martedì 18 dicembre 2007

Come suscitare entusiasmo intorno al partito democratico

La proposta di un nuovo partito, che rappresenti una sintesi tra radicali e riformisti, nasce dalla constatazione di una diffusa disaffezione verso la politica. Per ovviarvi occorre un vero e profondo processo di rinnovamento e ringiovanimento della classe dirigente dei partiti e mettere in moto meccanismi di partecipazione analoghi a quelli che hanno consentito di realizzare il successo delle primarie. Avverto questa come una pregiudiziale irrinunziabile, come irrinunziabile è uno statuto del nuovo partito che non consenta a nessuno di mettervi sopra una ipoteca solo perché ha avviato le prime iniziative a suo sostegno.
Quanto ai contenuti, si tratta di riprendere quel processo di continua ricerca di un equilibrio tra i valori del riformismo cattolico e quello socialista che già nel 1947 trovarono una felice sintesi nella enunciazione dei principi fondamentali della Costituzione. In questo mezzo secolo di democrazia quei valori sono stati arricchiti ed ampliati ed ora richiedono un rinnovato sforzo di accrescimento di fronte ai problemi epocali della società moderna: da quelli della globalizzazione a quelli della rivoluzione tecnologica, da certe rigidità del liberismo economico alle trasformazioni ambientali che interessano l´intero pianeta, dai problemi dei grandi flussi migratori alla estensione della pratica della guerra come metodo di soluzione dei conflitti.
Credo che l´affermazione di Massimo D´Alema che "il socialismo non basta più", debba essere presa semplicemente per quello che vale, nel senso che oggi si richiede uno sforzo di elaborazione nuova che trascende dagli schemi tradizionali del riformismo. Si tratta di una nuova dimensione dello scenario politico, della quale è necessario prendere realisticamente atto nel tentativo di ricercare soluzioni che rispondono ai principi comuni cui è sempre stata improntata l´azione politica delle componenti che si riconoscono in questo progetto. Altrimenti si rischia di consentire alle forze conservatrici e reazionarie di governare questi processi senza resistenze ed in modo esclusivo. I temi sui quali sperimentare un nuovo e più moderno approccio in quest´ottica sono tanti: lavoro, rapporti stato/mercato, diritti civili, eguaglianza, promozione ed equità sociale, pari opportunità, etica e responsabilità pubblica, funzionalità della Giustizia e della P.A., diritti di cittadinanza, tutela dei consumatori, sicurezza, problemi istituzionali (legge elettorale e emendamenti alla costituzione), etc..
Poiché la realizzazione di questo obiettivo comporta la necessità di ritrovare elementi comuni tra persone che hanno anche tradizioni culturali e convinzioni diverse in alcuni ambiti - e nei confronti di queste differenze occorre mantenere rispetto - esso non può tradursi anche in regola rivolta a condizionare il libero esercizio del voto parlamentare in quelle materie che non siano direttamente rivolte a sostenere unitariamente un programma di governo. Ed occorre di conseguenza definire, nel modo meno approssimativo possibile, il confine di questa autonomia politica e parlamentare, che non deve essere considerata un fattore contingente, ma una eventualità strutturale di un nuovo modo di fare politica in un sistema bipolare. Un nuovo modo di definire lo spazio politico: il partito non più come casa ideologica di appartenenza totalizzante, bensì come luogo della composizione di approcci differenti ai vari problemi, approcci provenienti da un´area più ampia di quella di provenienza, ma che comunque riconosce il carattere unificante dei valori fondamentali della Costituzione e che si rende conto di non potere trovare questa composizione con quella parte del paese che invece in essi non si è mai riconosciuta con convinzione.
Il populismo - ora con Forza Italia e la Lega come negli anni `20 con il fascismo - ha allevato all´egoismo, al rifiuto delle regole e spesso anche all´illegalità, vasti strati della popolazione. E´ oramai un dato endemico nella storia del nostro paese che non ci consente di ricercare in parlamento con questa area uno spazio costruttivo di confronto sul piano delle riforme, se non rinunziando ai principi ai quali vogliamo ispirare la nostra azione politica. Ne deriva come conseguenza inevitabile quella di aspirare a creare una forza politica in grado di riempire uno spazio politico, il più vasto possibile, di respiro completamente nuovo. Nell´attuale sistema bipolare una semplice federazione di partiti, che autonomamente non hanno sinora avviato o prospettato alcuna premessa per un loro completo rinnovamento, non sembra idonea a raggiungere lo stesso obiettivo.
Un presupposto necessario di questo diverso approccio alla politica dovrà essere necessariamente un nuovo metodo (statuto, primarie e quanto altro) che assicuri la scelta ed un ricambio almeno parziale della classe dirigente, con la partecipazione degli iscritti e/o anche dei simpatizzanti ad alcune opzioni fondamentali (ad esempio, selezione delle candidature). Con un metodo che riesca a rappresentare fedelmente, in tutte le diversificazioni esistenti, le espressioni culturali della base, in modo che non si verifichino effetti distorcenti, non solo in occasione della selezione alle cariche monocratiche, ma anche in sede di formazione delle liste di candidati da proporre in vista degli impegni elettorali. Solo a queste condizioni potrà esservi un successo come quello delle primarie, un successo che potrebbe andare ben al di là delle aspettative e innescare un circolo virtuoso in grado di scompaginare le ambizioni di chiunque avesse in mente di controllare questo processo solo per fini di affermazione personale ovvero con la riserva di tradire poi le aspettative partecipative che, sole, possono dargli l´anima.
Potrà rappresentare un valore aggiunto la diversità di opinioni tra i soggetti che vi confluiranno, quelli provenienti dai partiti fondatori tradizionali e gli elementi nuovi che l´arricchiranno. E potrà consentire di includere nell´impegno politico attivo tante persone ed associazioni che, non avendo insegne di appartenenza, sono disponibili ad entrare in politica rimanendo in certo qual modo liberi di dare a ciascun problema la risposta che essi ritengono adeguata alle circostanze ed al momento. Ho la netta sensazione che se ora facessi prevalere la diffidenza e mi schierassi pregiudizialmente contro questo progetto, finirei per dare una mano all´immobilismo.
Se si intende con convinzione perseguire questa strada, come si afferma da più parti, occorre però che siano chiariti alcuni equivoci ed eliminate alcune ambiguità. Tra queste la posizione veltroniana che ipotizza una figura di un capo di governo scelto direttamente dagli elettori, che dovrebbe essere considerata impraticabile dopo l´esito del referendum costituzionale; e, nella mozione unitaria dei D.L., la limitazione delle primarie alla scelta delle sole cariche monocratiche senza prevedere come indispensabile anche un percorso democratico per la selezione delle candidature in occasione delle varie competizioni elettorali; i rapporti con il Partito Socialista Europeo lasciati ancora nel vago; l´impianto federativo del nuovo partito che sembrerebbe ispirato a porre dei limiti ad una effettiva democrazia interna del nuovo soggetto politico. Queste perplessità dovranno essere sciolte al più presto se si vuole con convinzione tradurre il progetto del Partito Democratico in un vero e proprio processo di crescita politica partecipata e far scattare la molla dell´entusiasmo intorno ad esso.

Coloro che sono interessati a questa prospettiva possono aderire al documento pubblicato sul sito www.centopassi.info

Il Partito Democratico potrà essere per questa città ciò che fu il PCI di una volta ?

Il “partito” a Bologna era il PCI. Poi vennero il PDS e i DS, ma il “partito” restò sempre un pò la madre ed il padre di ogni iniziativa, una risorsa necessaria ed ineludibile in un paese assediato da un anticomunismo viscerale, che poi è andato progressivamente in sordina sotto la pressione della sensibilità sociale che cresceva nel paese. Così il partito in anni difficili svolse una sana funzione di lievitazione delle energie critiche della società e le sezioni del partito furono centri di aggregazione che educarono, insieme, al senso civico ed al fare politica. Poi la società si è trasformata e la funzione stessa dell’istituzione partito è cambiata. Dall’impegno alla sua crescita ed al proselitismo si è passati alla delega al partito della soluzione di ogni problema, anche di quelli che le comunità avrebbero potuto meglio risolvere su piani diversi ed in piena autonomia. Questa delega, a volte eccessiva, ha affievolito l’impegno di tanti ed è stata l’occasione per una presa di distanza ed il ritirarsi nel privato per tanti altri che mal sopportavano l’eccesso di egemonia. A Bologna il fenomeno si è manifestato in modo più massiccio perché il partito rappresentava oggettivamente gran parte dell’elettorato. Così la città ha avuto da una parte un partito forte, talvolta troppo invasivo per effetto anche della debolezza di altre istituzioni cittadine, e dall'altra una società debole, che sbandiera continuamente una pretesa di partecipazione che si riduce in un assemblearismo protestatario ed inconcludente.
Riavvicinare i cittadini alla politica, restituir loro il piacere ed i modi giusti per contare è una delle sfide principali del partito democratico, una sfida possibile ad alcune precise condizioni di metodo e di sostanza. Da una parte la possibilità di formazione di un ceto politico sulla base di regole di effettiva democrazia interna, dall’altra la presa di distanza netta e radicale rispetto a partiti che si richiamano ad una visione del mondo non solidale e non rispettosa dei principi della Costituzione.
Ma sulla base di questi presupposti il Partito Democratico potrà essere egualmente ciò che fu per questa città il PCI di una volta ? Per un verso è auspicabile con riguardo alla grande capacità di coinvolgimento dei cittadini nei problemi della comunità che fu propria del PCI, per altro verso dovrà essere necessariamente diverso l’approccio verso un partito nuovo che bandisce ogni pretesa di egemonia di un pensiero dominante e che presuppone necessariamente il rispetto, la comprensione e l’accettazione di alcune diversità culturali.
Lo strumento delle primarie nell’ambito di un contenitore, il PD, che supera retaggi e steccati culturali oramai privi di senso, sembra l’unica strada presente nel panorama italiano per un vero rinnovamento e superare i difetti e le storture che, per scelta o per necessità, l’attuale ceto politico inevitabilmente si è portato dietro. Esso ci offre anche l’occasione storica per far sì che le esigenze di governo del paese e le scelte volte a regolare la convivenza sociale possano coniugarsi con il rispetto per le storie diverse di ciascuno.
La previsione di un livello strategico (il PD) per la composizione dei diversi punti di vista, evitando che questi esplodano in Parlamento, è destinata a restituire maggiore dignità alla politica, intesa come strumento di concertazione delle linee di sviluppo di un paese. Radicalmente diverso per finalità e modalità deve rimanere invece il confronto parlamentare tra le due diverse visioni del bene pubblico e dei rapporti sociali che costituiscono lo spartiacque del sistema bipolare. Con la costituzione del PD le rappresentanze del paese vengono impegnate ad assumersi in modo trasparente e visibile la responsabilità di una opzione politica complessiva in un senso o nell’altro. Senza disconoscere che in questi anni difficili i grandi partiti hanno comunque avuto il merito di avere salvaguardato una cultura condivisa dei principi costituzionali e la credibilità delle istituzioni democratiche, nonostante la corruzione e la illegalità diffusa e la forte pressione disgregatrice degli egoismi, dei localismi, dei poteri sommersi, della mafia e della delinquenza organizzata, in non poche circostanze sfociata anche in una strategia di violenza che il paese ha respinto con fermezza. Ora i partiti storici ci impegnano in una sfida che occorre raccogliere nella consapevolezza che l’impegno politico oggi vada declinato con sempre maggiore convinzione, ma in modo diverso.
Il referendum costituzionale del 25-26 giugno 2006, e l’interesse che esso ha suscitato, sembra avere aperto la strada per la definizione della vera traccia di discrimine tra le diverse visioni politiche intorno alle quali si è evoluta la coscienza politica degli italiani: da una parte i valori di solidarietà e pluralismo enunziati nei principi fondamentali della Costituzione, dall’altra parte tutti coloro che in essi non hanno mai creduto e che in vario modo nel corso di questi sessant’anni di democrazia hanno sempre operato per svuotarli di operatività.
E’, dunque, ai valori di quella Carta Costituzionale che occorre ritornare, è nell’alveo dei suoi principi che il PD potrà ritrovare materia per i suoi programmi, perché la loro difficile attuazione e la loro elaborazione in chiave moderna richiede energie che lo impegneranno per i prossimi decenni e perché al di fuori di essi continueranno a manifestarsi significative resistenze che sono strutturali nella società italiana.
I contenuti di sostanza potranno approssimarsi nella misura più ampia possibile agli interessi reali del paese solo se gli apparati saranno in grado di ridurre la diffidenza che allontana i cittadini dalla politica, solo se il PD si presenterà in modo appetibile a vasti ceti della società che, pur indisponibili ad una adesione piena ed a rinunziare completamente alla propria identità, siano aperti ad ipotesi di governo più prossime ai propri interessi.
Ma tutto questo sarà possibile solo se le primarie saranno una vera competizione democratica nella quale figure nuove saranno chiamate a misurarsi con le esperienze politiche di coloro che hanno diretto nel recente passato i partiti che si apprestano a fondare il PD.
Ebbene, se una prospettiva di questo genere a livello nazionale può giovarsi di personalità credibili ed accattivanti come Veltroni e Franceschini, che rappresentano una bandiera e sono in grado di coagulare un gradimento molto vasto, a livello locale ha bisogno di rappresentanze politiche più vicine ad un elettorato in parte diverso ed auspicabilmente molto più ampio. Il PD locale non può presentarsi come la replica dell’onnipresente macchina politica del PCI di una volta e dei DS di oggi. Sarebbe una risposta di continuità ed identità con il passato che l’elettorato delle primarie rischierebbe di non comprendere.

No alla Riforma Costituzionale !

REFERENDUM
CONTRO IL PROGETTO DI RIFORMA
DELLA SECONDA PARTE DELLA COSTITUZIONE

che prevede:


I POTERI FORTI PER IL PREMIER

Il Primo Ministro è eletto con voto diretto degli elettori, é indissolubilmente legato alla sua maggioranza, non può accettare nessun altro voto determinate, ma può condizionarla con l’esercizio del suo potere di scioglimento della Camera.


LO SVUOTAMENTO DEGLI ISTITUTI DI GARANZIA

Il Presidente della Repubblica perde il potere di nomina del Presidente del Consiglio e quello di scioglimento delle Camere, cessa di essere il garante degli equilibri istituzionali.
Sulla Corte Costituzionale vi sarà un consistente aumento di influenza dei partiti con conseguente maggiore possibilità di politicizzazione sulle sue decisioni
Con riguardo alla Magistratura viene circoscritto il principio di autonomia del CSM rispetto al Presidente della Repubblica, cui viene attribuito il potere di nominare il Vice Presidente, che attualmente è elettivo.


LA FRAMMENTAZIONE DEL POTERE DI LEGIFERARE

Le competenze legislative vengono frazionate a seconda della materia tra Camera, Senato Federale e Regioni. Solo per limitate materie sopravvive il sistema della doppia approvazione da parte di Camera e Senato. Il Senato Federale viene eletto in occasione delle elezioni regionali. Sia per la possibilità di formazione di maggioranze diverse sia per la difficoltà di una esatta individuazione delle competenze, spesso definite in modo approssimativo, si verificheranno occasioni di una perenne conflittualità.
E’ prevista la possibilità per il Premier di attivare meccanismi di annullamento delle leggi del Senato e delle Regioni deducendo la necessità di dare attuazione al programma di governo o per motivi di interesse nazionale.
La soluzione dei conflitti istituzionali viene affidata, anziché ad un organo indipendente quale è la Corte Costituzionale, ad apposite commissioni parlamentari, praticamente alla stessa maggioranza che sostiene il Governo.


LA DEVOLUTION

Per effetto della “Devolution” le materie della sanità, dell’istruzione e della polizia locale passeranno alla competenza legislativa esclusiva delle Regioni. Si tratta di un trasferimento di competenze che, specie con riguardo alla sanità, comporterà inestricabili problemi in ordine alla sostenibilità economica delle spese dei relativi servizi.
Nella fruizione dei servizi non vi saranno più diritti eguali per tutti gli i cittadini. Saranno accentuate le disuguaglianze già insopportabili tra Nord e Sud secondo una visione egoistica della crescita sociale e dello sviluppo economico. Le più eclatanti si manifesteranno nel campo della sanità, ove una regione ricca potrebbe permettersi di non gravare i propri cittadini del ticket ed una povera non essere in condizioni di poterlo fare.


I DIRITTI FONDAMENTALI INTACCATI

Intaccando i tre grandi principi di base della Costituzione (equilibrio democratico tra maggioranze e minoranze, equilibrio parlamentare tra poteri e contropoteri, equilibrio nazionale tra unità e pluralismo territoriale) si è costruita una passerella di aggressione che va dalla parte organizzativa (la Parte II) alla parte, apparentemente illesa, dei diritti dei cittadini (la Parte I).


A cura del Comitato per il NO al referendum costituzionale di Bologna – c/o Arci via Saffi Bologna

Lo Spirito di questo Referendum Costituzionale

Cosa sanno gli italiani di questo referendum costituzionale ? Ancora poco.
Forse qualche elettore comincia ad avere anche il sospetto di essere stato indebitamente escluso da problemi che lo riguardano direttamente; e, una volta appresi i contenuti, ad allarmarsi per esserne stato tenuto all’oscuro per tanto tempo.
E poi ad appassionarsi ad essi, dopo avere percepito che in realtà la Costituzione gli attribuisce un potere sovrano incredibile: quello di stabilire, in quanto cittadino ed elettore, se interdire o meno al legislatore il potere di introdurre modifiche così radicali alla Costituzione, se dare regole nuove al legislatore e un nuovo assetto alle istituzioni.

Un potere di livello analogo a quello dei Padri Costituenti.

Questo referendum (cd. confermativo e senza quorum di leggi costituzionali per distinguerlo da quello abrogativo di leggi ordinarie) gli attribuisce un potere più importante di qualsiasi altra esperienza elettorale.
Un potere radicale di incidere sugli assetti fondamentali del Paese, molto maggiore di quello esercitato in occasione dei precedenti referendum confermativi che avevano toccato solo aspetti marginali della Costituzione del 1948.
Questa riforma costituzionale - approvata esclusivamente dal centrodestra – modifica radicalmente tutta la seconda parte della Costituzione che va dall’art.55 all’art. 139, lacera gli equilibri costituzionali a tutto vantaggio di un governo forte, avvilisce i poteri di garanzia, altera il principio di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, il diritto cioè ad ottenere medesime prestazioni in materia di sanità ed istruzione.

Ma soprattutto tradisce la funzione della Costituzione di interpretare valori sentiti ed interpretati da tutto il paese come parte della propria coscienza civile.
Non ho dubbi che quando i cittadini avvertiranno la portata della espropriazione di sovranità di cui rischiano di essere oggetto, si recheranno alle urne con un senso di orgoglio che dà senso pieno al carattere democratico delle istituzioni.

Nonostante la pluralità degli appuntamenti elettorali degli ultimi mesi, la affluenza elevatissima - che ha pochi pari in altri paesi - è già essa stessa una prova di immedesimazione dei cittadini alle loro istituzioni e in fondo anche di attaccamento alla cosa pubblica.
Al di là delle esperienze negative in cui talvolta incorrono nei loro rapporti con gli uffici ed i servizi pubblici, statali o locali, i cittadini hanno la sensazione che solo in essi possano trovare il luogo fisico ove le differenze si possono riequilibrare, dove si innerva il senso della comunità locale e nazionale.
E così avvertono la consapevolezza di doverli salvaguardare affinché siano amministrati secondo logiche che non corrispondano a quelle dell’egoismo di natura leghista che lentamente ed insidiosamente si vanno insinuando nella convivenza civile ovvero del profitto, che bene si adatta alle merci, ma sulla base di quei principi di solidarietà e partecipazione democratica, ai quali dovrà necessariamente essere ispirata qualsiasi modifica si intenda portare in futuro alla Costituzione.

