venerdì 1 agosto 2008

Quel filo eversivo che lega la strage di Bologna al sequestro Moro

La strage per antonomasia, quella con 85 vittime civili in tempo di pace, richiede, questa volta, in coincidenza con i 30 anni dall'uccisione di Aldo Moro, una riflessione più penetrante sulle difficoltà del processo democratico iniziato nel dopoguerra. Dobbiamo chiederci seriamente, tutti, se i due attentati siano stati entrambi parte di una medesima strategia.
La lettura comparata di ciò che è avvenuto in Italia dal 1969 al 1993 consente di cogliere strategie convergenti dietro i più rilevanti delitti mafiosi e politici. Tutti insieme hanno obiettivamente corrisposto alla esigenza, richiesta da equilibri internazionali, di impedire l'espansione del comunismo praticabile attraverso le vie democratiche: la mafia, le BR e i neofascisti indotti ed interessati a sporcarsi direttamente le mani; la segmentazione dei livelli decisionali meccanismo di infiltrazione e strumentalizzazione.
E' pacifico che servizi segreti deviati, statunitensi ed italiani, la loggia massonica riservata P2 ed alcuni gruppi politici e finanziari, riconducibili alla stessa loggia massonica, hanno operato nel corso di questi sessant'anni per frenare il processo democratico, ricorrendo agli strumenti più spregiudicati, e per occultarne poi le responsabilità. Tutte le componenti, resistenziali o meno, che non si erano riconosciute nel patto costituzionale e nel potenziale di espansione della democrazia che esso conteneva, hanno ricercato occasioni di coordinamento per contrastarla e si sono via via strutturati nel corso del tempo sino a creare un monumentale cemento ideologico.

Quando nel 1969 arrivò Nixon alla presidenza statunitense, l'incubo degli Usa non era più la presa del potere violenta da parte del Pci, ma il solo fatto che questo partito potesse solo assumere un ruolo più significativo ed entrare nell'area di governo.

La dottrina politica posta a sostegno di queste iniziative fu esplicitata nel marzo 1970 nel field manual top secret destinato alle forze speciali dell'esercito americano intitolato "Operazioni di stabilità e servizi segreti" firmato dal generale WestMoreland. In esso è contenuta la direttiva di "destabilizzare ai fini di stabilizzare" e la indicazione di come ricorrere ad "operazioni speciali" per impedire l'accesso del partito comunista al governo dei paesi europei. Una copia di tale manuale fu trovata nelle mani della figlia di Gelli insieme al Piano di Rinascita Democratica ed il Memorandum sulla situazione politica italiana. Un ritrovamento poco occasionale che è stato interpretato come un messaggio, come dire "ci sono cause di forza maggiore e protezioni internazionali che hanno legittimato la mia condotta". Sostanzialmente la stessa cosa che sembra ripetere continuamente Cossiga, nella illusione di dare in questo modo una legittimazione alla sua creatura, Gladio, che egli sostiene essere composta da partigiani, dimenticando di precisare che si trattava per la verità di fascisti travestiti, come ci testimonia Vincenzo Vinciguerra, l'autore della strage di Peteano, uno dei pochi che – rifuggendo la qualifica di pentito e qualificatosi "spirito libero" – si è assunto l'iniziativa di fornire un contributo significativo alla ricerca della verità. Giovanni Fanelli, segretario della loggia P2 riferì al pm Sica il 24.5.1981: "Non avevo motivo di dubitare che Gelli intrattenesse rapporti con Andreotti e con Cossiga, ciò so con certezza perché accompagnavo personalmente il Gelli agli appuntamenti".

Nel field manual era scritto: ""i servizi dell'esercito USA dovrebbero cercare di penetrare l'insorgenza mediante agenti in missioni particolare e speciali.…per lanciare azioni violente o non violente , a seconda delle circostanze […]. Nei casi in cui l'infiltrazione da parte di tali agenti nel gruppo guida dell'insorgenza non sia stata efficacemente attuata, si possono ottenere gli effetti summenzionati utilizzando le organizzazioni di estrema sinistra."

