purtroppo pesa su molte altre realtà e nasconde la reale pendenza dei tribunali. Si tratta dell’effetto della irrazionale regola secondo la quale è l’ufficio di procura o del GUP a determinare il calendario del Tribunale, impedendone ogni flessibilità di adattamento che possa consentire di migliorarne le performances.

Il vulnus allo stato di diritto

Questo disegno di legge prevede l’estinzione del processo, vale a dire la morte del processo. La formula utilizzata collide con il principio costituzionale di obbligatorietà dell’azione penale (108 Cost) che è incompatibile con qualsiasi strumento di rinunzia alla applicazione del diritto penale. E, difatti, l’unica eccezione era prevista dalla stessa Costituzione per i parlamentari con l’autorizzazione a procedere ed il Parlamento decise di abolirla. Dunque altre analoghe forme di estinzione del processo potrebbero essere stabilite solo con legge costituzionale. L’applicazione inderogabile del diritto penale è connaturata alla stessa essenza del sistema costituzionale attuale.
La dottrina penale prevede forme di estinzione non già del processo bensì del reato ed in particolare la prescrizione, l’amnistia, la remissione di querela. E’ solo in questo ambito che potrebbe essere inquadrato il nuovo istituto.
E difatti esso rivela la sua natura sostanziale, allorché si constata che le diverse ipotesi applicative sono rapportate alla entità della prescrizione, sicché la sua applicazione è riferibile ad ogni singolo reato, alle eventuale condizioni soggettive che consentano ad un singolo imputato di beneficiare di una attenuante o di subire aggravante e non già al processo nel suo complesso. Potrà cioè influire anche solo in parte nei confronti di alcuni imputati o una parte delle imputazioni, senza involgere il rischio della estinzione dell’intero processo.
Inoltre se la norma transitoria è un istituto sostanziale e si riferisce al passato assume necessariamente la natura di una amnistia. La amnistia richiede in base all’art. 79 Cost. una maggioranza qualificata dei due terzi per essere approvata, con una procedura ancora più rigida di quella prevista per le modifiche costituzionali.
Certamente questa falcidia di processi, dovuta soprattutto alla ex Cirielli – con il conseguente sacrificio in termini di funzionalità dello stato di diritto - potrebbe teoricamente determinare un alleggerimento del sistema e consentire a regime di svuotare gli archivi degli uffici maggiormente gravati. Ma in pratica significherà graziare – al di fuori dei meccanismi consentiti dalla Costituzione – la metà di una intera generazione criminale.
E se non verranno rimosse tutte le cause che impediscono il miglioramento del rendimento degli uffici, si riformeranno di nuovo gli arretrati e sarà di nuovo da capo.
Ma esistono anche altre incongruenze incompatibili con regole generali del sistema penale:
• Un processo nel quale vi sia stata una doppia sentenza di condanna conforme in primo e secondo grado, si estinguerà perché non si è stata celebrata tempestivamente la fase di cassazione?
• E cosa succederà se in un processo fissato al margine del tempo previsto, improvvisamente muoia o si ammali uno dei membri del collegio? Il processo si estinguerà senza rimedio. Sarà un incentivo – in determinate situazioni – anche a far fuori o a spingere per le scale qualche giudice, in modo da determinare l’automatica estinzione anche del processo. Forse per i processi di mafia e per tutti quei processi che coinvolgono ingenti conseguenze economiche o politiche, questa diventerà la regola;
• Ed in tale situazione di inadempienza da parte dello Stato, perché la sanzione deve ricadere sulle parti offese e sul corpo sociale? Peraltro il fatto stesso che sia prevista come sanzione il risarcimento per il ritardo della sentenza, dovrebbe portare ad escludere una sanzione destinata a ricadere sul processo.
I tempi di durata del processo dipendono solo per il 9% dalla durata del giudizio, per il 77% da tempi di attesa, per il 14% da tempi di notifiche.
Sono tutti fattori sostanzialmente estranei alla giurisdizione quelli che costituiscono causa strutturale influente sulla durata dei processi e solo a causa di essi viene determinata l’estinzione del processo. Occorre intervenire su tutte insieme le cause strutturali di disfunzioni. Ma in tale direzione c’è il vuoto assoluto di intervento e di iniziativa da parte del Ministero della Giustizia.