Claudio Nunziata
1 giugno 2006

Come rendere trasparenti le posizioni di maggioranza

Dopo la vittoria elettorale ed i primi positivi esiti parlamentari torniamo a prestare attenzione ai rischi che corre la Costituzione, argomento completamente pretermesso dalla campagna elettorale.
Nella riforma costituzionale abbiamo un Primo Ministro che fa di tutto: si fa proclamare direttamente dal popolo, dispone a suo piacimento dei ministri, tiene sotto scacco la maggioranza parlamentare, si appropria del potere di sciogliere il Parlamento, può ottenere che la Camera decida nelle materie attribuite alla competenza del Senato e che il Parlamento annulli le leggi regionali.
Per consentirgli di realizzare agevolmente questi obiettivi la nuova legge elettorale gli fornisce in dote un premio di maggioranza rivolto ad assicurare la governabilità, ma che gli consente anche di fare tante altre cose che con la governabilità non hanno nulla a che fare: tra queste la nomina del Presidente della Repubblica e le modifiche costituzionali.
In realtà le riforme in buona parte cristallizzano una pratica che nel corso della legislatura appena cessata era già diventata operativa con forzature della Costituzione vigente. Prima che si formi una sorta di assuefazione a queste pratiche, occorre ripristinare i corretti equilibri costituzionali e rimettere il catenaccio alla Costituzione, salvo quelle riforme che risulteranno unanimemente condivise da tutte le forze politiche e che interpreteranno i reali sentimenti del paese.
Ma prima di ogni intervento riformatore occorrerà ripristinare il funzionamento degli organi di garanzia per contenere quel tendenziale strapotere dell’esecutivo che in un sistema bipolare (che si basi su una maggioranza assoluta precostituita) può teoricamente affermarsi.
Oramai da molti anni in Italia si cerca di risolvere il problema della frammentazione del sistema politico e della breve durata dei governi ponendo mano a riforme costituzionali ed elettorali. Ma se particolari soglie di maggioranza erano state previste dal Costituente per passaggi parlamentari che richiedevano il consenso anche delle forze politiche di opposizione, l’alterazione del sistema di rappresentanza dell’elettorato attraverso i nuovi sistemi elettorali le ha rese effimere.
E le vicende politiche degli ultimi dodici anni hanno dimostrato che, nonostante le riforme proposte, la contraddizione tra rappresentatività e governabilità resta insanabile, perché ha lasciato irrisolti i rischi di instabilità e la molteplicità delle formazioni politiche che continuano a rappresentare una connotazione del modo tutto italiano di fare politica.

La alterazione del principio di rappresentatività con il governo Berlusconi ha dimostrato di prestarsi anche ad atteggiamenti prevaricatori delle posizioni di maggioranza con effetti distorsivi degli equilibri democratici, perché la Costituzione del 1947, ed anche la recente riforma costituzionale, non prevedono meccanismi di salvaguardia – vale a dire soglie di maggioranza particolarmente qualificate - per assicurare l’indipendenza degli organi di garanzia e la condivisione tra maggioranza e opposizione delle riforme di sistema.

Questa è la frontiera sulla quale il centrosinistra dovrà misurarsi, anche prescindendo dalla posizione di vantaggio di cui attualmente gode, perché la trasparenza fa bene alla democrazia e la disponibilità alla trasparenza farà bene all’Unione. E, nel caso auspicato in cui i NO prevarranno nel referendum costituzionale, la nuova maggioranza dovrà occuparsi di approvare con urgenza - a qualsiasi costo - e, se del caso, anche con i soli propri voti, una riforma dell’art. 138 che elevi la soglia per la modifica della Costituzione dalla maggioranza assoluta ai due terzi, salvaguardandone la effettiva rigidità rispetto a qualsiasi colpo di mano.

Certamente tutto questo non può giustificare la rinunzia al tentativo di ricercare soluzioni efficaci al problema della governabilità, che é un problema reale, ma esso richiede una estrema cautela per garantire in via prioritaria che non vengano intaccati l’equilibrio tra i poteri dello stato ed i valori garantiti dalla Costituzione vigente. Si dovrà pertanto intervenire, ma preservando il bilanciamento di principi e valori, senza che nessuno di essi possa essere annullato a scapito dell’altro.
Deve essere chiaro che in un sistema democratico quanto più si lasciano le mani libere all’esecutivo tanto più devono essere rafforzati i poteri di garanzia. Sotto il governo Berlusconi è avvenuto esattamente il contrario, si è tentata tanto la strada della delegittimazione quanto quella del depotenziamento degli organi di garanzia, che con la riforma costituzionale verrebbero definitivamente neutralizzati.
Anche se il quadro costituzionale rimarrà, come tutti ci auguriamo, salvaguardato, occorrerà egualmente evitare che si ripetano – da parte di chiunque – rischi di alterazioni del quadro costituzionale o modifiche che non siano unanimamente condivise.
Poi occorrerà creare le condizioni affinché tutti gli organi di garanzia siano in grado di esprimere la massima capacità operativa, recuperando anche quella situazione di strutturale debolezza in cui attualmente versano.
E prima ancora, che non sia possibile ad un capo di governo, ma anche a qualsiasi altro potere, di attaccare e di interferire con essi e, soprattutto di condizionare il voto elettorale attraverso un dominio spropositato sui mezzi di comunicazione ovvero attraverso disponibilità economiche che alterano il principio della pari opportunità fra i competitori.
E bisogna neutralizzare le situazioni in cui possono svilupparsi il voto di scambio e la possibilità di acquisire il consenso politico con promesse di danaro e altre utilità. Occorre cioè assicurare gli standard di democrazia avanzata, eliminando una volte per tutte i rischi di autoritarismo e di manipolazione che si sono creati per effetto di una legislazione istituzionale dissennata.

Claudio Nunziata, 30 aprile 2006

Gli Organi di Garanzia nella Riforma Costituzionale

IL RIDIMENSIONAMENTO DEGLI ORGANI DI GARANZIA NELLA RIFORMA COSTITUZIONALE VOTATA DALLA DESTRA

Da lungo tempo, per risolvere il problema della frammentazione del sistema politico e della breve durata dei governi, è stato avviato il percorso delle riforme istituzionali. Talvolta si è perso di vista che fondamentale per una democrazia è la controllabilità dell’esecutivo che viene assicurata assicurare attraverso il potere attribuito agli organi di garanzia. Problema che viene spesso eluso per la sua attitudine a spogliare la governabilità di un attributo che non le è essenziale ma che è molto ambito: la facoltà di avere le mani libere, molto attrattiva per chi esercita il potere.
Lo ha dimostrato la legislatura precedente dove la presenza nel governo dei segretari dei tre maggiori partiti e la alterazione del principio di rappresentatività, determinata dai meccanismi surrettizi del sistema elettorale, si sono prestati ad atteggiamenti prevaricatori delle posizioni di maggioranza con effetti distorsivi sugli equilibri democratici e sull’etica pubblica.
La legislazione ad personam testimonia la subordinazione assunta del Parlamento rispetto all’Esecutivo con il capovolgimento completo della strutturale autonomia che esso avrebbe dovuto conservare.
Il disastro della finanza pubblica dimostra che alla scarsa sensibilità verso la cosa pubblica possono corrispondere scelte arbitrarie e troppo sbilanciate verso gli interessi privati.
Questi gli effetti di forzature costituzionali, indipendenti dalla riforma, già in una condizione di strutturale debolezza degli organi di garanzia (Capo dello Stato, Corte Costituzionale, Magistratura). Dirompenti sarebbero gli effetti in una situazione di radicale alterazione della loro struttura, quale è prevista dalla riforma costituzionale.

Il Capo dello Stato, che aveva già visti reiteratamente respinti dalla precedente maggioranza i suoi inviti al riesame di leggi che presentavano aspetti di incostituzionalità, nel progetto di riforma perde gli unici poteri forti di cui dispone, il potere di nomina del Presidente del Consiglio e quello di scioglimento delle Camere.
Conseguentemente cesserà di essere il supremo garante degli equilibri istituzionali e sarà ridotto a figura solo rappresentativa. Perderà persino la possibilità di nominare un governo di garanzia che assicuri lo svolgimento delle elezioni nelle fasi di crisi della maggioranza di governo.
La facoltà di nominare 5 senatori a vita viene sostituita da quella di nominare un numero di deputati a vita che alla Camera non potrà mai essere superiore a tre. Non vale a rivalutare il suo ruolo la possibilità attribuitagli di nominare i Presidenti delle Autorità Indipendenti.

Viene alterata anche la composizione della Corte Costituzionale aumentando da 5 a 7 i membri nominati dalle camere e riducendo da 5 a 4 sia quelli nominati dal Capo dello Stato che quelli nominati dalla magistratura.
Di conseguenza il divario tra i membri di origine parlamentare e quelli provenienti dalle altre due componenti si riduce da 5 contro 10 a 7 contro 8 con conseguente aumento di influenza delle istanze di natura politica in sede di decisione.
Una Corte Costituzionale troppo politicizzata rischia di perdere quella sua attitudine ad esprimere un sindacato di costituzionalità oggettivo ed indipendente sulle leggi approvate dalla maggioranza parlamentare.
Un sindacato, già in crisi per i limitati poteri di attivazione, verrà con la riforma di fatto paralizzato in conseguenza della nuova competenza attribuitale di risolvere i conflitti di attribuzione dei comuni nei confronti di regione e stato, attualmente riservati alle giurisdizione amministrativa.

L’unica parte del progetto che va ad incidere sulla Magistratura è quella che attribuisce al Presidente della Repubblica il potere di nominare il Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura - oggi riservata allo stesso Consiglio - e quella che costituzionalizza la prassi già in vigore di limitarne la individuazione tra i membri di nomina parlamentare.
Questa novità non ha significato secondario perché tende a trasformare la figura del Vicepresidente in un delegato, un esecutore cioè delle direttive del Presidente, riducendo il carattere simbolico della autonomia del Consiglio Superiore. L’alterazione dei principi costituzionali in materia di giurisdizione era stata già perseguita per la diversa strada della riforma dell’ordinamento giudiziario, approvata con legge ordinaria, e con il sistematico attacco alla sua autorevolezza ed alla sua immagine di imparzialità.

La debolezza degli strumenti di controllo rischia di accentuare il carattere autoritario della nuova figura di Primo Ministro. Dovrà essere dunque chiaro che qualsiasi ipotesi di futura riforma, se vorrà conservare un carattere democratico, non potrà prescindere dal rafforzamento dei poteri di garanzia, a maggior ragione se saranno potenziati i poteri dell’esecutivo.

Claudio Nunziata
28 maggio 2006

Gli effetti della legge Cirielli-Vitali

Il silenzio del Ministro della Giustizia sugli effetti della legge Cirielli-Vitali, una legge dalle immediate conseguenze disastrose per il contrasto alla criminalità.


Il Parlamento si avvia ad approvare una legge dalle immediate conseguenze disastrose per il contrasto alla criminalità. Gli effetti sono quelli di una amnistia destinata ad avere effetti permanenti nel tempo sino a che dureranno le condizioni di scarsa funzionalità del sistema giudiziario. Ma anche in condizioni di normale funzionalità la legge in discussione vanificherà il lavoro giudiziario in quei processi comunque destinati, per effetto di una qualche particolare complessità o di una tardiva conoscenza della notizia del reato, ad una sentenza definitiva lontana nel tempo dalla commissione del reato. E’ una sanzione che non è prevista negli altri sistemi giuridici europei, ove la prescrizione opera solo con riguardo al momento di esercizio dell’azione penale. Per il ritardo ingiustificato del processo è prevista (in Italia dalla legge Pinto) una diversa sanzione, di carattere pecuniario, a ristoro del danno che l’imputato ha patito per la prolungata durata del processo.
Ed il carattere esplicitamente diretto a realizzare una amnistia è evidente dal fatto che, contrariamente ad ogni criterio di razionalità, la legge Vitali (ex-Cirielli) si applica un nuovo metodo di calcolo della prescrizione con riferimento ai processi già in corso, per i quali i giudici nella organizzazione delle tempistiche del proprio lavoro facevano affidamento a tempi diversi.
La logica dell’azzeramento del passato fa parte della cultura di questa destra che si illude di ricominciare sempre da zero oscurando la memoria del passato e la complessità dei problemi. E vi sono poi le contraddizioni: il Ministro della Giustizia da una parte afferma di volere introdurre norme di maggiore severità nei confronti dei recidivi (coloro che sono stati già condannati per avere commesso reati in precedenza) e dall’altra impedisce che la responsabilità di buona parte di essi venga accertata.
Si illude inoltre di creare le premesse per una maggiore funzionalità della macchina giudiziaria ignorando che anche lo smaltimento di una massa così elevata di processi (circa il 50% di quelli pendenti) richiede udienze ad hoc e tanti adempimenti formali da bloccare tutti gli uffici giudiziari per alcuni anni, sufficienti per creare nuovi arretrati. Senza che venga creata alcuna premessa perché la funzionalità del sistema penale venga migliorata e possa funzionare a regime. E senza considerare che non è seriamente sostenibile che abbreviare i termini della prescrizione serva ad abbreviare i tempi del processo. Allo stato – e cioè nel contesto dell’attuale sistema processuale penale - è vero esattamente il contrario: la prescrizione opera oggettivamente come un potente fattore di induzione all’adozione di ogni tipo di espediente al fine di dilatare i tempi processuali e ad utilizzare le impugnazioni per scopi, appunto, di mera dilazione.
La maggioranza parlamentare finge di ignorare le dimensioni macroscopiche degli effetti di questo progetto di legge. Il Ministro della Giustizia rifiuta di fornirne i prevedibile dati dell’impatto, che egli pure possiede o che comunque può agevolmente acquisire. Ormai in tutti gli uffici giudiziari vengono monitorati informaticamente tutti gli eventi processuali ed il Ministro aveva chiesto ed ottenuto i dati necessari per le conseguenti elaborazioni dall’80% delle Corti di Appello. Non potrà certo sostenere di non essere stato in grado di eseguire nemmeno una proiezione prossima alla realtà. Egli è affiancato da consulenti di organizzazione, da lui chiamati al Ministero sulla base di un incarico che peraltro aveva già suscitato l’attenzione della Procura Generale della Corte dei Conti che ha all’uopo aperto una indagine. Destinataria dell’incarico era una società proveniente dall’ambiente dei grandi elettori del Ministro creata appena qualche mese prima e che nessuna particolare esperienza aveva in materia giudiziaria. In numerosi convegni lo stesso Ministro ha presentato come già realizzato da tale società il cd. “cruscotto”, uno strumento di monitoraggio in tempo reale del lavoro giudiziario che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto evidenziare le inettitudini dei singoli magistrati che secondo la sua concezione impediscono il buon funzionamento della macchina giudiziaria. I suoi consulenti, invece, erano ben lontani dal realizzare lo strumento miracoloso e, soprattutto, erano completamente fuori strada non avendo posto previamente l’attenzione sulla esigenza di monitorare le disfunzionalità strutturali e quelle organizzative, che peraltro sarebbero state di più agevole percezione. Con questi consulenti e con la collaborazione dello staff ministeriale di specialisti in discipline statistiche, è difficile pensare che al Ministro non sia stato possibile quantificare l’impatto del progetto di legge Vitali (ex-Cirielli).
Il Consiglio Superiore della Magistratura, l’Associazione Nazionale Magistrati, le Camere Penali sulla base di dati di esperienza hanno già lanciato l’allarme di un impatto insostenibile per la sua estensione. I dati eseguiti su un campione di processi pendenti presso la Corte di Appello di Bologna forniscono un dato allarmante: le prescrizioni per effetto della riforma passeranno dal 10% al 40% dei processi a carico di imputati a piede libero con una prevedibile ricaduta in tutto il territorio nazionale per la sola fase di appello a favore di circa 140.000 imputati. Difatti i beneficiari delle prescrizioni passano da 2000 a 7000 presso la Corte di Appello di Bologna il cui campione rappresenta circa un ventesimo del dato nazionale . Questo dato è destinato per lo meno a raddoppiare in relazione all’ingente pendenza delle Procure e dei Tribunali. A tutti costoro vanno aggiunti quelli che aspirano a beneficiarne nei prossimi anni. Se si considerano anche le famiglie degli imputati si potrà agevolmente quantificare il numero degli elettori che sono in condizioni di manifestare la propria gratitudine a questa maggioranza parlamentare in prossimità delle elezioni.