All'inizio degli anni '70 il vice capo della stazione della CIA a Roma, Ted Shackley, organizzò presso l'ambasciata USA a Roma un incontro tra Alexander Haig e Licio Gelli. Secondo l'ex agente segreto Searchlight in quella riunione si sarebbe stabilito di destinare finanziamenti a Gladio. Ai primi dell'agosto 1970 l'ambasciata USA a Roma arrivò a ipotizzare una "soluzione non costituzionale" . Nella notte tra il 7 ed 8 dicembre vi fu il tentativo di golpe Borghese, replicato con più vasti coinvolgimenti nell'agosto del 1974.

Edgardo Sogno nel sua libro-intervista (Sogno-Cazzullo, Testamento di un anticomunista, Mondatori) ricorda: "Nel luglio del '74 il capo dei servizi americani per l'Italia mi disse che gli Stati Uniti avrebbero appoggiato qualsiasi iniziativa tendente a tenere lontani o ad allontanare i comunisti dal governo. E aggiunse che se, come sembrava, la situazione italiana avesse preso nei mesi successivi una piega cilena - il suo governo avrebbe approvato l'attuazione del nostro progetto…". Il 4 agosto si fu la strage del treno Italicus, che seguiva di due mesi quella di Piazza della Loggia a Brescia, nel contesto di centinaia di attentati di cui una decina a tratte ferroviarie.

Ma la democrazia americana, oltre alle interferenze di alcuni suoi apparati, ci ha regalato anche la scandalo Watergate che portò alle dimissioni di Nixon l'8.8.1974 e, probabilmente, determinò in Italia il fallimento del più insidioso tentativo eversivo intorno al quale avevano lavorato nella primavera del 1974 Valerio Borghese, Carlo Fumagalli e numerosi generali con l'obiettivo di elevare a capo del governo Rodolfo Pacciardi.

Una ossessione quella degli Usa che rimase nel tempo se nelle sue memorie l'ambasciatore Usa in Italia dal 1977 al 1981 Richard Gardner (Mission Italy, Mondatori, 2004) afferma che il suo governo era ancora preoccupato per l'avanzata elettorale del PCI e che occorreva agire per fermarla.

Il 16 marzo 1978 fu portato ad esecuzione il colpo più spregiudicato e più diretto contro la democrazia: il sequestro del segretario della DC Aldo Moro nel momento in cui si recava in Parlamento per la fiducia al primo governo con l'appoggio diretto del PCI. La desecretazione di molti documenti statunitensi oggi consente di dare molte conferme a questo pezzo di storia italiana, ma molte più ne consentirebbe se non ne fosse stato escluso l'affaire Moro.

Scrisse Mino Pecorelli sul numero del 2 maggio 1978 di OP, in pieno sequestro Moro:

"L'agguato di via Fani porta in segno di un lucido superpotere. La cattura di Moro rappresenta una delle più grosse operazioni politiche compiute negli ultimi decenni in un paese industriale, integrato nel sistema occidentale. L'obiettivo primario è senz'altro quello di allontanare il partito comunista dall'area del potere nel momento in cui si accinge all'ultimo balzo, alla diretta partecipazione al governo del paese. E' un fatto che si vuole che ciò non accada. Perché è comunque interesse delle due superpotenze mondiali mortificare l'ascesa del PCI, cioè del leader dell'eurocomunismo, del comunismo che aspira a diventare democratico e democraticamente guidare un paese industrializzato. Ciò non è gradito agli americani…Ancor meno è gradito ai sovietici…ancora una volta la logica di Yalta è passata sulle teste delle potenze minori. E' Yalta che ha deciso via Mario Fani." Gli uomini della Banda della Magliana ci raccontano che fu ucciso per conto di Pippo Calò per mano di Massimo Carminati, sodale di Valerio Fioravanti sin dai tempi dei banchi di scuola, ancorché assolto (per motivi prettamente processuali) dalla Corte di Perugia.

Ricorda l'ex dirigente democristiano Giovanni Galloni che due settimane prima della strage di via Fani Moro gli aveva espresso una preoccupazione: "La cosa di cui sono molto preoccupato è questa : io so che i servizi segreti americani ed israeliani hanno degli infiltrati nelle Brigate Rosse, però questi servizi non hanno mai fatto comunicazione ai nostri servizi e allo Stato, nonostante le loro indicazioni potrebbero essere utili per la ricerca dei covi."