I fattori esterni incidenti sulla durata non possono essere catapultati tutti all’interno del processo e tradursi in rischio di sua estinzione.
Un sistema basato su questi sbarramenti non fa che alimentare il tentativo degli imputati di lucrare l’estinzione e quindi di lavorare contro la rapida conclusione dei processi. L’ulteriore conseguenza sarà anche quella di spingere i dirigenti degli uffici a fare maggior numero, fissando ancora più processi monocratici (96,2%) di quelli collegiali (3,8%), quelli con meno imputati e meno complessi. Almeno fin ché non verranno introdotti nella misurazione della funzionalità indicatori più affidabili.
La durata media superiore alla media nazionale da parte di 61 Tribunali su 166 e di 14 Corti di Appello su 29 e di una sezione della Cassazione dipende solo in minima parte dalla ridotta capacità di lavoro dei singoli, dipende soprattutto dalla struttura del processo, dalla mancanza di intervento sul sistema delle impugnazioni , poi dalle carenze di organico di magistrati e di personale, dal non sempre razionale rapporto con la popolazione residente e la quantità degli affari da trattare, da una distribuzione degli uffici sul territorio non più funzionale e correlata alle esigenze effettive, dalla esistenza di ben 88 uffici giudiziari con meno di 20 magistrati, dalla carenza di organizzazione dei servizi e dei mezzi disponibili e dalla non sempre adeguata capacità organizzativa da parte dei dirigenti. In minima parte solo da qualcuno di questi fattori.
La mancanza di riforme adeguate è da ascrivere ad un parlamento che oramai è appiattito sull’esecutivo; le carenze di organico e di mezzi sono totalmente da ascrivere all’esecutivo, mentre per le carenze organizzative è stato introdotto dal governo precedente quel meccanismo di verifica quadriennale delle capacità direttive che può portare al mancato rinnovo dell’incarico ed il CSM ha provveduto negli ultimi mesi a rinnovare gli incarichi direttivi in oltre 400 uffici. Una vera e propria rivoluzione della quale non abbiamo potuto ancora apprezzare gli effetti positivi. Questa è la sanzione acconcia rivolta a risolvere una delle cause della durata eccessiva dei processi.
Ma la responsabilità è da ascrivere anche al ceto accademico che non ha avuto la lucidità di prendere atto di una situazione di inadeguatezza della struttura attuale del processo, da lungo tempo denunziata, ricordo il convegno tenuto da MD nel dicembre 2003 a Sasso Marconi , senza evidenziare che le attuali contraddizioni di un modello semi-accusatorio non possono coniugarsi con il principio di ragionevole durata.
Bisogna, invece, accettare l’idea che il principio della ragionevole durata presuppone anche una rinunzia a determinati istituti processuali. Nulla si è fatto in questo senso: si vogliono allo stesso tempo tutte le garanzie possibili e tempi contenuti, una operazione inconciliabile.
In un sistema di tipo accusatorio la sentenza di appello basata sulla percezione non diretta dei fatti da parte dei giudici non ha alcuna ragione di essere più aderente alla realtà di quella adottata dai giudici di primo grado che hanno acquisito direttamente la prova.
La previsione di estinzione processuale lascia tutto immutato, non ha alcuna possibilità di influire sulla funzionalità degli uffici. Di fronte alla incapacità di risolvere i problemi si decide di far finta che essi svaniscano nel nulla . E’ un rimedio che manifesta una mancanza di cultura di governo di fenomeni complessi. Una inadeguatezza disarmante della quale occorrere essere seriamente preoccupati per gli ulteriori danni che, anche solo per inerzia, può produrre.
Gli effetti perversi che questa normativa tende a determinare sono:
- lasciare intatto lo status quo di scarsa funzionalità del sistema;
- incrementare la corsa alle impugnazioni alla ricerca di una causa di estinzione;
- orientare la giustizia verso la sola celebrazione dei processi a carico di detenuti e della delinquenza di strada;
- incrementare il senso di insicurezza dei cittadini,
- esporre sempre di più i cittadini e le parti offese alla sopraffazione da parte di violenti, truffatori ed approfittatori,
- incrementare sempre di più il senso di irresponsabilità della classe dirigente e quello di impunità dei criminali propensi alla commissione della tipologia di reati che questa normativa tende ad estinguere.