Vai all'Allegato 1:

ANALISI DEI POSSIBILI EFFETTI SULLA PRESCRIZIONE
DEL PROGETTO DI LEGGE CIRIELLI-VITALI

( aggiornato alle modifiche apportate al testo in discussione)



Vai all'Allegato 2:

VALUTAZIONE SUI DATI DI IMPATTO
DEL PROGETTO DI LEGGE VITALI (EX CIRIELLI)
FORNITI PARLAMENTO IL 4/10/2005


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Claudio Nunziata magistrato in pensione già Referente Distrettuale per l’Informatica presso la Corte di Appello Emilia-Romagna – ettore Penale














Allegato 2
VALUTAZIONE SUI DATI DI IMPATTO
DEL PROGETTO DI LEGGE VITALI (EX CIRIELLI)
FORNITI AL PARLAMENTO IL 4/10/2005
a cura di Claudio Nunziata

La analisi eseguita dai tecnici del Ministro della Giustizia resa pubblica il 4.10.2005 è dichiaratamente insufficiente, ma è suscettibile di una revisione critica che consente di pervenire a dati maggiormente significativi ed affidabili:
a) La analisi è stata eseguita su un campione molto ridotto senza alcun confronto con gli effetti che sullo stesso campione sarebbero determinati dalla applicazione della legislazione attuale in materia di prescrizione;
b) essa fornisce l’indicazione di un impatto di applicazione del progetto di legge tra i 2742 ed i 741 processi, a seconda della recidiva contestata. Le tabelle 2-3-4 allegate alla analisi chiariscono esplicitamente che il calcolo è stato eseguito calcolando tre ipotesi di recidiva e che non è stato eseguito alcuna analisi nella ipotesi, assolutamente prevalente, di esclusione della recidiva(1). Contraddittoriamente a pag. 7 della analisi ministeriale si afferma che la tabella 2 (impatto=2742) si riferisce ai casi per i quali non è stato eseguito aumento dei termini di prescrizione per recidiva;
c) si tratta di una analisi su un campione di 16.182 processi su 132.182 pendenti presso le Corti di Appello pari al 12,24% del totale, sicché la proiezione di impatto sul totale determina un aumento della previsione di impatto da 2742 a 22.401 e da 741 a 6.053;
d) il campione di 16.182 è stato scelto dal Ministero escludendo il 42% delle pendenze facenti capo a 9 Corti di Appello che non utilizzano il programma informatico ministeriale RE.CA. ed escludendo altresì tutti i processi con più imputati e con più reati;
e) il calcolo è stato operato sui processi e non sui reati pendenti. Posto che il rapporto processo/reati è mediamente di 1 / 2,2, le risultanze calcolate vanno moltiplicate per il coefficiente 2,2(2). In tal modo la proiezione di impatto, in termini di reati, aumenta rispettivamente a 49.282 e 13.316. Per il prosieguo si terrà conto solo del primo dato, essendo il secondo scarsamente realistico;
f) la base della analisi è stata inoltre circoscritta ai soli reati previsti dal codice penale con esclusione di reati previsti da leggi speciali di grande incidenza come lo spaccio di sostanze stupefacenti-ipotesi lievi (11,68%), i reati in materia fiscale (0,26 %), in materia di armi (0,79%), in materia di prostituzione (1,22%) e le bancarotte fraudolente ( 2,86%) per un totale pari a circa il 16,81% dei reati oggetto di processi pendenti per i quali il termine di prescrizione per effetto del disegno di legge si dimezza o si riduce comunque in misura consistente e prossima alla durata presumibile di trattazione. A questi vanno aggiunti gli altri reati previsti dal codice penale non presi in considerazione nella analisi ministeriale, quali la circonvenzione di incapace, i falsi pubblici, i furti in abitazione e con destrezza, le truffe alla CEE, il sequestro di persona, che hanno comunque una incidenza pari a circa il 3,99%. Il totale dei reati rilevanti non presi in considerazione è, dunque, pari al 20,80% dei reati(3), vale a dire pari a 60.486 reati (20,80% dei reati relativi ai processi pendenti presso le Corti di Appello pari a 132.182 x 2,2 = 290.800 reati).
g) Dunque, partendo dai dati ministeriali ed eseguendo la necessaria proiezione il dato di impatto indicato aumenta da 2742 a 109.768 reati unitari (49.282+60.486) che verranno travolti dal progetto di legge, considerando per poco meno della metà di essi come sempre applicata la recidiva reiterata con aumento dei tempi della prescrizione di un quarto. Il dato di 109.768, diviso per il rapporto reati/processi di 2,2 / 1, si traduce in un impatto su 49.894 processi, pari al 37% della pendenza di 132.182 processi
h) Esso si riferisce, comunque, ai soli processi pendenti in appello, ai quali devono essere aggiunti quelli che si prescriveranno nelle Procure, in primo grado ed in Cassazione, e dà la misura delle prescrizioni che si determineranno per effetto del progetto di legge Cirielli Vitali senza confronto con le prescrizioni che si verificherebbero sulla base delle attuali disposizioni dell’art. 157 c.p.
i) La proiezione eseguita sui dati raccolti dal Ministero è da considerare attendibile dal momento che essa fornisce un risultato prossimo a quello risultante dalla analisi, più analitica, eseguita sulla base di un diverso metodo sui processi pendenti presso la Corte di Appello di Bologna, sulla base della quale l’impatto del progetto di legge Cirielli-Vitali sarà del 40%, con un aumento del 300% delle prescrizioni che si determinerebbero sulla base della normativa attualmente in vigore (9,57%) (4).
j) La leggera differenza tra il risultato basato sui dati ministeriali e quello sui dati della Corte di Appello di Bologna è da ascriversi al fatto che nel primo caso è stata calcolata una maggiore incidenza della recidiva. Comunque la prossimità dei due risultati (37% e 40%), cui si è pervenuti seguendo percorsi diversi, rappresenta una conferma di notevole portata circa la affidabilità del dato di impatto.
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(1) La recidiva nella maggioranza dei casi (poiché la sua contestazione è per legge facoltativa) o non è contestata o risulta già esclusa per effetto della già avvenuta applicazione di attenuanti. Di scarsissima ricorrenza le altre forme di recidiva pluriaggravata che determinano aumenti ulteriori del termine di prescrizione. Va inoltre ricordato che la disposizione del progetto di legge, che esclude in alcuni casi la rilevanza delle attenuanti sulle aggravanti e sulla stessa recidiva (art.6), essendo norma di carattere sostanziale non può avere efficacia per le pendenze attuali per effetto dell’art. 2 c.p. (principio della prevalenza della legge più favorevole) e, quindi, varrà solo per i processi non ancora giudicati in primo grado che arriveranno in appello solo tra tre o quattro anni. Analoga valutazione va fatta con riferimento alle ipotesi di reato per le quali è previsto un aggravamento della pena.
(2) Il rapporto processo/imputati è invece mediamente 1 / 1,3. Tali relazioni sono calcolate sulle pendenze della Corte di Appello di Bologna.
(3) La percentuale di distribuzione del tipo di reati è stata eseguita sulle pendenze della Corte di Appello di Bologna.
(4) Nella analisi sui dati della Corte di Appello di Bologna sono esclusi tutti i processi già prescritti, che presso la Corte di Appello di Bologna sono pari al 32,02%.

Una soluzione per le elezioni primarie

Abstract: “Fermo restando che l’esperienza delle primarie potrà manifestarsi utile anche se articolata in altro modo, si espone di seguito la sintesi di una possibile regolamentazione di primarie che si propone come complementare a meccanismi trasparenti di scelta dei candidati da introdurre all’interno dei partiti (primarie di partito): a) una riserva di candidature (ad esempio 1/3) a disposizione dei partiti da distribuire tra essi in proporzione della relativa consistenza; b) una riserva di candidature (ad esempio 1/6) a disposizione delle associazioni concordemente ammesse da tutti i partiti della coalizione, dei sindacati ed eventualmente anche di finanziatori; c) primarie aperte a terzi non iscritti ai partiti per una quota delle candidature (almeno ½); d) previsione di un rapporto tra le candidature riservate ai partiti e le candidature da attribuire in base ai risultati delle primarie aperte a terzi pari al rapporto di partecipazione dei relativi elettori alle stesse, fatta salva o meno la quota di 1/3 comunque riservata ai partiti…”


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|Perchè le primarie|Le problematiche|Le valutazioni|Il rapporto con i partiti|Il ruolo delle associazioni|La posizione dei cittadini|La Proposta|Il supporto dell'informatica |
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Perchè le primarie

Nell’affrontare il problema delle primarie occorre evitare di lasciarsi suggestionare dal modello americano e tenere nettamente distinta la nozione di “primarie” da quella di uno strumento di partecipazione destinato solo a ratificare scelte già maturate nelle sedi proprie, come la candidatura a premier di Romano Prodi pacificamente accettata dall’elettorato e dai partiti della coalizione di centrosinistra, che si potrà fare ma al diverso fine di consolidare la sua posizione affrancandola da alcuni condizionamenti impropri. Personalmente credo che lo stesso obiettivo potrà essere realizzato in modo più appropriato assicurando una significativa quota di candidature sottratte alle logiche sommerse dei partiti di riferimento.
Le primarie vere e proprie sono un’altra cosa. Sono uno importante strumento di accrescimento della democrazia destinato a contribuire al ricambio della classe dirigente che viene candidata a governare il paese. Un istituto che non deve essere vissuto in funzione antipartito, ma, al contrario, come una occasione per rafforzare la struttura dei partiti stimolandoli a tener conto di una esigenza di condivisione diffusa.
Questo obiettivo potrebbe ovviamente essere realizzato anche attraverso l’ampliamento della base degli iscritti ai vari partiti della coalizione, attraverso l’accrescimento dei meccanismi di democrazia interna e attraverso metodi più trasparenti di scelta dei candidati proposti dai partiti. Ma per vari motivi non sembra che vi siano le premesse per una evoluzione della vita politica in tal senso: per la distanza - e a volte anche la separatezza - che si è creata tra partiti e società e per il ruolo che sono andati assumendo nella società contemporanea varie forme di aggregazione alternative ai partiti, che occorre invece coinvolgere nelle scelte politiche fondamentali. La loro presenza attiva nella società dimostra che non è venuta meno la passione per i problemi della politica, ma solo che sono venute meno le condizioni di fedeltà ideologica – spesso acritica - che una volta consentivano di canalizzarla tutta attraverso la stretta appartenenza ad un partito.
Le primarie si propongono come uno strumento indispensabile per rimettere in moto questo potenziale e governarlo attraverso un percorso garantito che potrebbe consentire, ai partiti che l’accettassero, un riconoscimento più ampio della loro funzione. Peraltro le primarie si prestano anche a contenere le occasioni di competizione, spesso esasperata, tra i vari partiti di uno schieramento e quell’odioso potere di interdizione che in occasione di ogni competizione elettorale viene utilizzato da parte dei partiti marginali per contare più di quanto il loro peso elettorale consenta.
Certamente per suscitare attenzione su questo tema occorre vincere la comprensibile resistenza di chi crede fermamente nella superiore rilevanza del ruolo dei partiti ovvero la preoccupazione di chi teme di creare nuove occasioni di scontro o polemica all’interno dello schieramento di centrosinistra.
Ma, senza disconoscere il ruolo dei partiti, la preoccupazione di una possibile esasperazione della conflittualità in conseguenza della competizione tra le liste e la moltiplicazione degli aspiranti alle varie candidature, tende a nascondere la realtà di una competizione che comunque esiste ed una pluralità di aspirazioni che, comunque ed inevitabilmente, è destinata a rendere vivace il clima politico, che altrimenti sarebbe destinata a manifestarsi soltanto in forme sotterranee e non trasparenti.
Queste tensioni con le primarie avrebbero, invece, possibilità di esplicarsi mediante civili e leali confronti, che potranno essere disciplinati attraverso rigidi meccanismi di contenimento della forme di pubblicità personale e di lista. Peraltro le primarie possono consentire ai partiti di esprimere, sotto la spinta della competizione, candidati di grande prestigio che avrebbero possibilità di affermarsi per la loro coerenza con una determinata linea politica. Ed i confronti tra le varie linee politiche non devono essere nascosti o evitati perché sono un fattore di accrescimento della vitalità di uno schieramento. Coinvolgendo in essi l’elettorato, si rende esplicito che il luogo comune promosso dalla destra che li spaccia come momenti di regressione dalla politica, sono del tutto pretestuosi.
Esista o meno in Italia un problema di crisi dei partiti, è sufficiente riflettere sulla progressiva riduzione della base degli iscritti e sulla contrazione della partecipazione attiva alla vita dei partiti, sul ruolo e la rilevanza che oggi hanno assunto, accanto ai partiti, gli organismi intermedi e sulla esigenza di colmare la distanza tra partiti e cittadini, per rendersi conto che le primarie possono essere uno strumento efficace per riconquistare alla politica – e quindi al confronto - più ampi strati di popolazione, forse l’unico strumento praticabile che presenti caratteri coerenti con gli istituti di una democrazia. E si può certamente affermare, senza possibilità di smentite, che il carattere autoritario o democratico di un partito – ove la base sociale dei propri iscritti non sia abbastanza diffusa nel contesto sociale - sia valutabile proprio in relazione alla sua disponibilità ad accettare il sistema delle primarie.
Nel nostro paese la sovranità popolare oggi si esprime solo manifestando con il voto la preferenza verso l’uno o l’altro schieramento, non è più consentita la scelta tra una pluralità di candidati dello stesso schieramento. Può esser dubbio che tale limitazione soddisfi il dettato della Costituzione: l’art. 48 della Costituzione afferma che il voto è personale ed eguale; l’art. 49 che tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale, l’art. 51 che tutti possono accedere alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, l’art. 56 che “la Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto”. Oggi vi è una parte del potere di scelta che non è possibile esercitare con il voto elettorale, questa scelta viene esercitata all’interno dei partiti e, spesso, tra i partiti di una coalizione a seguito di estenuanti e spesso non trasparenti trattative: si tratta di quella parte che riguarda il potere di influenza da attribuire all’interno dello schieramento ai vari partiti della coalizione e di quella che riguarda la scelta dei candidati da proporre nei vari collegi.
Certo, il potere di influenza dei cittadini su queste scelte può passare attraverso la partecipazione alla vita dei partiti. Ma, da una parte non esistono regole che assicurino in modo trasparente la democrazia interna dei partiti, sicché si determinano rapporti di forza che attribuiscono questo potere di scelta in modo prevalente a chi all’interno di essi ha una posizione radicata, dall’altra si escludono da questa possibilità di influenza tutti quei cittadini che non posseggono una vocazione ed una preparazione a districarsi nei meandri delle discussioni politiche e delle posizioni politiche. Ma non è costituzionalmente corretto che a questo atteggiamento debba corrispondere una riduzione del proprio potere di concorrere a determinare la politica nazionale.
In certo qual modo deve ammettersi che la politica attiva all’interno dei partiti rimane riservata a persone che hanno una predisposizione ed una capacità di analisi non comuni e che la discussione politica spesso diventa accessibile ai soli iniziati. Tutti gli altri cittadini ne rimangono fuori, sono espropriati di una parte del suffragio diretto, rimangono fuori dalla selezione della classe dirigente del paese e vengono posti in condizione di non poter manifestare consenso o sfiducia per il comportamento tenuto nel corso della legislatura dall’uno o dall’altro candidato.
Quale che ne sia la ragione vi è una parte consistente di cittadini che rimangono esclusi da tutte le scelte propedeutiche alla competizione elettorale che sono strettamente interconnesse con la possibilità di espressione del voto. Con la trasformazione del sistema proporzionale in maggioritario questa esclusione si è accentuata in quanto non è dato all’elettore neanche la sensazione di potere optare all’interno di una lista precostituita per un candidato piuttosto che per un altro. Questa situazione è destinata ad influire sul ricambio e la rigenerazione della classe politica e ad accentuare la sensazione di separatezza tra partiti e società, tra cittadini e politica, ad inaridire il flusso di ricchezza di idee che può apportare ad uno schieramento il contributo dei cittadini che hanno esperienze professionali e di lavoro diverse.
Che il sistema maggioritario sia stato introdotto in Italia senza gli istituti accessori che esso necessariamente comporta, è un fatto oramai assodato. Uno di questi è il meccanismo per la scelta dei candidati, che deve essere restituito alla scelta da parte degli elettori che era comunque soddisfatta dal sistema proporzionale. In mancanza si attribuisce alle burocrazie di partito un potere sproporzionato, accentuato dalla mancanza di adeguati meccanismi di controllo democratico all’interno dei relativi statuti.
Occorre restituire agli elettori la sensazione concreta di potere con il proprio voto formulare un giudizio politico sul modo con cui gli eletti hanno gestito il proprio mandato. E’ necessario porre fine al sistema di cooptazioni incomprensibili da parte dei partiti o per lo meno evitare scelte non condivise dei soggetti che andranno a ricoprire ruoli istituzionali. Ed anche se le primarie finissero per ratificare le scelte del partiti, il solo fatto della loro esistenza costituirebbe uno stimolo utilissimo verso un miglioramento delle loro scelte con il risvolto ulteriormente positivo di una complessiva maggiore loro credibilità.
Uno schieramento che abbia attenzione a questi problemi si qualifica, uno schieramento che non lo faccia o che cerchi anche solo di glissare su questi problemi si qualifica in senso opposto. Opporsi oggi alle primarie, specie dopo che il tema è stato proposto, assumerebbe un significato ancora peggiore. Si perderebbe peraltro l’occasione di segnare la differenza, di spendere la più favorevole delle occasioni per dimostrare la diversità tra uno schieramento autoritario ed aziendalista rispetto ad uno schieramento che ha la capacità di misurarsi su questo terreno e di indicare anche le scelte migliori per praticare una democrazia più evoluta. L’elettorato è sensibile su questi temi e questo potrebbe rappresentare uno dei primi caratteri di appetibilità di uno schieramento.

Quali problematiche pongono le primarie
Vi sono alcune obiettive difficoltà nella identificazione della tecnica migliore da seguire per svolgere le primarie. Da una parte è necessario rendere compatibile la partecipazione alle primarie indette da uno schieramento con la esigenza di tutela del principio costituzionale di segretezza del voto e per tale motivo la partecipazione alle primarie viene prevista solo come una facoltà dell’elettore. Dall’altra occorre evitare che una limitata partecipazione alle primarie consenta ad una piccola quota di elettori non iscritti ai partiti di imporre scelte che vengono subite dal resto dell’elettorato. Ed infine occorre prevedere meccanismi che riducano al minimo tentativi di inquinamento da parte di schieramenti avversari ovvero operazioni di lobbysmo per imporre determinate candidature.
Sono state formulate alcune proposte di legge (tra cui le proposte Mazzucca e Chiaromonte ed alcune di iniziativa popolare) e sono stati svolte approfondite analisi da parte di studiosi, ma le modalità di svolgimento delle primarie sono rimaste sempre nel vago. Di seguito indico alcune delle possibili opzioni che devono essere risolte con riguardo ai vari profili che si pongono alla analisi:

  1. con riguardo alla fonte :

    • previsione di una specifica norma costituzionale,
    • previsione di una norma di legge integrativa dell’art. 49 della Costituzione,
    • modifica degli statuti dei partiti
    • accordo tra tutti i partiti della coalizione.

  2. con riguardo all’ambito delle primarie:
    • per tutti i tipi di elezioni a sistema maggioritario
    • per le consultazioni politiche nazionali
    • per le elezioni regionali
    • per le elezioni comunali

  3. con riguardo all’oggetto della consultazione:
    • la scelta del candidato premier, del candidato presidente della regione o della provincia o del candidato sindaco
    • la scelta di qualsiasi candidato (deputato, senatore, consigliere regionale o comunale) da indicare come candidato nel collegio,
    • possibilità di scelta plurima dei candidati dei collegi e del premier, presidente o sindaco,
    • possibilità di scelta tra tesi congressuali,
    • possibilità di scelta su temi controversi indicati dai partiti della coalizione,
    • consultazioni periodiche di verifica sull’attuazione del programma.

  4. con riguardo alla indicazione dei candidati:
    • candidati indicati dai partiti,
    • candidati scelti da “saggi” indicati dai partiti,
    • previsione di primarie interne di partito per la scelta delle candidature riservate ai partiti,
    • candidati proposti da un numero x di elettori con o senza deposito cauzionale di una somma di danaro (ad es. : 750 euro) rimborsabile solo in caso di elezione,
    • previsione di una quota di candidature di competenza esclusiva dei partiti,
    • previsione di una quota di candidature di competenza dei sindacati e delle associazioni aventi determinate caratteristiche.

  5. con riguardo al titolo a partecipare a primarie aperte:
    • prevedere un albo degli elettori formato dai nominativi da coloro che vi abbiano fatto richiesta, che abbiano dichiarato cioè preventivamente la propria scelta di schieramento,
    • subordinare la partecipazione alle primarie alla sola iscrizione ad associazioni ammesse alle primarie dai partiti della coalizione, con identificazione degli elettori attraverso la tessera di iscrizione ala associazione ed il numero di iscrizione nelle liste elettorali desunto dal certificato elettorale,
    • nessun limite di partecipazione alle primarie per qualsiasi elettore scritto nelle liste elettorali, senza necessità di previa iscrizione in apposite liste o associazioni,
    • partecipazione o meno alle primarie aperte anche degli iscritti ai partiti della coalizione che abbiano o meno partecipato alle primarie di partito,
    • previsione di un rimborso spese da parte degli elettori (indicato in alcune proposte da 5 a 25 euro per elettore)
    • dimostrazione di avere destinato ad un partito dello schieramento il contributo dell’4 per mille all’atto della dichiarazione dei redditi,
    • nessuna condizione di spesa.