Il gen. Gian Adelio Maletti aveva già dichiarato in una intervista alla rivista Tempo del 20.6.1976:

"Fino a quel momento [1975] i brigatisti non avevano ancora sparato, se non costretti…Questa nuova organizzazione partiva con il proposito esplicito di sparare…addestravano o assoldavano tiratori per sparare alle gambe…arruolavano terroristi da tutte le parti, e i mandanti restavano nell'ombra, ma non direi che si potessero definire di sinistra. Nel complesso era gente diversa, anche per estrazione sociale e culturale, dalle primitive brigate rosse…informammo il Viminale…spettava all'antiterrorismo agire". Ma l'antiterrorismo di Emilio Santillo proprio allora fu sciolto ed il gen. Alberto Dalla Chiesa destinato ad altro incarico.

La strage di Bologna, due anni dopo l'omicidio Moro, realizzò oggettivamente la messa a punto di quel disegno di destabilizzazione.

Poi il potere mafioso, cui spesso si era ricorso, prese coscienza del proprio potenziale di ricatto e dettò le regole dei nuovi rapporti di forza. Il confronto diretto tra mafiosi e potere politico raggiunge l'acme con l'eliminazione di Piersanti Mattarella e Salvo Lima. Ancora un attentato fece saltare i binari della tratta ferroviaria Firenze-Bologna nel luglio 1983 a pochi giorni dal giuramento del primo governo a guida socialista. Poi la strage del rapido 904 del 23.12.1984 e la strage dei Geogofili del 1993 per le quali sono stati condannati in via definitiva rispettivamente i mafiosi Pippo Calò e Totò Riina. Il tutto inframmezzato dagli omicidi di mafia, l'eliminazione di giudici, di funzionari di polizia e giornalisti, affinché fosse chiaro quale dovesse essere il livello di legalità nel paese.

Non è certo una storia propria di un paese democratico questa. I livelli pur fisiologici di criminalità avevano raggiunto una intensità inusitata e, soprattutto, sono stati diretti non tanto a colpire le persone, quanto piuttosto - e come obiettivo prioritario - a condizionare la democrazia. E dal 1994 la violenza politica sembra finalmente bandita, o comunque ridotta in termini molto contenuti, con almeno una apparenza di normalità democratica. Dopo questi traumi sono, però, le modalità di svolgimento della vita politica che sono profondamente cambiate.

La gestione dei 55 giorni del sequestro Moro era stata caratterizzata da rilevanti anomalie: la quasi completa esclusione della magistratura da ogni circuito informativo e di indagine; la concentrazione di ogni iniziativa nei comitati di crisi creati dal Ministro dell'Interno Cossiga che vi aveva inserito persone quasi esclusivamente facenti parte della P2.

La conseguenza fu che, allorché nella lettera riservata a Cossiga, Moro avanzò l'ipotesi di un suo cedimento alle pressioni dei brigatisti e tutti gli addetti ai lavori compresero che queste si riferivano alla organizzazione segreta Gladio, Cossiga fece comprendere ai membri del comitato di crisi che poteva essere inevitabile che il sequestro si concludesse con la morte di Moro. Lo sostiene il principale esperto di tale comitato, Steve Pieczenick, che era stato selezionato da Cossiga tra i collaboratori del Dipartimento di Stato statunitense, il quale in alcune sue prime dichiarazioni aveva persino accusato esplicitamente Cossiga di avere con determinazione perseguito l'obiettivo della morte di Moro (che è cosa diversa dall'essere stato contrario alla trattativa) e di avere veicolato al di fuori del comitato notizie riservate che ne danneggiarono l'azione, riducendo fortemente la possibilità di pervenire alla liberazione di Moro che, a suo giudizio, sarebbe stata possibile senza cedimento dello Stato. Dichiarazioni inquietanti che richiederebbero qualche approfondimento, non una superficiale smentita.

"Sono i fantasmi che ossessionano Francesco Cossiga e tutti quei politici italiani impegnati a chiudere tutti i varchi dai quali qualcosa del passato possa riversarsi nel presente" ha commentato Vincenzo Vinciguerra. Questa ossessione è stata reiterata recentemente in un'intervista al Corriere della Sera dell'8.7.2008 con la fuorviante affermazione secondo cui Gladio era composta da ex partigiani e ricavandone a contrario la presunzione della sua piena legittimazione. E, con un parallelo inquietante, Cossiga si dice convinto che furono i palestinesi a cagionare l'esplosione della stazione di Bologna ("La strage di Bologna è un incidente accaduto agli amici della resistenza palestinese").