  6. con riguardo alle condizioni di validità delle primarie:
    • validità in ogni caso,
    • validità della consultazione solo nel caso in cui venga raggiunta la partecipazione di una quota predeterminata di elettori che si siano iscritti nelle apposite liste (ad esempio: 10% degli elettori della coalizione di cui almeno il 20% non iscritti a partiti),
    • a quale altro parametro potrebbe essere ancorato il criterio percentuale di validità ?

  7. con riguardo ai requisiti dei candidati:
    • eventuali limitazioni per le persone sottoposte a processo penale ed altre cause di ineleggibilità,
    • previsione di cause di incompatibilità con cariche politiche o particolari ruoli svolti,
    • previsione o meno di pregresse esperienze amministrative o politiche a seconda del tipo di candidatura,
    • possibilità di segnalazione da parte di ciascun elettore al Comitato dei Garanti di controindicazioni alla ammissione delle candidature e previsione della possibilità di esclusione delle candidature ad opera del Comitato.
    • previsione di una scheda informativa predisposta da ciascun candidato con possibilità di eventuali annotazioni da parte del Comitato dei Garanti con diritto di replica dell’interessato,
    • presentazione dei candidati agli elettori solo attraverso manifestazioni, trasmissioni o pubblicazioni cumulative alle quali partecipino almeno 2 candidati (in caso di scelta su base di collegio) e almeno 4 candidati (in caso di scelta su base di lista).

  8. con riguardo alla funzione dei candidati eletti:
    • assunzione diretta della condizione di candidato alla carica che è oggetto della consultazione elettorale,
    • assunzione della funzione di “grandi elettori” per la scelta del candidato premier (predeterminato o meno),
    • possibilità di destinazione dei “grandi elettori” anche per la definizione del programma di governo e/o di scelta sui temi controversi segnalati nel programma della coalizione.
  9. con riguardo al metodo di organizzazione e selezione delle candidature:
    • vi è una ragione per mantenere un criterio di selezione delle candidature su base di collegio analogo a quello delle elezioni o la scelta delle candidature può essere, invece, eseguita anche su base proporzionale secondo criteri indipendenti dalla elezione cui è destinata la candidatura ?
    • le eventuali liste devono fare riferimento ai soli partiti della coalizione o possono essere formate anche liste libere (collegate a movimenti o gruppi) senza alcun riferimento ai partiti tradizionali?
    • nei casi di selezione dei candidati con il metodo delle liste, il collegamento tra il candidato prescelto ed il collegio di assegnazione della candidatura deve essere lasciato alla discrezionalità dei partiti o eseguito in base ad un criterio di prelazione a favore di coloro che abbiano conseguito il maggior numero di voti ?

  10. con riguardo al metodo di svolgimento delle primarie:
    • in un solo turno o, in caso di scelta su base di collegio, in due turni nel caso di mancato raggiungimento della maggioranza assoluta al primo turno,
    • raccolta del voto presso i quartieri o presso le sedi di associazioni accreditate,
    • spedizione del voto per via postale, con o senza previa distribuzione di cartoncini all’uopo predisposti da imbustare ovvero di cartoline postali prestampate richiudibili,
    • possibilità di raccolta e conteggio del voto attraverso sistemi informatici con o senza rilascio automatico all’elettore – ai fini di eventuali riscontri - di una ricevuta stampata (in duplice copia) riproduttiva del voto espresso, di cui una copia rimanga in possesso dell’elettore ed una venga riposta nell’urna.

  11. con riguardo al controllo sulle operazioni di voto:
    • ad opera di un comitato di garanti nominati dai partiti della coalizione, se il sistema viene concordemente accettato e gestito dai partiti,
    • ad opera di un comitato di garanti nominati dai movimenti proponenti le primarie,
    • ad opera di personalità indicate da entrambe le componenti,
    • da parte di strutture pubbliche, se il sistema viene disciplinato con legge.


    Alcune valutazioni su tali opzioni
    Nella ricerca del modo migliore di svolgere le primarie occorre tener conto che se esse fossero limitate alla sola scelta del premier ovvero – come secondo la terminologia usata dal prof. Pasquino – alle sole “cariche monocratiche di rappresentanza e di governo”, costituirebbero uno strumento di ben scarsa efficacia, che non risolverebbe affatto tutti i problemi di astrattezza della politica e di eccessività del concentramento di potere nelle burocrazie dei partiti politici. La limitazione alle sole cariche monocratiche in realtà accentuerebbe la tendenza ad una deriva plebiscitaria che non appartiene alla cultura di uno schieramento di sinistra.
    Inoltre la impossibilità di stabilire a priori l’apporto alla coalizione dei vari partiti in misura proporzionale alle scelte che nel momento delle elezioni esprimerebbe l’elettorato, mette i partiti attualmente nelle condizioni di preventivare la distribuzione delle candidature tra i partiti in modo assolutamente arbitrario o solo in funzione della loro capacità di condizionamento e di pressione, essendo pacifico che il sistema residuale della quota proporzionale previsto nella legge elettorale non soddisfa pienamente questa esigenza.
    In realtà un sistema di primarie esteso alla scelta dei candidati di tutti i collegi potrebbe recuperare nel maggioritario alcuni aspetti del proporzionale. Ove, invece, le primarie venissero impostate riproducendo il metodo della scelta sulla base del collegio uninominale previsto per le elezioni dei parlamentari, si riprodurrebbero alcuni effetti perversi del maggioritario con possibilità di esclusione di rappresentanze significative dei partiti minori.
    Ma non vi è alcuna necessità di un parallelismo di metodo tra la scelta delle candidature e la destinazione delle stesse, anche perché il sistema maggioritario trova una sua ragion d’essere solo per assicurare una garanzia di governabilità, non già di selezione dei candidati, che invece deve doverosamente riprodurre il rapporto delle forze elettorali che compongono una coalizione.
    Peraltro con un sistema di liste regionali (o nazionali) si recupera il senso della rilevanza delle primarie e si riesce a far vivere agli elettori la sensazione di essere soggetti partecipi della vita pubblica con un confronto tra una pluralità di candidati e di linee politiche che realizzi il risultato di misurarne le diversità per attribuire a ciascuna di esse nello svolgimento della competizione elettorale il peso democratico che merita.
    Se si consentisse di esprimere la scelta per la candidatura distintamente in ciascun collegio elettorale, sommando i voti solo nell’ambito del collegio ed attribuendo valore solo alle scelte in tali sedi effettuate a favore del più votato in ciascuna di queste sedi, si riprodurrebbero nella sostanza nelle primarie gli stessi effetti perversi del sistema maggioritario, con la mancata piena valorizzazione a livello regionale (o nazionale) delle proporzioni dei candidati prescelti in misura corrispondente alle proporzioni di espressione nel voto. Teoricamente potrebbe accadere che il partito maggioritario, che fa parte della coalizione, si assicuri un candidato in tutti i collegi e che gli altri partiti della coalizione, presenti in tutti i collegi in misura proporzionalmente inferiore, ancorché consistente, non si assicurino un candidato in nessun collegio (come è avvenuto in Sicilia nel 2001 per le elezioni politiche a favore Forza Italia). E’ dunque necessario a livello regionale (o nazionale) rispettare un criterio proporzionale assicurando una attribuzione di candidature ai vari partiti della coalizione corrispondente alla proporzione dei voti espressi a favore di ciascuno di essi, in modo che la candidatura sia poi collegata a ciascun collegio lasciando facoltà di scelta prioritaria ai candidati che abbiano raccolto in ambito regionale (o nazionale) il maggior numero di voti sino a concorrenza del numero di candidature spettanti a ciascuno partito.
    L’esigenza di evitare candidature avventuristiche renderebbe comunque necessario accompagnare la presentazione di ciascuna candidatura con un certo numero di firme, ma non credo che sia necessario prevedere che sia lo stesso candidato a farsene promotore. Potrebbe essere sufficiente solo che egli non declini espressamente l’offerta della sua candidatura avanzata dagli elettori, in modo da superare la diffusa ritrosia di alcune persone di valore che non assumerebbero mai l’iniziativa in proprio. Peraltro attraverso questo meccanismo il fatto della presentazione di una candidatura alternativa non assumerebbe il carattere della volontà di sfidare l’avversario.
    Ad un Comitato dei Garanti potrebbe essere attribuito un compito di controllo e verifica, oltre che su tutte le attività e le procedure, sull' ammissibilità delle candidature alle primarie e sulle eventuali esclusioni di candidati per comportamenti e fatti di particolare gravità in relazione ai valori ed ai principi ispiratori della coalizione. I candidati dovrebbero inoltre depositare un documento di indirizzo politico - corredato eventualmente da una rosa di nomi a sostegno della candidatura con relative valutazioni - che il Comitato Elettorale dovrebbe occuparsi di diffondere attraverso tutti i possibili mezzi di diffusione, anche telematici. Il Comitato dei Garanti dovrebbe poter avere anche il potere di intervenire - con potere di interdizione e di esclusione - in ordine al rispetto di alcuni principi, da predeterminare preventivamente, soprattutto rivolti a mettere tutti i candidati sullo stesso piano.
    Ovviamente i meccanismi per evitare che una persona possa esprimere la propria scelta più di una volta esistono e si realizzano attraverso il ricorso ad un elementare software da utilizzare in tutte le sedi di voto, in grado di elaborare e confrontare gli estremi di registrazione nelle liste elettorali di tutti i votanti. Gli aventi diritto al voto potrebbero, difatti, essere identificati attraverso la esibizione del certificato elettorale, con annotazione del solo relativo numero progressivo.
    La candidatura deve essere ovviamente libera. Potrà valutarsi se sia effettivamente necessario subordinarla – così come proposto - ad un deposito di 750 euro non rimborsabile per coloro che ricevano meno di una certa percentuale dei voti espressi. Per evitare che la presentazione di più candidati dello stesso orientamento si indeboliscano reciprocamente, si potrebbe pensare anche alla possibilità di espressione di un voto subordinato ed a presentazioni collettive delle candidature.
    La segretezza e personalità delle scelte individuali potrebbe essere assicurata raccogliendo le espressioni del voto in luoghi convenuti, nella disponibilità dei partiti della coalizione con una gestione concordata delle operazioni organizzata sulla base di collaborazioni volontarie. Occorrerà poi verificare in concreto se ed in quale misura alcune istituzioni pubbliche e gli enti territoriali (casomai previe opportune modifiche statutarie) siano tenute ad offrire un supporto a tali operazioni, anche nel caso in cui le primarie venissero svolte solo sulla base di un accordo convenzionale intervenuto tra i partiti di una coalizione.
    Altro problema è se le primarie debbano essere dirette anche alla scelta diretta del premier o se invece non sia meglio attribuire tale scelta in un secondo momento ai candidati risultati vincitori alle primarie, in modo da attutire i rischi di derive plebiscitarie che in altre condizioni si potrebbero manifestare. Personalmente ritengo che si tratti di un problema secondario, la cui soluzione potrebbe anche essere affidata interamente ai tecnici di partito che meglio di qualsiasi elettore potrebbero individuare le migliori occasioni per realizzare un buon risultato elettorale.
    Vi è poi il problema della eventuale estensione delle primarie al programma. Esse potrebbero essere limitate solo alle parti controverse del programma. I partiti della coalizione potrebbero essere invitati a denunciare i temi controversi sui quali ritengano opportuna l’indicazione degli elettori e proporli in sede di primarie. Tali temi potrebbero essere sottoposti agli elettori con delle subordinate riferite alla disponibilità alla ricerca di soluzioni di mediazione o compromissorie. L’aspetto più rilevante e positivo potrebbe essere l’impegno preventivo dei partiti a rispettare nel corso del mandato le scelte che abbiano ottenuto prevalenza in sede di consultazione. Ma, forse, è prematuro un percorso del genere: già un meccanismo di selezione più trasparente delle candidature potrebbe assicurare la formazione di programmi più comprensibili e più rispondenti alle esigenze sentite del paese.


    Le primarie complementari alle scelte dei partiti
    Lo schema di primarie previsto nelle proposte di legge sinora presentate prevede che partecipino come elettori alle primarie i cittadini che ne facciano esplicita richiesta, palesando con la loro preventiva registrazione la adesione allo schieramento, altre proposte prevedono anche il versamento di una quota come contributo alle spese. Le obiezioni sono rispettivamente quelle che la assenza di segretezza e l’onere economico allontanerebbero molti elettori dal parteciparvi e nel rischio di esclusione delle fasce economicamente più deboli e meno motivate.
    Se il problema venisse regolamentato con una legge, varrebbe forse la pena di pensare ad un sistema di certificato elettorale, distribuito per tempo, che contenga un doppio tagliando: uno che abiliti alla partecipazione alle primarie dell’uno o dell’altro schieramento ed uno che consenta la partecipazione al voto elettorale.
    Resta, comunque, il fatto che nelle esperienze di altri paesi e nella recente esperienza delle elezioni regionali calabresi la partecipazione alle primarie è stata sempre molto bassa, in quanto alimentata solo dalle persone più motivate o direttamente interessate, peraltro con il rischio di agevolare manovre lobbystiche, sicché le indicazioni delle primarie potrebbero non riflettere gli orientamenti reali di tutta l’area di simpatizzanti dello schieramento. In caso di bassa affluenza al voto delle primarie un sondaggio, eseguito in base a criteri tecnicamente evoluti, probabilmente renderebbe anche risultati più prossimi alla realtà.
    Un meccanismo di selezione delle candidature caratterizzato da una pluralità di meccanismi di acquisizione delle scelte sembra, invece, più difficilmente condizionabile da manovre esterne e da tentativi di manipolazione.
    Innanzitutto occorrerebbe assicurare una quota di candidature ai partiti e la distribuzione delle stesse in proporzione della rispettiva consistenza, perché la funzione essenziale dei partiti non può essere esclusa e disconosciuta. Ad essi non potrà essere dunque disconosciuta, oltre la funzione propositiva dei candidati (in aggiunta a quelli proposti attraverso canali diversi), la possibilità di imporre direttamente candidati propri.
    Sembra corretto che il numero di candidature da attribuire con il sistema delle primarie debba essere rapportato alla entità della partecipazione alle stesse degli elettori esterni ai partiti, con una garanzia di riserva a favore dei partiti di uno quota minima predeterminata (un terzo sembra essere la misura giusta). Di conseguenza il rapporto di partecipazione minimo per le primarie potrebbe essere determinato ad almeno il doppio degli iscritti ai partiti della coalizione. In caso contrario la possibilità di imporre candidature da parte degli esterni ai partiti dovrebbe essere proporzionalmente ridimensionata.

    Il possibile ruolo delle associazioni
    Un corretto ruolo di gestione delle operazioni delle primarie potrebbe essere svolto dalle associazioni, prevedendo come condizione per partecipare ad esse, in sostituzione della previa iscrizione alle liste degli elettori delle primarie, l’iscrizione ad associazioni accreditate dai partiti della coalizione e che al momento della espressione del voto alle primarie esibiscano la tessera di iscrizione alla associazione e si registrino (per evitare duplicazioni del voto) con l’annotazione del numero di iscrizione nelle liste elettorali rilevato dal certificato elettorale. Ma le associazioni potrebbero anche inviare previamente ai propri iscritti una sorta di certificato di ammissione alle primarie, da utilizzare poi direttamente come scheda per l’espressione del voto ovvero come cartolina da imbustare e spedire o come titolo di abilitazione ad esprimere il voto elettronico.
    Inoltre potrebbe ben rappresentare gli orientamenti radicati nella società la previsione di una riserva di candidature in misura ridotta (la misura giusta potrebbe essere di un sesto) da parte degli organi direttivi delle aggregazioni associative comprese quelle del mondo del lavoro (sindacati, associazioni, fondazioni, onlus, cooperative) ed al limite anche da parte di finanziatori privati palesi che abbiano apportato contributi superiori ad una determinata soglia.
    L’attribuzione di un rilievo nelle scelte alle aggregazioni sociali liberamente formatesi nella società è un fatto di grande rilevanza. Innanzitutto si riconosce l’esistenza di una soggettività che si distingue da quella dei singoli componenti e, poi, si attribuisce a questa soggettività un rilievo di maggiore rilevanza in quanto momento di elaborazione e di valorizzazione di interessi in grado di aggregare. La partecipazione alla vita politica della società civile attraverso le organizzazioni intermedie è una esigenza avvertita nelle moderne democrazie, tant’è che la Costituzione Europea la richiama espressamente come una necessità in alcuni articoli imponendone la consultazione obbligatoria, ad esempio per le iniziative del Comitato Economico e Sociale della U.E.
    La partecipazione della società civile per integrare le carenze del sistema maggioritario si può articolare in una molteplicità di possibili soluzioni alternative. Occorre, quindi, fare delle scelte di fondo sui principi che si ritiene possano esprimere al meglio questa esigenza di partecipazione e, poi, ricercare per ciascuna soluzione le metodiche tecniche più adatte per realizzare la scelta che si intende perseguire.
    Occorre, dunque, riflettere se, per corrispondere a questa esigenza, la società civile debba esprimersi, oltre che direttamente attraverso le sue componenti individuali, anche attraverso le organizzazioni intermedie e se queste abbiano una loro autonoma titolarità a far sentire la loro voce distinta da quella dei singoli cittadini.
    Se da una parte è possibile riconoscere alle associazioni una soggettività qualificata rispetto a quella dei singoli cittadini che può essere diversificata in base a classi dimensionali ed in base alla natura più o meno politicamente rilevante delle associazioni, dall’altra è possibile che le associazioni svolgano semplicemente una funzione di filtro delle istanze della società civile.
    La opzione tra l’una e l’altra soluzione comporta anche una diversificazione del modo attraverso il quale sarà necessario esprimere la scelta del soggetto associativo. Se essa si esprime attraverso la indicazione degli organi direttivi dell’associazione, il peso di questa scelta non potrà essere proporzionalmente commisurato alla dimensione della sua base associativa; se, invece, la scelta viene espressa attraverso il voto diretto degli associati, allora sembra giusto che il voto conservi tutta la valenza numerica espressa dai singoli soci. Ovvero si possono comporre i due sistemi riconoscendo una soggettività autonoma al soggetto associativo ed attribuendo alle associazioni il ruolo di strumento di organizzazione della partecipazione alle primarie.
    Il presupposto è, comunque, che la associazione attraverso i suoi organi direttivi abbia espresso la volontà di partecipazione alle primarie. Al limite la associazione potrebbe anche non esprimere preventivamente l’opzione per uno schieramento o l’altro, ma solo prestarsi ad offrire questo servizio per i suoi associati, i quali potrebbero manifestare la loro preferenza per il candidato di uno o dell’altro schieramento, se entrambi disponibili all’esperienza delle primarie.

    La posizione dei cittadini non iscritti ad associazioni
    Resta il problema di stabilire se sia giusto o meno lasciare fuori da questa possibilità di partecipare alle primarie i cittadini che non siano iscritti ad alcuna associazione ovvero come debba essere gestita una loro partecipazione.
    Personalmente ritengo che sia pressoché impossibile che una persona fisica non sia in grado di far riferimento a nessuna associazione ed in tal caso credo proprio che si tratti di soggetti che non abbiano in concreto alcuna disponibilità a fornire un contributo partecipativo di tale natura. Ma anche se lo avessero, credo che non debba essere loro necessariamente assicurato un diritto a partecipare alle primarie, posto che questa partecipazione in tanto viene assicurata in quanto si ritenga di dovere coinvolgere in scelte particolarmente importanti persone attive nella società coalizzatesi intorno a particolari interessi ritenuti dalla coalizione meritevoli di rappresentanza, persone cui per questo motivo si riconosce il diritto di incidere sulla scelta dei candidati.
    Le persone che non abbiano trovato nelle associazioni esistenti motivi di aggregazione potrebbero comunque trovare occasione per associarsi e fornire in tal modo il proprio contributo. Occorrerebbe però stabilire meccanismi per assicurare i caratteri formali costitutivi della associazione e la coerenza della stessa ai fini perseguiti dalla coalizione.
    Per le persone prive di alcun interesse specifico e senza volontà di aggregarsi, invece, il contributo di partecipazione alla vita democratica è assicurato in misura sufficiente con il diritto di voto presso i seggi elettorali, diritto che loro compete in base alla costituzione.
    I rischi che il voto possa risultare inquinato da meccanismi distorsivi sono ridotti al minimo in relazione alle caratteristiche della associazione che dovrebbe essere stata preventivamente ammessa dai partiti della coalizione, i quali dovrebbero verificare preventivamente la presenza di standard prestabiliti in ordine alle capacità organizzative e al non contrasto delle finalità e dei contenuti sociali concretamente perseguiti con gli obiettivi della coalizione.
    Personalmente non mi convince un sistema esposto ad una partecipazione volontaria ed indiscriminata di elettori, che potrebbe rimanere estremamente limitata ed essere quindi alterata dalla causalità della partecipazione o manipolata da parte di gruppi di pressione ovvero subire gli effetti distorti determinati da un meccanismo di scelta unico. Una pluralità di meccanismi diversi di acquisizione dell’espressione della scelta attutirebbe possibili distorsioni e renderebbe estremamente difficili eventuali tentativi di controllo del voto da parte di gruppi di pressione. Occorre, difatti, tener presente il contesto specifico del nostro paese, la mancanza di esperienze storiche in proposito ed anche la possibilità che si ripropongano, in alcune zone del paese, gli stessi tentativi di controllo del voto che portarono alla modifica della legge elettorale.

    Sintesi di una proposta per le primarie
    Fermo restando che l’esperienza delle primarie potrà manifestarsi utile anche se articolata in altro modo, si espone di seguito la sintesi di una possibile regolamentazione di primarie che si propone come complementare a meccanismi trasparenti di scelta dei candidati da introdurre all’interno dei partiti (primarie di partito):
    - una riserva di candidature (ad esempio 1/3) a disposizione dei partiti da distribuire tra essi in proporzione della relativa consistenza,
    - una riserva di candidature (ad esempio 1/6) a disposizione delle associazioni concordemente ammesse da tutti i partiti della coalizione, dei sindacati ed eventualmente anche di finanziatori,
    - primarie aperte a terzi non iscritti ai partiti per una quota delle candidature (almeno 1/2),
    - previsione di un rapporto tra le candidature riservate ai partiti e le candidature da attribuire in base ai risultati delle primarie aperte a terzi pari al rapporto di partecipazione dei relativi elettori alle stesse, fatta salva o meno la quota di 1/3 comunque riservata ai partiti.,
    - all’interno di ciascun partito, associazione, cooperativa o movimento l’espressione del voto dovrebbe essere espressa secondo le modalità previste dai relativi statuti (opportunamente adeguati),
    - nell’ambito delle varie componenti le primarie dovrebbero essere dirette non già ad esprimere un proprio rappresentante, bensì ad esprimere la preferenza verso l’uno o l’altro candidato della coalizione che sia stato presentato nel territorio sulla base di liste concorrenti, quale che sia la provenienza della relativa proposta,
    - ai candidati eletti potrebbe essere attribuito il compito di fungere anche da grandi elettori per la scelta del premier, che ciascuno dovrebbe avere previamente dichiarato.
    Questo sistema potrebbe essere realizzato anche senza l’approvazione di una apposita legge, previo accordo di tutti i partiti di una coalizione, previa deliberazione degli organi direttivi di tutti i partiti coinvolti nella stessa.
    Si potrebbe, poi, pensare ad una serie di requisiti per i candidati delle primarie, tutti da discutere e valutare adeguatamente, tra i quali:
    - essere già in possesso di predeterminati livelli di pregressa esperienza di funzioni pubbliche, manageriali o in ambito politico,
    - eventuali limitazioni per coloro che abbiano già ricoperto un determinato numero di mandati nello stesso tipo di elezioni,
    - impossibilità ad assumere la qualità di candidato in competizioni elettorali contemporanee con limiti alla possibilità di presentazione in ambiti territoriali diversi (a meno che non si tratti della scelta diretta del premier),
    - condizioni di incompatibilità ad assumere la qualità di candidato per coloro che abbiano intrattenuto negli ultimi 4 anni o intrattengano direttamente o indirettamente affari con organismi pubblici ovvero risultino direttamente o indirettamente concessionari di pubblici servizi ovvero detengano o abbiano potere di disposizione su quote di società commerciali (con scopi di lucro) che si trovino nelle stesse condizioni o siano iscritti ad associazioni i cui obiettivi siano incompatibili con quelli dei partiti della coalizione (ad esempio: appartenenza alla massoneria).

    Il supporto dell'informatica
    Gli strumenti informatici oggi consentono la gestione quasi in tempo reale di consultazioni di un numero sconfinato di persone, ma il mezzo elettronico esclude ancora coloro che non sono alfabetizzati e potrebbe prestarsi ad interventi manipolatori in fase di espressione del voto e di trasmissione dello stesso. Diversamente, invece, esso si presta in modo abbastanza affidabile per la raccolta ed il conteggio delle preferenze allorché esse siano raccolte in uno o più ambienti controllati e sulla base di standards convenuti. Di conseguenza il ricorso ad essa, con un notevole abbattimento dei costi anche in questa forma limitata, potrebbe risultare utile ed economico per lo svolgimento delle primarie.
    Peraltro, una volta svolte le primarie, sarebbe teoricamente anche possibile attribuire, ad ogni elettore che vi abbia partecipato, una firma digitale che lo abiliti a partecipare - in relazioni a limitate problematiche - a consultazioni da eseguire in corso di legislatura per via telematica. Difatti, diversamente dalle primarie, che richiedono un minimo di garanzie di sicurezza, oggi si potrebbero stabilire momenti di consultazione democratica diffusa affidata al mezzo telematico, garantita dalla firma elettronica e diretta ad una platea di elettori che vada ben al di là degli eletti alle cariche rappresentative e che potrebbe coinvolgere anche soggetti non alfabetizzati, solo se si istituissero presso i comuni ed i quartieri delle postazioni di ausilio disponibili, presso le quali non sarebbe necessario assicurare tutti gli strumenti di garanzia della sicurezza previsti per la espressione del voto. Una democrazia partecipativa, quindi, oggi non è più una utopia e potrebbe fornire in tempi rapidi risultati ben più affidabili degli attuali referendum. Ma si tratta di esperienze che devono essere approfondite anche per evitare i rischi propri di quella che è stata indicata come “democrazia istantanea”.
    Ma il ricorso all’informatica può risultare, invece, oggi utile per risolvere alcuni problemi organizzativi delle primarie. La predisposizione di un software unico con liste a discesa, predisposte con i nomi dei candidati e le liste di appartenenza, e strumenti di votazione elettronici potrebbero escludere la possibilità di errori di trascrizione e di calcolo dei voti. La stampa di una strisciata in doppia copia della espressione della scelta espressa (una da consegnare all’elettore ed una da conservare nell’urna del seggio) potrebbe offrire garanzie rispetto a possibili manipolazioni e consentire anche un eventuale successivo controllo manuale in caso di contestazioni.
    La raccolta del voto elettronico potrebbe essere svolta presso le sedi delle associazioni a base associativa più vasta, aperte a chiunque ne abbia titolo, a prescindere dalla appartenenza, previa esibizione del certificato elettorale e della tessera di iscrizione ad una delle associazioni accreditate.
    Ritengo che la predisposizione di un software adeguato sia di agevole realizzazione e, certamente, la società civile, le associazioni ed i partiti della coalizione sono in grado di esprime le competenze tecniche necessarie alla sua realizzazione e per il controllo della sua gestione.

    - rassegna di interventi sulle primarie
    - proposta legge Chiaromonte, Spini ed altri
    - proposta legge Mazzucca

Le parole chiave della Costituzione Europea

a cura di
Claudio Nunziata

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Novembre 2004
Vietata la riproduzione a stampa senza autorizzazione

Rassegna di interventi sulle primarie

Sommario
INTERVISTA A GIULIANO AMATO A CURA DI SERGIO ZAVOLI
INTERVENTO DEL SENATORE I FRANCO DEBENEDETTI
LE "PRIMARIE"... NON SONO PRIMARIE DI CINO CASSON
UNA SCHEDA DA RIFIUTARE DI ALDO TORTORELLA
LA DEMOCRAZIA INTERNA DEI PARTITI (SERGIO SANTORO)
SCONFIGGERE UNA DIMENSIONE DELLA POLITICA CHE È PURA PRATICA DELLE CLASSI DIRIGENTI (BRUNO PASTORINO)
LA GRANDE SCELTA IN TRE DOMANDE (GIOVANNI SARTORI)
CONSIGLIO COMUNALE PISA, 28/2/2003: ILLUSTRATE LE MODALITÀ PER PARTECIPARE ALLE PRIMARIE
LE PRIMARIE: MA COSA SONO IN PRATICA? (GUIDO DE SIMONE) PRIMARIE E DEMOCRAZIA DI LUCA MOLINARI
PERCHÈ NON CREDO NELLE PRIMARIE


Intervista a Giuliano Amato a cura di Sergio Zavoli
da l'Unità - 20 settembre 2004


………
Chi sarà in minoranza dovrà adeguersi alle posizioni della maggioranza. Il principio della maior pars, dei voti contati, che dal 2001 abbiamo tante volte subìto, può trasformarsi nell'efficacia vera del Parlamento e nell'autentica utilità del Paese?

Sì, se sarà corroborato da una forte verifica democratica, entro la quale le durezze delle identità partitiche siano costrette a stemperarsi. Per questo sono così favorevole alle primarie, come grande occasione di confronto tra programmi e leaders del Centro-sinistra, al termine del quale saranno tutti i cittadini "attivi" dello stesso schieramento a decretare la prevalenza dell'uno sull'altro,

e quindi a creare una condizione obbligata per il perdente. So bene che alle primarie non parteciperanno tutti i nostri elettori ed è giusto ricordarlo, come fa D'Alema. Ma le primarie non saranno una prova elettorale a ranghi ridotti: saranno la chiamata a raccolta di quelli, tra i nostri elettori, che vorranno unirsi a noi nell'impegno attivo per la vittoria elettorale.

Anche per questo, secondo me, i partecipanti dovranno registrarsi ed accettare che i loro nomi siano pubblicati. Si tratterà comunque di un bagno di democrazia partecipativa e ciò creerà, in chi vince come in chi perde, le ragioni di una responsabilità non revocabile.

migliorare il nostro bipolarismo aspro e rodomontesco è possibile. Per esempio cambiando la legge elettorale; la quale, così com'è, consente disparità assolutamente abnormi in un sistema democratico (basta raffrontare i seggi conseguiti da Rifondazione con quelli che, pur disponendo di meno voti, riesce ad avere la Lega). La mia preferenza va al maggioritario a due turni, sciaguratamente respinto anni fa, il più adatto ad assecondare il consolidamento di un pluralismo frammentato.

Intervento del senatore i Franco Debenedetti
"Il Riformista"

29 novembre 2002
Se scommettete su quale ragazza vincerà il concorso di bellezza, ammoniva John Maynard Keynes, non puntate su quella che vi piace di più, ma su quella che ritenete piacerà di più agli esaminatori. Il ragionamento si applica anche quando si deve scegliere non "la più bella del reame", ma il candidato alle prossime elezioni politiche. Il metodo delle primarie, che gode di grande popolarità nella sinistra soprattutto in quella ulivista, passerebbe il test di Keynes o no?
Prima domanda: perchè uno dovrebbe voler votare alle primarie? E’ noto il paradosso del votante: dato che il peso di ogni singolo voto é incomparabilmente minore delle risorse impiegate per esprimerlo, nessuno dovrebbe andare a votare. Se ciò non accade é perché al calcolo razionale, si contrappone il gusto di manifestare - in modo palese o nel segreto dell’urna - la propria volontà. Questo nelle elezioni politiche, quelle in cui l’elettore indica da chi vuole essere governato. Quando, come nelle primarie, si indica il candidato che correrà per il proprio partito, la bilancia tra ragioni di interesse e ragioni di autoespressione é tutta spostata su queste ultime. Dato che non si sceglie chi ci governerà, le ragioni di interesse praticamente non esistono, conta solo la motivazione a manifestare la propria identità politica. E’ quindi logico che alle primarie si presentino in pochi, e molto motivati.
Secondo: chi ha diritto a votare alle primarie? Di solito, per evitare abusi o rischi di manipolazioni, si chiede di registrarsi, eventualmente versando un piccolo contributo. In tal modo si introduce un elemento che ulteriormente riduce il numero dei partecipanti e favorisce ancor più la selezione a favore dei più politicizzati. Corollario: poichè il numero degli aventi diritto, nelle primarie, non é determinabile, mentre nelle elezioni politiche la non partecipazione al voto é comunque un mezzo di espressione di volontà politica, così non é nelle primarie, in cui contano solo i voti espressi.
Conclusione: l’insieme di chi partecipa alle primarie non é un campione significativo dell’insieme di chi ha diritto di partecipare alle elezioni; il risultato delle primarie non può in alcun modo essere preso come un sondaggio indicativo delle preferenze degli elettori. La probabilità che la differenza tra risultato delle primarie e risultato di un sondaggio é tanto maggiore quanto meno omogeneo é l’insieme di tutti gli elettori nei riguardi delle preferenze verso i candidati. Se poi la propensione a partecipare alle primarie é positivamente correlata alla preferenza per un determinato candidato, aumenterà ancora la differenza tra il candidato che esce dalle primarie e quello che può raccogliere i maggiori consensi nelle elezioni. Queste sono le condizioni che si constatano in questo momento a sinistra: poca omogeneità, anzi profonde divisioni di natura ideologica; forte correlezione tra ben identificabili scelte ideologiche e preferenze politiche e propensione a votare alle primarie nettamente. Il tipo di ragazza su cui punteranno quelli che assistono al concorso sarà molto diverso da quella che selezioneranno i giurati che votano. In realtà il gioco é ancora più complicato del modellino di Keynes: perchè qui chi scommette non si accontenta di scegliere tra ragazze selezionate da altri, ma vuole fare lui anche la selezione. Anzi: selezionare la "ragazza" e votarsela, é la vera motivazione di chi vuole le primarie. E questo desiderio, di per sè assolutamente legittimo, non fa però delle primarie un metodo nè efficace, nè efficiente, nè "democratico".
Non é efficace: perché per scegliere il candidato con maggiori probabilità di vincere bisogna spogliarsi delle proprie preferenze personali, non farsene influenzare, per concentrarsi invece a cercare di capire e prevedere le reazioni degli elettori; i quali, é bene non dimenticarlo, probabilmente sono più numerosi di un ordine di grandezza dei simpatizzanti, e di due ordini di quanti partecipano attivamente alla vita politica. Questa obbiezione non ha molto peso per quelli per cui scopo dell’azione politica non sia vincere le elezioni, ma preservare la propria identità ideologica e testimoniare le proprie convinzioni ( come mi viene, a volte con qualche ruvidezza, ricordato dai giornali della sinistra). Non stupisce che tali convincimenti siano particolarmente diffusi tra coloro che sostengono il metodo delle primarie.
Non é efficiente: perchè manca di un sistema premi punizioni. Se la scelta é stata sbagliata, chi ha votato alle primarie paga solo con la propria delusione. Al contrario un funzionario di partito paga, o dovrebbe pagare, con la propria carriera. Egli ha dunque un incentivo razionale e non solo emotivo a scegliere il candidato giusto.
Non é "democratico": a dispetto dell’apparenza. Troppo facile ricordare che chi rivendicava alle avanguardie politicizzate il ruolo di guida, non viene considerato, dalla recente storiografia, un campione di democrazia. Ma soprattutto: la sovranità é nel popolo degli elettori, non nel popolo delle primarie. Quello di poter scegliere da chi essere governati é un diritto: se il candidato che esce dalle primarie é diverso da quello che potrebbe avere il voto della maggioranza, la conseguenza non é solo che verrà bocciato, ma anche che gli elettori verranno privati del diritto di essere governati da un candidato a loro gradito. E questo é un problema di democrazia.
Il sistema elettorale uninominale maggioritario potrebbe far pensare ad analogie con le primarie americane. Ma l’analogia è fuorviante. Quel che fa la differenza è che lì le primarie si applicano a un sistema bipartitico. Dunque misurano l’influenza dei diversi covenant di un medesimo partito all’interno di una stessa costituency. in caso di sconfitta elettorale del candidato prescelto, scatta in maniera inesorabile l’inevitabile diminutio - a livello locale, e nel partito - del covenant che aveva indicato il candidato. Da noi, con coalizione multipartitiche, le primarie inevitabilmente misurerebbero invece l’influenza dei diversi partiti dell’alleanza. E in caso di sconfitta è inevitabile che non scatti alcuna responsabilità, potendosi attribuire l’esito alla molteplicità contraddittoria dei comportamenti degli alleati.
Risulta dunque comprensibile che le primarie possano acquisire grande importanza agli occhi di chi oggi a sinistra intende innanzitutto scrivere "regole dello stare insieme", per risolvere il travaglio dei conati cui assistiamo da un anno e mezzo a questa parte. Vincere le elezioni, con chiari meccanismi di responsabilità in caso di sconfitta, è però tutt’altro paio di maniche

RIFORMISMO E DINTORNI
Dopo l'esperimento della lista "Uniti nell'Ulivo" alle elezioni europee, i riformisti rilanciano: un soggetto federativo delle riformiste e dei riformisti, che dia stabilità al centrosinistra e credibilità al suo messaggio di governo. Quale programma dovrebbe caratterizzare questo soggetto? Quale cultura politica? Quali proposte su welfare ed economia? Quale politica estera, quale ruolo dell'Europa nel mondo? E ancora: come selezionare le candidature? Dove (e come) prendere le decisioni unitarie?
Chiunque abbia voglia di partecipare al nostro dibattito può scriverci al seguente indirizzo: agora@libertaeguale.com