Si tratta delle valutazioni di una persona, alle cui singolari ed immotivate posizioni è difficile attribuire una qualche importanza, posto che nella intervista a Riccardo Bocca ("Tutta un'altra strage", BUR 2007) egli sostiene di esserci arrivato sulla base di impressioni personali sue e di altri e di aver avuto una conoscenza solo riassuntiva del processo. Per i rapporti che gli si attribuisce di avere intrattenuto con Gelli (condannato per depistaggio), per la posizione assunte in relazione a Gladio, per quella assunta sulla Loggia P2, per i reiterati attacchi ai giudici di Bologna e per le inquietanti dichiarazioni di Steve Pieczenick, Cossiga non ha dimostrato di essere persona in posizione di assoluto distacco per accreditare come obiettive le proprie valutazioni. L'effetto è quello di una ennesima operazione di depistaggio, questa volta della memoria, calata sulla scia di quelle che l'hanno preceduta.

Sogno riferisce nelle sue memorie: "I gladiatori veri avevano il compito di predisporre il tessuto d'appoggio per le operazioni attive" che sarebbero state svolte dalle FF.AA. E fu proprio lui nel 1974 a prendere contatto con le alte gerarchie delle FF.AA. per verificarne la disponibilità rispetto alle iniziative che allora si agitavano in vari ambienti istituzionali. Ha anche riconosciuto di avere collaborato con Roberto Dotti, fuoriuscito dal PCI, che diventerà suo collaboratore al posto di Cavallo e poi, secondo recenti ricerche, assumerà il ruolo di provocatore agendo di concerto con i livelli più elevati delle BR.

Quattro cartelle di Cavallo risalenti a metà degli anni '70 chiariscono la strategia: "Solo le FF.AA. possono affronatare e risolvere la crisi politica, economica morale, e sociale dello Stato….a causa di una classe politica corrotta ed incapace…è venuta a mancare ogni base di legittimità ai massimi esponenti dello Stato e del Governo….Il "colpo" va organizzato con criteri del blitzkrieg; sabato, durante le ferie, con le fabbriche chiuse ancora per due settimane e le masse disperse in villeggiatura".

In un'intervista pubblicata su Panorama del 16.12.1990 Sogno sostenne che per dissuadere il PCI era necessario creare il complesso cileno: cioè era bene che i comunisti sapessero che ci sarebbe stata una risposta. Già nella primavera del 1972 aveva depositato presso un notaio di Milano un giuramento firmato da venti ufficiali dell'Esercito che si impegnavano tra l'altro a "compiere personalmente e singolarmente l'esecuzione capitale degli esponenti politici di partiti democratici responsabili di collaborazionismo con nemici della democrazia e di tradimento verso le libere istituzioni". Quel che fecero le BR con Aldo Moro. Gli anni tra il '74 ed il '78 avevano segnato proprio il passaggio alla attuazione di quel progetto politico contro il quale Sogno ed il suo partito trasversale si erano tanto battuti.

Sollecitato da una apposita domanda dell'intervistatore, egli non negò neanche il ruolo stabilizzante svolto dal terrorismo, ma finse di ignorare – come tanti altri - il ruolo di collante svolto dalle sue iniziative e da quelle forme di terrorismo, qualificato come "indolore", che egli stesso ammette di avere suscitato e condiviso.

A seguito delle ammissioni di Sogno assumono un aspetto lugubre le dichiarazioni di Silvio Berlusconi apparse su "Il Giornale" del 18.1.2000 in risposta all'appello rivoltogli da Edgardo Sogno: "Noi raccogliamo l' appello di Sogno che ci chiede di scegliere a favore del cambiamento e non della conservazione dell' esistente. La nostra risposta e' che Forza Italia e' nata come forza di cambiamento e che non può che essere forza di riforma radicale della societa' e delle istituzioni". "Edgardo Sogno - prosegue Berlusconi - e' uno degli uomini ingiustamente perseguitato che in Italia merita maggior rispetto e considerazione". E gli riservò i funerali di Stato. Cossiga li aveva già riservati qualche anno prima a Rodolfo Pacciardi.