LE "PRIMARIE"... NON SONO PRIMARIE di Cino Casson
Non sono – in linea di principio – favorevole alle “primarie”, come, del resto, diffido da quegli strumenti di cosiddetta “democrazia diretta” come i “referendum” e le stesse assemblee, se non guidate da regole certe; penso che siano un modo di semplificare questioni complesse, con il rischio di sostituire l’impulso alla riflessione, facilmente manipolabili, pericolosamente contigue alla demagogia, soprattutto se estese a tutte le candidature, come molti sostengono. Non nego che per la scelta dei candidati a cariche elettive forse sarebbe utile introdurre qualche meccanismo di selezione più aperto degli attuali, ma non mi nascondo i rischi di far emergere candidati dalle opinabili competenze politiche, ma graditi all’elettorato per ragioni estranee alla politica: non va dimenticato che un amministratore locale o un parlamentare devono, innanzitutto, sapere di che cosa sono tenuti ad occuparsi e non solo essere “simpatici” agli elettori. In Italia mi sembra difficilmente adattabile un sistema “all’americana”, sia nella forma delle “primarie” che in quello della “convenzione”, e ciò per diversi motivi. Innanzitutto la frammentazione della rappresentanza politica, che differenzia, anche storicamente, i sistemi pluripartitici da quelli bipartitici; pensare a “primarie” anche solo per ciascuno dei 10/12 partiti che si presentano in ogni collegio è immaginare un meccanismo infernale e ingestibile; si potrebbe pensare a “primarie di coalizione” (ed è questa la proposta di Sergio Fabbrini, “Le regole della democrazia”, Bari, 1997), ma, prima, bisognerebbe attendere che le coalizioni attuali diventassero davvero soggetti politici coesi; temo che ci vorranno, se ci si arriverà, vent’anni … A rendere difficilmente praticabile, in Italia, la selezione dei candidati con il sistema delle “primarie”, poi, è la diffusa tendenza italiana - meglio, italiota - alle “furbate”; sta di fatto che nessun sistema politico è al riparo da imbrogli, ma quello italiano vi è pressocché predestinato. Nulla potrebbe impedire, infatti, a un gruppo di aderenti al partito A di iscriversi alle “primarie” del partito B e di concorrere - magari in maniera determinante - a far designare un candidato debole, di scarsa “presa” sull’elettorato ( se non, addirittura, una “quinta colonna”); è ben vero che lo ... scambio di cortesie potrebbe intrecciarsi, almeno tra i partiti maggiori, ma il risultato sarebbe, comunque, il trionfo della slealtà. Nessuno, poi, potrebbe obbligare un cittadino che ha partecipato alle “primarie” di un partito, o di una coalizione, di dare, poi, il suo voto a quella coalizione; è vero che nemmeno negli USA esiste un vincolo siffatto, ma nell’elettorato statunitense vi è una idea del “fair play” così radicata che ben pochi si sottraggono all’impegno morale della fedeltà alla scelta dichiarata. Infine, la difficoltà di regolamentare i meccanismi di finanziamento dell’attività politica potrebbe favorire - e questo avviene anche negli USA ed è uno dei punti più deboli di quel sistema - i candidati che possono investire ingenti somme (o che possono farsele mettere a disposizione, e non certo a titolo di grazioso omaggio, da potenti e interessati gruppi economici). Un po’ diverso è il discorso per la designazione del candidato “premier”; in questo caso una certa dose di demagogia – in “modica quantita” – si potrebbe tollerare; in fondo il candidato migliore … è quello che può vincere e, per vincere – come ben testimonia Berlusconi – non è certo necessario essere il “migliore”… Nel nostro caso, tuttavia, le “primarie” mi appaiono abbastanza ultronee; non pare dubbio che l’unico candidato “vero” sia Prodi e che eventuali candidati “di sinistra” (Bertinotti, Salvi) potrebbero ottenere soltanto risultati “di bandiera”. Vedo, viceversa, il rischio che si propongano altri candidati “di destra” – che so, Mastella, Dini … - al solo scopo di “farsi vedere” e contrattare, poi, ruoli e posti. In ogni caso un Prodi designato da meno del 70 per cento della platea delle “primarie” non ne sarebbe certo rafforzato. Certo, le “primarie” possono avere qualche utilità, costituire un forte momento di mobilitazione, godere di un periodo di attenzione mediatica, offrire al “leader” designato una maggior forza nella trattativa sul programma. Ciò che trovo assolutamente stravagante è l’idea, cara a Bertinotti, di “primarie” sul programma; come sarebbe possibile sottoporre un programma, che non fosse composto soltanto da slogan “senza se e senza ma”, a centinaia di migliaia di potenziali elettori? Il programma per il governo – perché di questo si tratta, non di un programma per “cambiare il mondo” – è sempre il risultato di un confronto faticoso, complesso, fatto di rinunce ed elisioni, di attenti bilanciamenti tra valori e interessi, che non si presta ad enunciazioni categoriche. Perciò, si facciano pure le “primarie”, ma solo se saranno definite regole ben precise, se sarà esplicitamente accettato da tutti che l’esito darà al candidato vincente l’ultima parola sul programma, una “leadership” vera, che possa, se del caso, anche “imporre”, non solo “proporre”; se sarà esplicitamente accettato da tutti che la legittimazione delle “primarie” darà al “premier” eletto, poi, garanzia di sostegno leale, senza costringerlo a ricontrattare, anno dopo anno, la realizzazione del programma. Altrimenti tra il Prodi del 2006 (speriamo!) e un qualsiasi “premier” degli anni del pentapartito non ci sarebbe alcuna differenza, primarie o non primarie.

UNA SCHEDA DA RIFIUTARE di Aldo TortorellaSommario Referendum elettorale numero 6 maggio 2000
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Il sistema uninominale maggioritario a turno unico funziona nei paesi anglosassoni dove una realtà bipartitica è presente da grandissimo tempo e ha praticamente coinciso con l'affermarsi del sistema democratico parlamentare. Anche in questi paesi, però, il funzionamento di quel sistema elettorale e del bipartitismo è ottenuto al prezzo di una drastica riduzione della rappresentanza. Non è vero che quel sistema inaugura il metodo del suffragio al "più vicino" o al "meno distante" dalle proprie idee, poiché molto più spesso incoraggia a non votare affatto realizzando così percentuali di astensionismo che trasformano spesso le assemblee elettive che dovrebbero rappresentare la maggioranza del popolo, in assemblee che rappresentano una minoranza (e chi governa, ovviamente, rappresenta una parte sola di questa minoranza). E non è vero che quel sistema impedisce il nascere di altre formazioni politiche. Esse nascono, e diventano anche robuste e consistenti (ad es. i liberali inglesi) ma vengono puramente e semplicemente cancellate dalla rappresentanza: e così non solo le assemblee rappresentano spesso una minoranza, ma stravolgono anche la realtà politica del paese che si manifesta nel voto.
Tuttavia, la relativa coesione degli eletti discende dalla esistenza di partiti solidi e consolidati da lunghe tradizioni. Al contrario, in un sistema tradizionalmente pluripartitico il sistema elettorale maggioritario a turno unico favorisce il trasformismo parlamentare (come si è visto nel Parlamento italiano dove per la prima volta più di cento parlamentari hanno cambiato gruppo) e la proliferazione dei partiti (come si sa, con il proporzionale sbarrato al 4% sono entrati alla Camera 7 partiti, mentre ora sono un numero imprecisato superiore certamente ai 25). È logico che questo avvenga come ben si seppe nel Parlamento italiano della fine del secolo scorso, eletto a sistema uninominale a turno unico, dove il trasformismo e la volubilità delle aggregazioni politiche erano la regola.
Con il collegio uninominale a turno unico, in una realtà pluripartitica come quella italiana, è infatti indispensabile costruire coalizioni (e questo può essere un bene) ma queste coalizioni, poiché possono perdere il collegio anche per un solo voto, debbono cercare di rastrellare anche il più piccolo gruppo disponibile a farsi coinvolgere, con la conseguenza della vaghezza e della incoerenza programmatica: il che trasforma il possibile significato positivo delle coalizioni in un dato potenzialmente negativo. In una coalizione, poi, è incerto - per definizione -chi abbia il potere di proposta dei candidati: cosicché ogni gruppo politico deve sedersi al "tavolo" della trattativa sulle candidature e poiché c'è il timore (logico e giustificato) delle esclusioni i gruppi si costituiscono sempre più numerosi anche per sedersi - come è ovvio - a quel "tavolo delle candidature".
Si dice che, per superare questa sorta di mercato, si potrebbe mettere in atto la procedura delle "primarie" per proporre le candidature: ma la proposta è un puro diversivo ingannevole. Su questa rivista è stata pubblicata una analisi attenta delle diversità grandi tra i differenti Stati degli Usa nella organizzazione di questo sistema e sui molti dubbi e critiche che lo circondano (oltre che sul fatto che esso stesso si fonda sulla democrazia del denaro). Ma in ogni modo un dato è certo: le primarie americane si svolgono nella gara tra diverse componenti (gruppi d'interesse, gruppi di affinità culturale, etc.) di una medesima appartenenza per quanto vaga essa sia (democratici e repubblicani con storie, miti, rituali, gruppi dirigenti più o meno consolidati). Qui da noi le primarie suscitano il fondato sospetto che esse divengano l'appannaggio del gruppo politico più forte nazionalmente o localmente, il che avrebbe il risultato di esaltare il complicato disagio tra le varie componenti della coalizione, diverse tra di loro per cultura e per tradizione e di far saltare dunque la coalizione stessa.
Lo "scettro" della decisione che avrebbe dovuto tornare al popolo con il maggioritario rispetto al sistema dei partiti, torna in realtà non ai partiti ma, peggio, al gruppetto ristrettissimo dei "capi" dei vari gruppi partitici, meno piccoli o più piccoli che siano, anche perché - com'è ovvio - si tratta di distribuire non i collegi in generale, ma quelli considerati "sicurissimi" o "sicuri" o "quasi sicuri" dato che degli altri ci si interessa poco o nulla. Il popolo sovrano ha dunque come proprio ambito di decisione quello di ratificare o non ratificare la scelta compiuta da chi ha definito le candidature; il che basterebbe da solo a giustificare l'astensionismo.
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Una legge a doppio turno di collegio, come in Francia, significa la presentazione in ogni collegio dei candidati delle varie forze politiche e il passaggio al secondo turno di quelli che superano una certa percentuale dei voti. Vanno così al ballottaggio, inevitabilmente, solo i candidati proposti dalle forze politiche più consistenti. Tale esito potrebbe essere evitato solo se si ripetesse per il doppio turno di collegio la procedura del "tavolo delle candidature" per la distribuzione dei posti come per il turno unico: il che - ovviamente - rende ingannevole e risibile la procedura del doppio turno. Inoltre, se fosse stato approvato ieri il referendum, così come se venisse approvato oggi, sarebbe stato, e sarà, troppo facile invocare il voto popolare per condannare qualsiasi legge diversa dal maggioritario di collegio a turno unico.
Il peggio è che, mancando alle elezioni politiche ormai poco tempo, si potrebbe andare al voto non solo con una legge a turno unico con tutti quei pessimi risultati che ho ricordato, ma proprio con la legge-mostro che uscirebbe dal referendum abrogativo. Una legge-mostro, lo ripeto, perché - come fu documentato l'anno scorso - il metodo della elezione dei "migliori secondi" (al posto del 25% attualmente eletti con il voto proporzionale) non esiste in nessun paese del mondo ed è tale da generare il pieno stravolgimento del responso elettorale. Com'è stato matematicamente dimostrato, il sistema dei "migliori secondi" può far diventare maggioranza la coalizione perdente. Basta, a tal fine, l'ottenimento anche di qualche decina di "migliori secondi" da parte di liste locali appositamente studiate per alterare completamente l'esito finale rispetto ai voti ottenuti e ai collegi conquistati dai primi arrivati. Un pasticcio ignobile.
Ma a parte questa mostruosità (che getterebbe nuovo sprezzo su questo nostro povero paese), si sa bene che proprio per la natura della elezione con collegio uninominale a turno unico (in un sistema tradizionalmente pluripartitico) non è possibile garantire ciò che costituisce lo scopo di questo ulteriore giro di vite elettorale: e, cioè, la stabilità della maggioranza parlamentare e degli esecutivi.
Non si fa dunque mistero - ad esempio da parte della dirigenza dei democratici di sinistra - di volere una legge che rafforzi la eventuale maggioranza parlamentare attraverso l'utilizzazione di una parte consistente di quel 25% di proporzionale che sarebbe abolito nel caso di vittoria del referendum. Si sommerebbe così al premio di maggioranza implicito nel sistema uninominale a turno unico (dove - come si sa - si può essere eletti anche con percentuali modeste assai se esistono più liste nel collegio) un ulteriore premio di maggioranza per assicurare la governabilità: un'altra escogitazione unica al mondo e francamente scandalosa da un qualsiasi punto di vista democratico.
Avanza allo stesso tempo l'idea del presidenzialismo o del "sindaco d'Italia" come se non bastasse l'esempio fornito dalle conseguenze di quella estrema personalizzazione della politica già evidente nella elezione diretta dei sindaci delle città (e vedremo, ora, con i presidenti delle regioni). Sempre di più il Parlamento tende ad essere concepito come un organo consultivo: la decretazione d'urgenza e la ampiezza delle deleghe sostituiscono già ora la decretazione ordinaria. La stessa facoltà delle Camere di esprimere il governo viene ormai vista con fastidio. Sembra che la efficienza debba necessariamente contrastare con la democraticità delle decisioni: e dunque si ritiene anche a sinistra che è piuttosto la democraticità a dover essere sacrificata. Non si dimentichi che l'Italia, come tutti gli altri paesi di Europa, è entrata in guerra contro la Federazione jugoslava senza interpellare il Parlamento. Il percorso che si propone, dunque, è quello di una limitazione drastica della rappresentanza unitamente alla riduzione, già in atto, della funzione del Parlamento.
Il concetto cui ci si ispira è che, se il sistema democratico manifesta incapacità a governare, esso, in definitiva, condanna se stesso. (Lo spettro che viene agitato è quello della repubblica di Weimar). Di conseguenza, le limitazioni nella rappresentanza e nei suoi poteri dovrebbero essere viste come un bene ai fini del mantenimento della democrazia, o - almeno - come il minor male. È la posizione ben nota della "democrazia possibile" che si contrapporrebbe alle pericolose astrazioni di una democrazia che si volesse proporre come onnicomprensiva e assoluta. Dunque, anche il sacrificio di quelle forze politiche che rifiutassero o non si sentissero in grado di partecipare ad una delle due coalizioni (o partiti) sarebbe, in definitiva, da comprendere e giustificare, poiché - si dice - senza una chiara scelta in materia di governo sulla base delle opinioni raccoglibili "a sinistra" o a "destra", sarebbe impensabile proporsi per la costruzione di una maggioranza. Chi rifiutasse questa concezione in nome dei suoi propri valori considerati come irrinunciabili sceglierebbe, secondo questa concezione, un ruolo di testimonianza: e dunque sarebbe comprensibile e giustificabile che a chi compisse questa scelta venisse assegnato (come prevedono i Ds in quell'idea di legge monoturno maggioritario cui ho accennato) il cosiddetto "diritto di tribuna" e cioè una rappresentanza simbolica in Parlamento per comunicare la propria voce (per esempio, un dieci per cento dei deputati da dividersi tra tutte le liste che rifiutassero di coalizzarsi a sinistra o a destra).
Tutta questa concezione, però, più che della "democrazia possibile" parla, appunto, di una democrazia autoritaria che confonde la governabilità con l'arbitrio. Ci sono molti modi - nella democrazia rappresentativa - per aggirare o inquinare il principio "una testa, un voto", principio che prevede l'eguaglianza non solo nel diritto al voto, ma nella potestà implicita in quel voto. Come si sa, l'essenziale ostacolo alla attuazione del principio sta nella sproporzione abissale tra le possibilità di intervento nella gara elettorale tra chi possiede molto o moltissimo e chi non ha nulla: e cioè tra chi dispone solo del suo voto e chi, invece dispone degli strumenti per condizionare il voto di molti altri. A questo modo di essere della società conseguono forme e modi giuridicamente definiti per correggere, temperare, ridurre il principio di eguaglianza nel voto e nella sua potestà. Le leggi elettorali fanno parte in misura maggiore o minore di questo apparato giuridico.
Stupisce l'accanimento nella sinistra moderata contro il principio di eguaglianza rappresentato dal proporzionalismo. Si può cercare la via per evitare che il proporzionalismo puro sia di stimolo a quello che viene definito un eccesso di frammentazione della rappresentanza, ma bisognerebbe - almeno - rendere omaggio al principio del Parlamento come "specchio del Paese" come un ideale, come una ispirazione, come una idea che stimola anche se è di difficile attuazione. Pare invece che la parola "proporzionalismo", essendo stata pronunciata anch'essa in presenza di Berlusconi e di Bossi, sia divenuta una parolaccia, una vergogna reazionaria e restauratrice.
Si teme che ove venisse ripreso un sistema di rappresentanza proporzionalistico sia pure con lo sbarramento al 5%, alla tedesca, perciò stesso si darebbe luogo ad un principio di ingovernabilità o di assoluto predominio di un nuovo centro oscillante tra destra e sinistra e pronto a servirsi, come si dice, ai due forni. Fosse anche vero che questo è un pericolo incombente ciò non autorizza né a dire un falso storico né a criminalizzare un principio democratico. Il falso storico è che la molteplicità dei governi nella "prima repubblica" fosse unicamente relativa al proporzionalismo e sia da definire come instabilità. La stabilità fu massima (sempre la Dc fu al potere) e il mutamento dei ministeri altrettanto massima per la convenzione ad escludere il Pci dal governo (giusta o sbagliata che fosse questa convenzione rimasta pienamente in vigore anche quando il Pci ebbe rotto i rapporti che lo legavano all'Urss). In luogo dell'alternanza tra partiti si generò così un'alternanza tra correnti e uomini della Dc (e poi delle alleanze di centro-sinistra) in una soffocante immobilità. Altro che instabilità politica. Ma al falso storico si unisce la criminalizzazione del principio proporzionalistico il quale, invece, non solo in Germania dimostra di funzionare. Si dice che in Germania funzionò nel passato perché vi fu la messa al bando dei comunisti, oltreché dei nazisti. Ma l'argomento è del tutto falso: il meccanismo tedesco funziona ancora oggi in una situazione "normale", del tutto analoga a quella italiana. E con la conseguenza che c'è più bipolarismo in Germania che nel frammentatissimo "bipolarismo" italiano dettato dal maggioritario a turno unico.
Ma è poi davvero un pericolo incombente un centrismo oscillante capace di servirsi ai "due forni"? Certamente lo è se la sinistra pensa se stessa non come una reale alternativa per il governo del Paese, ma puramente e semplicemente come una forza la cui caratteristica è una disponibilità assoluta a qualsiasi politica. Vale a dire che il pericolo del "centro" esiste relativamente alla idea che la sinistra si fa di se stessa. Ora che si ritiene che a destra non vi sia più una forza eversiva del sistema democratico, date le numerose autocritiche e trasformazioni del partito che occupa quella posizione, non ci dovrebbe più essere il timore di dovere per forza accordarsi con il centro per impedirgli di accordarsi con la destra. E, infatti, questa intesa avviene già oggi e concorre per il governo. Il timore della politica dei "due forni" nasce solo se il fornaio di sinistra è pronto a qualsiasi sconto sui prezzi per avere il privilegio di servire il "centro".
Anche l' idea che Berlusconi sia realmente per il proporzionale alla tedesca è una forzatura propagandistica. Egli ha dimostrato, avendo buoni consiglieri, di non temere quella soluzione dati gli inconvenienti e i guai veri del monoturnismo maggioritario: ma è egualmente pronto a sposare, come ha detto, il sistema americano e cioè l'elezione diretta del capo dell'esecutivo unitamente al maggioritario a turno unico. Berlusconi è specializzato a sostenere una cosa e il suo contrario, dunque, come di chi vuole ostentare certezza di sé e delle proprie forze. Non conviene, dunque, misurare le proprie parole e i propri convincimenti su quelli di Berlusconi.
Il vero pericolo è altrove. E cioè nel fatto che ci si immagina che con il successo del referendum e l'abolizione della quota proporzionale si costringerà quella parte della sinistra rappresentata da Rifondazione comunista ad una intesa forzata oppure la si ridurrà al "diritto di tribuna" riducendone il peso (già non grande) invocando contro di essa il "voto inutile". È una linea che tende ad annullare quel tanto di positivo che si è potuto realizzare con l'accordo unitario per le regionali: una linea francamente prevaricatrice, lontana non solo da una vera sensibilità democratica, ma dalla capacità di intendere che i problemi politici non si risolvono con atti di imperio. La esistenza di una vasta area a sinistra dei Ds - non tutta rappresentata da Rifondazione comunista - dovrebbe fare riflettere la maggioranza di questo partito sul modo di manifestare capacità di comprensione e di intesa con questi modi di pensare, di sentire e di agire, anziché respingerli tutti assieme come cosa perversa e condannevole. C'è il rischio che nella esasperazione degli animi avvenga il peggio: candidati di Rifondazione in tutti i collegi che rifiutassero l'eventuale ghetto loro destinato ed entrassero in competizione con il centro-sinistra sarebbero destinati a cadere, ma porterebbero un duro colpo per la coalizione.
Una sinistra capace di intendere, come è necessario, le ragioni del moderatismo socialmente più ragionevole non può dimostrarsi incapace di intendere le ragioni di quella parte della opinione di sinistra che si manifesta con un voto per altre forze o con una astensione che ha diversi (e persino opposti) contenuti, ma non è "qualunquistica" ed è comunque perfettamente leggibile con il metodo di una seria analisi sociologica. Per meglio dire, una sinistra che dimostrasse questa incapacità di intendere dimostrerebbe soltanto la propria vacuità e pochezza.
Non si tratta però solo di comprendere le ragioni altrui: per i Ds si tratta di intendere anche le proprie. Al congresso, la maggioranza ha potuto tenere (anche cedendo, per la prima volta, un 20% a sinistra) perché ha giurato - al suono dell'Internazionale - sulla volontà di formare un partito socialdemocratico europeo. Ma non ha senso un partito se esso scompare nelle elezioni politiche. La contraddizione era evidente già allora, ma ora diviene ancor più chiara. A parte i partiti personali che si vanno costruendo nel Paese dal Nord al Sud, la linea referendaria porta necessariamente al partito democratico, seppure con tappe successive, valide a tener buoni i riottosi. È questo il vero obiettivo, dunque. Anche perché se veramente si considerasse necessaria e utile la ipotesi maggioritaria in alternativa al modello tedesco non sarebbe obbligatorio un salto suicida, come quello che si vuol fare nel maggioritario uninominale a turno unico. La proposta del maggioritario di coalizione a doppio turno può pienamente corrispondere alla esigenza di chiarezza davanti agli elettori chiamati a scegliere, per il premio maggioritario, tra due coalizioni diverse contemporaneamente salvaguardando le esigenze di rappresentanza per chi rifiuti la coalizione. E non è neppure questa l'unica strada, date le possibili varianti, se si vuole conciliare rappresentanza e governabilità. Ma se passa il referendum, il vincolo diventerà soffocante e respingerlo a me pare doveroso.
C'è un motivo in più per respingere il referendum: lo lascio per ultimo, perché può apparire - come si dice - puramente "formale" (anche se si tratta, in realtà, di corposa sostanza). La decisione di ammettere il referendum perché esso è stato respinto "solo" dal mancato raggiungimento del quorum e non da una maggioranza di "no" è, a mio giudizio, non solo una forzatura della legge, ma un suo reale stravolgimento. Se viene stabilito un quorum, come tutti sanno, non ci sono solo due voti, ma tre: il sì, il no, l'astensione. Questo è l'unico caso in cui l'astensione, comunque motivata, è un voto. Ignorarlo significa far prevalere sul diritto altri tipi di convincimento.
Non si tratta di vacua "forma". Mi stupisco del vasto silenzio dei molti che pure si strappano le vesti giurando sulla liberal-democrazia. Questa non può esistere senza rispetto delle norme. Anche per questo motivo - oltre a tutte le ragioni di merito - a me pare che questo referendum vada respinto. Per quanto mi concerne, rifiuterò la scheda che lo riguarda quando essa mi sarà porta nel seggio.

La democrazia interna dei partiti (Sergio Santoro)Consigliere di Stato
1. Firenze, nel Rinascimento, per diversi decenni fu governata da esponenti della famiglia de i Medici, nonostante nessuno dei suoi appartenenti, salvo poche eccezioni, vi ricoprisse alcun incarico pubblico. Questa specie di “signoria occulta” si poté realizzare mantenendo, sul libro-paga della storica famiglia di politici-banchieri, i cosiddetti "accoppiatori", cui competeva istituzionalmente la redazione delle liste (dette "borse") ove erano inseriti i nomi dei legittimati al sorteggio alle candidature alle varie cariche pubbliche della città e dello Stato, come allora si usava. Sulla carta, tutti i cittadini in possesso di determinati requisiti obiettivi avrebbero potuto accedere alle varie cariche, ma i Medici, attraverso gli "accoppiatori", individuavano i cittadini da inserire nella "borsa" (una vera e propria lista) tra le persone gradite alla "famiglia" ed al suo partito. Gli oppositori, viceversa, non vi entravano mai.
Oggi come allora, la trasparenza nella scelta dei candidati alle competizioni politiche si rivela essenziale per l’effettività del gioco democratico, soprattutto là dove si è affermato il principio maggioritario.
Da quando nella legislazione elettorale nazionale prevale questa tendenza, sempre più spesso, anche per effetto dell’uso improprio e della concentrazione della proprietà dei più incisivi e diffusi mezzi d’informazione, il convincimento e la scelta dell’elettore, anche nei collegi uninominali, si orientano ormai preferibilmente (e paradossalmente) sulla coalizione e sul suo leader, piuttosto che sul nome del singolo candidato nel collegio.
In un sistema così deformato, la selezione dei candidati (e futuri eletti) alle cariche politiche è dunque affidata quasi esclusivamente agli organi di partito, con notevole alterazione dei principi a fondamento del suffragio universale consacrati nell’art. 48 Cost.
La democrazia interna nei partiti, nei sistemi elettorali a prevalente contenuto maggioritario, è divenuta quindi indispensabile per ristabilire l’effettività della sovranità popolare.

2. Il recente riemergere dell'interesse per il problema della democrazia interna dei partiti ha seguito un lungo periodo, dalla Costituente ad oggi, nel quale – sulla base soprattutto sugli atti dei lavori del 1947 - il significato dell’espressione “metodo democratico”, nell'articolo 49 della Costituzione sui partiti, era stato riferito all'attività esterna di questi, piuttosto che alla loro organizzazione, ed utilizzato unicamente per escludere dalle competizioni elettorali quelli che non sembravano ispirarsi a valori democratici.
La recente evoluzione del sistema elettorale verso principi a prevalente contenuto maggioritario ha tuttavia imposto un ripensamento di quell’interpretazione. Ne sono seguite, tra l’altro, alcune proposte di legge d’iniziativa parlamentare, nella XIII (Mancina ed altri, A.C. n. 5326; Salvi ed altri, A.S. n. 3954), e XIV legislatura (A.C. n. 598, Chiaromonte ed altri), tutte essenzialmente centrate su condivisibili metodi e strumenti di democrazia nell’organizzazione interna dei partiti (obbligatorietà di norme statutarie sull’attività degli organi rappresentativi e modalità di selezione delle candidature; scelta dei candidati alle varie elezioni attraverso le “primarie”; comitato di garanti, ecc.), prive però di ogni accorgimento utile ad assicurarne l’effettività, pur nel rispetto dell’autonomia ed indipendenza dei partiti, attraverso la previsione di procedure e strumenti idonei a sanzionare la violazione o l’elusione delle norme e dei principi ivi affermati.

3. Attualmente, in assenza di un’organica disciplina legislativa del problema, attuativa dell’art. 49 Cost., il rimedio comunemente ritenuto esperibile, in caso di violazioni in materia, è quello ordinario dell’art. 700 c.p.c., mediante l’inibitoria, richiesta al giudice dagli interessati (candidati od esponenti del partito ingiustamente pretermessi oppure semplici elettori), della presentazione delle liste o di candidati, in violazione delle norme statutarie, anche con richiesta d’eventuale sospensione e rinvio della consultazione elettorale od esclusione della lista interessata.
Non escluderei peraltro l’esperibilità della tutela cautelare dinanzi i Tribunali amministrativi regionali, tenuto conto che i partiti prevalentemente ricevono finanziamenti statali, svolgono compiti pubblicistici e sono comunque già oggi per lo più tenuti, dalle rispettive norme (per ora solo) interne, a seguire procedimenti di tipo amministrativo.
Sembra poi inevitabile l’effetto indiretto, talora dovuto a prevedibili usi impropri o strumentalizzazioni d’ogni tipo, che simili vicende giudiziarie potrebbero avere sul libero convincimento degli elettori, nell’imminenza delle consultazioni.
Tuttavia, l’interesse prevalente dovrebbe essere sempre quello del rispetto sostanziale ed effettivo del principio democratico e, quindi, oportet ut scandala eveniant.
s.santoro@tiscali.it

Sconfiggere una dimensione della politica che è pura pratica delle classi dirigenti (Bruno Pastorino)Liberazione 24 agosto 2004
Dalla discussione in corso tra noi proporrei di abbandonare alcuni toni e certi temi. Che, per esempio, questo dibattito anticipi e intrecci quello che terremo tra pochi mesi andando a congresso mi pare non solo ovvio ma persino giusto; tanto che non intendo perché certi compagni che dissentono dall'intervista di Bertinotti sdegnosamente lo neghino (non tutti, in verità; Ferrando, se ho ben inteso, propone legittimamente un confronto a tutte le aree critiche), e perché altri continuino a sottolinearlo dando l'errata idea che vogliano scartare il merito delle obiezioni che vengono sollevate proprio quando invece gli si dedica tanto spazio e giustamente, con Liberazione, si promuove questa tribuna.
Ma pure l'enfasi con cui quotidianamente qualcuno dichiara la banalità che sulla guerra non sarebbe ammessa alcuna trattativa è, a voler essere generosi, almeno fastidiosa. Il paradigma pacifista non è prerogativa di alcuni di noi e neppure solo nostra, per fortuna. Vandana Shiva, per dire solo un nome, sul saldo legame tra guerra preventiva e forme odierne del dominio ha recentemente scritto un saggio non a caso intitolato "L'unico imperativo". Ecco, quell'allusione neppure tanto remota alla categoria del tradimento (è già stato ricordato: ieri alla pretesa liquidazione del partito o all'oblio della questione operaia o, aggiungo io, alla presunta abiura ai valori della resistenza e oggi addirittura alla guerra globale), non rende tanto feconda la nostra discussione e, questa sì, certamente la ingessa. Insomma non ci sono bandiere lasciate cadere nel fango e non c'è bisogno di alcuno che si precipiti a raccoglierle!
Forse meglio sarebbe concentrarsi sul vero tema sotteso alla proposta della costituente programmatica; di cui le cosiddette primarie, se non sbaglio, non vogliono che essere un sinonimo e non certo quell'improvvisa infatuazione americana di cui qualcuno crede. Mi pare evidente che in questi mesi in settori non certo marginali del centrosinistra si sia fatta strada l'ipotesi di raccogliere il generoso e diffuso sentimento antiberlusconiano e di utilizzare le costrizioni presenti nel sistema maggioritario per provare a vincere le prossime elezioni politiche senza doversi troppo misurare con il conflitto sociale di questi ultimi anni, le domande e le esigenze di trasformazione che questo ha irrorato e, in ultima istanza, neppure con noi. L'accelerazione tentata col partito riformista, le attenzioni rivolte al progetto neocentrista inteso quale possibile soluzione ad un maggioritario per loro forse ancora imperfetto, le improvvide dichiarazioni alle primarie (quelle sì che davvero ci sono state) di Boston, le considerazioni di Amato sull'antiamericanismo, un editoriale di pochi giorni fa della Repubblica - come al solito alfiere di queste ipotesi - dove il referendum per defenestrare Chavez diventa un pretesto per proporre di liquidare qui e ora la sinistra alternativa sono, per citare solo alcuni esempi, tutte spie di questa propensione.
E l'elenco, come tutti sappiamo, potrebbe lungamente proseguire. Insomma, per le aree moderate del centrosinistra la rendita elettorale sarebbe tale e le condizioni del sistema con cui si vota talmente favorevoli che alla fine della favola chi vuol fare cadere questo governo dovrebbe andare a picchiare per forza lì pure in cambio di nulla. Non è un'ipotesi granché peregrina; è la premessa di quel pendolo che abbiamo dichiarato di voler interrompere e rispetto cui - lo dico sommessamente e attento a non far torto all'intelligenza dei compagni che le propongono - quelle soluzioni tecnico elettorali cui Cannavò suggerisce di disporsi sono assolutamente compatibili.
Pensiamoci. Credo che nessuno ritenga il progetto che ci siamo dati un percorso lastricato di petali di rosa, ma la "soluzione tecnico-elettorale" è la dichiarazione preventiva che per forza il governo di domani se non sarà zuppa sarà pan bagnato. E, mi sia concesso, non vedo proprio perché ci si debba subito rassegnare a questa evenienza.
Qual è la sfida, allora? Io penso quella di contrastare e, possibilmente, sconfiggere una dimensione della politica che è pura pratica delle classi dirigenti; quella di tentare di agire sul collo stretto della contraddizione tra un'alternativa socialmente matura e una forma della politica che la espelle. E' qui che nasce l'esigenza, mi pare, di allargare la platea. E che le proposte di costituente programmatica e costituente alternativa non possono essere considerate rette parallele, ma due espressioni di una proposta unitaria. Diversamente resta la staticità oppure il surrogato di esercizi di calligrafia (i famosi paletti; gli accordi locali che poi è mica vero che sono sempre belli) svolti solo per giustificare il proprio voto negli organismi dirigenti.
E' difficile? Senz'altro si. E varrebbe pure considerare che le resistenze purtroppo non provengono solo dalle opposizioni moderate (non apro questo capitolo, ma ricordo solo l'intervento di Negri su Posse). Qui, mi pare, dovremmo concentrarci. Se, come dice Boghetta, "le primarie sul programma non si faranno mai" e se, aggiungo io, quello che certo non ci occorre è un'inconcludente babele o un evento meramente mediatico, come navighiamo allora tra la loro astratta e inconfutabile necessità e le concrete difficoltà di realizzarle?

LA GRANDE SCELTA IN TRE DOMANDE (Giovanni Sartori)
Sapremo domani chi sarà il nuovo presidente della superpotenza del nostro tempo. Io non mi spericolo mai in previsioni sul giorno dopo: aspetto tranquillamente un giorno. In attesa, vediamo 1) come funziona il processo di selezione di un presidente americano, 2) quale sia l’effettiva «potenza», l’effettivo potere, del cosiddetto uomo più potente del mondo, 3) che differenza fa che il vincitore sia Bush jr. oppure Gore. Come si sa, il presidente Usa emerge da un complesso ed estenuante seguito di elezioni primarie. Chi le vince, le primarie? Intanto, chi ha la forza fisica di un toro. Per quanto bravo, un «fragilino» non ce la può fare: invece di finire alla Casa Bianca finisce molto prima in ospedale. E poi, secondo, vincono i soldi, vince chi ha più soldi. Si calcola che l’insieme di queste elezioni sia costato circa un miliardo di dollari. Sarà che io sono all’antica, ma a me la cifra sembra non solo enorme ma anche abnorme. Perché sono ormai i soldi che costruiscono i candidati. Ne pagano i discorsi (scritti per loro dai ghost writers , da estensori occulti), ne pagano i sondaggi che li pilotano, ne pagano gli spot pubblicitari. Tutto diventa fasullo.
Sia chiaro: esistono procedimenti di scelta peggiori delle primarie. Ma è altrettanto chiaro che le primarie non favoriscono i migliori. Stavolta il candidato di spicco era (a detta dell’ Economist ) John McCain; ed è lestamente restato a terra. Gli americani si terranno le loro primarie; ma non mi sentirei di raccomandarle in giro. In termini di costi-benefici sono un disastro.
Secondo: quanto «può» un presidente americano? Il suo è davvero un potere forte? Sì e no. Se la sua è una «maggioranza indivisa», e cioè se lo stesso partito vince la presidenza e il controllo del Congresso, allora il presidente è forte, relativamente forte. Se invece si dà una situazione di maggioranza divisa (presidenza democratica e maggioranza repubblicana, o viceversa), allora abbiamo un divided government , un governo diviso, e per esso un presidente relativamente debole. Si deve sempre dire «relativamente», perché nel Congresso americano la disciplina di partito è rilassata. Pertanto il Congresso non obbedisce al «suo» presidente più di tanto, ma nemmeno lo impiomba, nel caso di governo diviso, più di tanto.
Allora il nuovo presidente sarà forte o debole? Anche questo è un interrogativo apertissimo. Oggi non viene soltanto eletto un presidente, ma anche tutta la Camera dei rappresentanti e un terzo del Senato. Finora la maggioranza del Congresso è stata repubblicana. Ma di poco: 54 seggi su 100 al Senato, e 13 seggi in più (su un totale di 435) alla Camera. Come nulla le maggioranze si potrebbero invertire. È quindi possibile che Bush si trovi contro un Congresso democratico, oppure che vinca un Gore che resta in minoranza. In questa elezione è davvero tutto incerto. Non soltanto chi sarà il nuovo presidente, ma anche se risulterà forte o no.
Intendiamoci: anche un presidente senza maggioranza tanto debole non è mai. Dispone pur sempre di un potere di veto, e assegna motu proprio circa 3 mila posti. Aggiungi che un presidente debole sul fronte interno resta pur sempre cruciale nelle decisioni di politica estera che ricadono sul capo del resto del mondo.
Terzo: che differenza fa, o farà, se il presidente sarà Bush oppure Gore? Ai circa cento milioni di americani che probabilmente non andranno a votare la differenza evidentemente sfugge. Ma c’è. E l’Europa e il resto del mondo hanno ragione di temere l’inesperienza e anche la ciucaggine di Bush nei problemi di politica internazionale. È vero che nemmeno Clinton, in esordio, ne sapeva molto. Ma è stato un quick learner , svelto a imparare. Se vincerà Bush, lo sarà anche lui? In un’elezione piena d’incognite questa è la più grave. E sarà sciolta chissà quando. Non certo domani.

Verso le primarie Ds
Cerreto: "Migliaia di cittadini pisani sceglieranno i candidati dei Democratici di Sinistra" al Consiglio Comunale Pisa, 28/2/2003 Illustrate le modalità per partecipare alle primarie


Conferenza stampa delle grandi occasioni, in casa DS, con i vertici politici e organizzativi del partito cittadino e della Federazione, per presentare l'"evento" politico del 22 e 23 marzo, il fine settimana in cui si svolgeranno le elezioni primarie dei Democratici di Sinistra nel Comune di Pisa. In concreto, tutti i cittadini pisani, iscritti ai DS o meno, potranno recarsi a votare e scegliere, esprimendo fino a tre preferenze, i candidati e le candidate dei DS al Consiglio Comunale di Pisa: decidere, insomma, chi sarà nella lista dei DS il giorno delle elezioni comunali.
"Per partecipare alle primarie - spiega il segretario cittadino dei DS Roberto Cerreto - non serve essere iscritti: basta dichiararsi elettore dei Democratici di Sinistra. Non solo, anche la candidatura alle primarie è aperta a tutti: servono solo venti firme e chiunque può partecipare alle primarie per entrare nella lista dei DS.
Ormai da diversi anni, infatti, il partito pisano, anticipando le scelte nazionali, ha scelto di selezionare i propri candidati attraverso le primarie "aperte", in cui appunto ogni simpatizzante può candidarsi e votare: e la risposta dei cittadini è stata entusiastica. Hanno partecipato a migliaia, in maggioranza non iscritti ai DS: mi sembra la dimostrazione più chiara che quando i partiti si aprono alla società e danno ai cittadini la possibilità di contare in prima persona, i cittadini si fidano di più ed esprimono una grande voglia di partecipare e di farsi sentire.
L'altro elemento che vorrei sottolineare - ha aggiunto Cerreto - è il ruolo delle donne: il regolamento delle primarie stabilisce che il numero delle candidate sarà uguale a quello dei candidati; e anche dopo le primarie, nella lista per il Consiglio Comunale, sarà garantito l'equilibrio tra candidature maschili e femminili. Tutto questo rientra in una strategia complessiva del partito per incoraggiare e valorizzare maggiormente il contributo delle donne alla vita pubblica della città e all'attività politica e amministrativa".
"Per i DS - ha dichiarato il segretario delle Federazione Giancarlo Lunardi - le primarie costituiscono ormai non più l'eccezione, ma la regola, e il nostro partito è impegnato in una battaglia culturale per farle diventare il metodo normale di selezione delle candidature nella coalizione dell'Ulivo: in questo modo, ai cittadini sarebbe data la possibilità di scegliere i candidati, per esempio, anche nelle elezioni politiche e questo aiuterebbe a superare le difficoltà che, nel sistema maggioritario uninominale, essi talvolta avvertono a identificarsi con il loro candidato. Comunque, per quanto riguarda noi DS, abbiamo scritto nel nostro statuto che, ovunque ci siano da selezionare candidature del partito, il metodo sono le elezioni primarie: mi sembra un'apertura di grande significato politico".
"Ma le primarie sono anche un grande fatto organizzativo" hanno aggiunto i responsabili organizzazione della Federazione, Corrado Guidi, e dell'Unione Comunale, Mario Montrone. "Si tratta di allestire decine di seggi elettorali in tutta la città, per dar modo di votare al maggior numero possibile di persone.
Persone che, naturalmente se lo desiderano, potranno da quel momento in poi essere inserite in una speciale banca dati, ai sensi di legge, e informati di tutte le iniziative dei DS, in campagna elettorale o anche successivamente; anche attraverso dei semplici SMS sul loro cellulare, o via e-mail, oltre che in forme più tradizionali. Ma si tratta anche di informare tutti i cittadini pisani di questa opportunità, dei tempi, dei luoghi e delle modalità concrete di preparazione e svolgimento delle primarie; intanto, chiunque desideri avere maggiori informazioni sulle primarie, o sia magari interessato a candidarsi, può rivolgersi alla Federazione DS, al numero 050 45321, o a una delle nove sezioni del partito cittadino".

LE PRIMARIE: MA COSA SONO IN PRATICA? (Guido De Simone) Data di pubblicazione: 22.09.2004
Nella sinistra italiana si fa un gran parlare di elezioni primarie per la scelta del candidato premier e dei presidenti delle regioni. Ma cosa sono le "primarie" e come potrebbero svolgersi è più difficile da spiegare. Ci proviamo con un'introduzione ai vari tipi di Consultazioni Primarie ed alla loro adattabilità al Caso "Italia" illustrata dal presidente del "Comitato nazionale per le primarie".
di Guido De Simone
Le Consultazioni Primarie si svolgono subito prima delle Elezioni e servono a stabilire chi saranno i candidati ammessi nelle rispettive liste elettorali. Difatti, ipotizzando che per ciascuna lista vi siano più "aspiranti" ad essere candidati, tale consultazione stabilisce con metodo democratico chi ne avrà l'onore e l'onere. Dato che le Primarie, si svolgono "a monte", cioè subito prima (da cui l’aggettivo “primarie”), delle elezioni vere e proprie, esse non “riformano” affatto l’attuale sistema vigente, qualsivoglia sia la sua natura. Difatti, sono applicabili a qualsiasi sistema elettorale. Facciamo un esempio con i due sistemi, il "maggioritario" ed il “Proporzionale”.
Nel MAGGIORITARIO in ciascun Collegio elettorale uninominale ogni lista che si presenta ha bisogno di un solo candidato da presentare alle elezioni. Dato per scontato che ci sia più di un aspirante alla candidatura per quella lista, si effettuano le PRIMARIE subito prima dell'inizio della campagna elettorale vera e propria. Gli “Aspiranti Candidati” (elettorato passivo) si presentano (campagna per le primarie) a coloro che dovranno votarli (elettorato attivo) i quali, decretano con il loro voto chi tra essi rappresenterà quella lista elettorale. Il candidato vincente e perciò candidato ufficiale della Lista inizierà, subito dopo, la campagna elettorale di sempre e il suo nome comparirà sulla scheda elettorale per la sua lista.
Nel caso di elezione con il metodo PROPORZIONALE le cose variano di poco. Essendo necessario per ogni Lista in competizione presentare e compilare una lista con più nomi che competeranno sul ben più ampio territorio della Circoscrizione Elettorale (corrispondente ad un’intera Regione o ad una consistente porzione della stessa) e poiché i "voti generici" di Lista (senza indicazione di nominativo) ed anche tutti i voti non sufficienti a far eleggere un nome in lista vanno come resti al primo della lista, partendo dall’alto, che non abbia ancora raggiunto il numero sufficiente alla propria elezione, è chiaro che i favoriti sono coloro che sono in “testa di lista”. Pertanto, le PRIMARIE servono a stabilire in quale ordine gli aspiranti candidati compariranno sulla lista, dal Capolista all'ultimo, e per l’esattezza nello stesso ordine con cui gli “aspiranti-candidati” si saranno classificati per numero di voti presi alle Primarie stesse. Perciò, non vi sarà più un mero ordine alfabetico che segue i primi nomi che tradizionalmente erano considerati i "capolista ufficiali" del partito (non a caso tassativamente decisi dal "vertice" dello stesso) in base alle percentuali di voti di solito presi da quel partito in quella Circoscrizione e che difficilmente variavano di molto. Invece l'ordine di lista sarà frutto di un processo democratico di selezione delle candidature, le PRIMARIE, appunto. Eventuali nominativi eccedenti il numero dei posti in lista e classificatisi per ultimi alle Primarie non saranno ovviamente presenti nella lista e perciò non parteciperanno alle elezioni.
Qui di seguito sono esposte tre caratteristiche, quelle principali, comuni a qualsiasi dei due metodi elettorali sopra descritti, che permettono la scelta di varie opzioni. È ovvio che la differente combinazione di opzioni per ciascuna voce costituisce un ben diverso tipo di Primarie:
1) IN BASE ALL'ELETTORATO ATTIVO (CHI VOTA), LE PRIMARIE POSSONO ESSERE DI VARIO TIPO:
a) CHIUSE: riservate ai soli iscritti/militanti (residenti ed elettori nel territorio interessato) del partito o dei partiti partecipanti in coalizione alla stessa lista elettorale.
b) SEMI-CHIUSE: ai militanti si aggiungono gli iscritti di alcuni movimenti o associazioni di "area" (cioè notoriamente simpatizzanti per tale parte politica (residenti ed elettori nel territorio interessato).
c) SEMI-APERTE: possono partecipare tutti i cittadini (residenti ed elettori nel territorio interessato) che si "iscrivano" anche solo temporaneamente e come simpatizzanti al/i partito/i della Lista o sottoscrivano un protocollo d'appoggio al programma della Lista.
d) APERTE: partecipano tutti i cittadini residenti ed elettori nel territorio interessato, senza alcun necessità di dichiarazione o d'iscrizione o limite o vincolo od obbligo, salvo l'esibizione di un documento che comprovi la residenza nel territorio interessato (quest'ultimo obbligo vale di solito per tutte le altre ipotesi sopra elencate).
2) IN BASE ALL'ELETTORATO PASSIVO ("ORIGINE" DI CHI SI CANDIDA, CIOÈ DA CHI È CANDIDATO):
a) DA PARTE DEL VERTICE NAZIONALE: i candidati sono espressi solo dal vertice centrale del partito.
b) DA PARTE DEI VERTICI NAZIONALE/LOCALE: i candidati sono decisi di comune accordo tra il vertice nazionale e quello/i locale/i.
c) DA PARTE DEI VERTICI/DIRIGENZA LOCALI: un gruppo ristretto della Direzione Locale decide i nominativi in lizza.
d) DA PARTE DELLA ASSEMBLEA LOCALE ISCRITTI: tutti i militanti locali possono indicare candidati.
e) DA PARTE DELLA ASSEMBLEA LOCALE + MOVIMENTI SIMPATIZZANTI: si possono aggiungere nominativi presentati da organismi esterni alla parte ufficiale ma invitati dal partito ad indicare dei nomi.
(NOTA: in questi primi casi, se applicati ad una "Lista di Coalizione" (più partiti che l'appoggino), gli aspiranti potrebbero essere candidati da ciascuno dei partiti partecipanti alla Coalizione e nel caso "2e" tale possibilità si estenderebbe anche dalle relative associazioni esterne ammesse.)
f) DA PARTE DI CHIUNQUE (“EX OMNIBUS"): chiunque può candidare o candidarsi per tale lista in competizione.
In tutti i casi, le candidature andrebbero suffragate dalla raccolta di un determinato numero di firme dei cittadini del Collegio, corrispondenti almeno al quantitativo minimo necessario per l'ammissione alle elezioni secondo quanto previsto dalle norme vigenti per l’elezione a cui le Primarie si riferiscono. Ciò "dirada" di parecchio il numero delle candidature alle Primarie: indicativamente, ove la proposta “ufficiale” del partito non sia condivisa, sono prevedibili da 1 a 7 ulteriori candidature. Oltre sarebbe difficile poiché solo una percentuale minima di elettori (tra il 3 ed il 10%, percentuale che varia da partito a partito e secondo le contingenze) accetta di sottoscrivere una candidatura schierandosi apertamente per una parte politica.
Una considerazione, prima di concludere con l'ultima caratteristica: La configurazione "1d+2f" (PRIMARIE "APERTE" e con CANDIDATURE "EX OMNIBUS", da parte di chiunque) risponderebbe a varie esigenze:
1) Darebbe una "seria" risposta alla sfiducia ed alla delusione dei cittadini nei confronti del sistema politico in genere, i cui comportamenti, la cui incertezza ed incoerenza ha creato una pericolosa distanza del popolo dai partiti e dalla politica, fino al punto di indurne un numero sempre più crescente di elettori a non partecipare al voto. Le uniche controtendenze si sono verificate quando appunto i cittadini hanno avuto la sensazione che il loro voto “contasse” veramente. E le Primarie del tipo suddetto lo consentono definitivamente.
2) Realizzerebbe gli articoli 1, 2, 3 e 49 della Costituzione Italiana (principi, e garanzia della loro tutela, di sovranità del popolo, eguaglianza e centralità di tutti i cittadini nella vita politica e nei partiti), principi fin qui disattesi poiché in Parlamento non sono state mai varate le Leggi Ordinarie che avrebbero dovuto dar loro concretezza.
3) Creerebbe una "naturale" concorrenza tra la cittadinanza ed il partito in termini di qualità delle candidature: se le candidature del partito non fossero sufficientemente valide dal punto di vista dei cittadini nulla più impedirebbe agli stessi di individuarne una o più, alternative alle stesse. Già solo questo creerebbe un cambiamento epocale nei partiti. Infatti...
4) Creerebbe i presupposti stessi della DEMOCRAZIA INTERNA dei partiti, perché:
a) la "base" dei militanti acquisterebbe più importanza del "vertice", dato che i primi saranno i veri protagonisti dell'individuazione delle migliori candidature e della relativa "trattativa" con i concittadini, che conoscono e di cui sanno aspettative, esigenze e timori. La "piramide" gerarchica tradizionale ne risulterebbe capovolta: e' il presupposto primo della Democrazia.
b) Eventuali "dissenzienti" dalla linea del "vertice" possono presentarsi alle elezioni anche per proprio conto ma per lo stesso partito, sia grazie ai militanti locali che lo conoscono e possono credere nella sua opinione, sia grazie ai suoi stessi concittadini che gli darebbero così forza nel partito. Solo in questo modo i partiti saranno il frutto naturale dell'indirizzo dei cittadini sovrani (l'art. 49 della Costituzione è molto chiaro in merito).
c) Di conseguenza, verrebbe a cadere la vera motivazione (il finanziamento è solo un ulteriore "incentivo") che attualmente induce chi non può fronteggiare lo strapotere del "vertice" del partito (Segreteria ed alta dirigenza) e ne abbia le possibilità (seguito di "fedeli") ad "accomodarsi" fuori del partito stesso ed a formarne uno suo (da cui l'attuale numero incredibile di partiti di ogni dimensione).
3) IN BASE ALLA MODALITA' DI SVOLGIMENTO:
a) PER SINGOLA LISTA: si svolgono e sono gestite direttamente dal Partito o dai partiti partecipanti alla Lista. Nel caso "1c", i cittadini partecipanti sono costretti a dichiararsi apertamente e per iscritto come simpatizzanti (se non "temporaneamente iscritti") del/i partito/i di cui vogliano decidere il candidato. Nel caso "1d", sarebbero comunque apertamente partecipanti ad una PRIMARIA "di parte". Queste due ipotesi inducono a pensare ad una partecipazione molto bassa rispetto all'elettorato complessivo, a causa della difficoltà concettuale e culturale degli italiani nello schierarsi apertamente e visti i non proprio ottimi rapporti con i partiti, almeno attualmente, degli elettori in genere.
b) a SESSIONE PUBBLICA GENERALE: di fatto, con la convocazione delle elezioni, vengono convocate anche le CONSULTAZIONI PRIMARIE, per cui i cittadini ricevono un certificato elettorale che ha un apposito tagliando in più che permette loro di partecipare alle PRIMARIE. Tutti le Liste in competizione sono obbligate a partecipare alle PRIMARIE (eventuali deroghe sono da prevedere nella legge istitutiva; p.e.: le candidature indipendenti o di liste mai presentatesi prima o di liste prettamente locali in elezioni a carattere nazionale, ecc.). l'elettore che si reca a votare alle PRIMARIE andrà in un seggio che dovrebbe perciò coincidere con quello cui si recherà circa due mesi dopo per le elezioni vere e proprie. Lì riceve una scheda unica in cui compaiono tutte le liste in competizione con i relativi "aspiranti candidati". Ne potrà indicare uno solo di una sola lista. Quest'ultimo metodo ha le seguenti ripercussioni:
A) Essendo a gestione pubblica, è controllabile e verificabile per legge da parte di chiunque ne faccia richiesta ed il costo è un costo sociale generale, il che evita che si debba autofinanziare con quote di partecipazione le quali si rivelerebbero un'ulteriore dissuasivo alla partecipazione generale dell'elettorato ed una "sperequazione" nei confronti di coloro che sono economicamente "deboli" (pensionati al minimo, disoccupati, poveri, ecc.).
B) La scheda unica tutelerebbe il principio della SEGRETEZZA DEL VOTO. Nessuno può sapere per quale delle liste il singolo elettore ha deciso di scegliere il candidato.
Guido De Simone

COMITATO PROMOTORE NAZIONALE PER LE PRIMARIE APERTE AL POPOLO SOVRANO (Associazione temporanea, senza scopo di lucro ed apartitica, tra singoli
individui).

COORDINAMENTO NAZIONALE "VERSO L'ITALIA DELLE PRIMARIE" (Associazione tra
organismi collettivi favorevoli all'introduzione delle Primarie Aperte).

Sede e Segreteria Esecutiva: Via Savoia, 78 - 00198 Roma
Recapiti tel.:
Direzione Politica: 06.86.20.32.33 - 06.86.32.82.10
Fax: 06.86.38.20.91
Servizio Esecutivo: 06.854.32.41
Portavoce Nazion. (Guido De Simone) Tel. portatile: 0348-3318633
Responsabile Organ. (Umberto Calabrese) Tel. portatile: 0338-4928568
e-mail: guidodesimone@iol.it
Richiesta accesso alla Mailing List CONFERENZA PRIMARIE:
lega.primarie@agora.stm.it
WebMaster: Andrea Andreoli, a.andreoli@agora.stm.it
Sito WEB: in fase di costruzione

PRIMARIE E DEMOCRAZIA di LUCA MOLINARI
Alla vigilia di ogni competizione elettorale ci si interroga su quali basi le forze politiche debbano scegliere i propri candidati per le cariche elettive.
Con l’attuale sistema elettorale prevalentemente maggioritario l’importanza della qualità della leadership è stata notevolmente aumentata, anche se pure con il precedente sistema proporzionale la visibilità delle candidature era influente: nessuno può negare che le vittorie del PCI negli anni ’70 fossero legate alla figura del segretario Enrico Berlinguer, oppure che l’aumento del bottino elettorale del PRI nel 1983 non fosse determinato dal fatto che il segretario del partito dell’Edera era anche il Presidente del Consiglio in carica (il cosiddetto “effetto Spadolini”) ed, infine, non si può dimenticare la grande popolarità dei “sindaci rossi” negli anni ‘70-’80: da Novelli (Torino) a Valenzi (Napoli), passando per Zangheri (Bologna) e Petroselli (Roma).
Quindi è molto importante come si selezionano le leadership e la guida di un partito o di una coalizione politica.
Il candidato ad una carica elettiva, a nostro modesto parere, può essere selezionato in due diversi modi che non sono l’uno esclusivo dell’altro, ma vanno utilizzati in due casi differenti che si possono verificare nel momento della designazione dei candidati
Innanzi tutto ci sentiamo in dovere di invitare i nostri lettori (che sono anche elettori) a diffidare di tutti gli uomini della provvidenza che si propongono tramite le cosiddette convention all’americana basandosi solo sulla propria persona: negli Stati Uniti d’America i leader sono il frutto di accordo tra potenti lobby affaristiche e, quindi non sono sempre le persone più adatte a ricoprire le cariche alle quali vengono candidati.
Il primo dei due metodi di scelta proposti consiste nel designare il candidato da parte degli organi dirigenti della coalizione politica con una votazione unanime: il candidato è l’espressione e la personificazione di un determinato programma politico, economico e sociale frutto di un vasto accordo.
Qualora non sia possibile giungere ad un designazione seguendo le modalità espresse in precedenza, in quanto sussistono più candidature rappresentanti differenti sfumature politiche e programmatiche in seno alla medesima area politica, si dovrebbe ricorrere, come avviene nel Regno Unito, ad elezioni primarie:
i vari candidati si confrontano e si sottopongono alla scelta degli elettori e dei militanti che si riconoscono in quella determinata coalizione.
Questi ultimi effettuano la propria scelta tramite un voto che deve essere regolato in maniera trasparente e democratica (ad esempio si dovrebbe chiedere a tutti i votanti che partecipano alle primarie un contributo monetario minimo affinché non si abbiano inquinamenti da parte di elettori di schieramenti avversari).
Questo metodo di scelta impone a tutti i partecipanti, soprattutto a quelli sconfitti una forte fedeltà di coalizione: tutti, vincitori e vinti devono impegnarsi al massimo nella campagna elettorale evitando, gli sconfitti, di presentare liste di disturbo dannose per la coalizione e che rappresenterebbero un tradimento sia dello spirito stesso delle primarie sia della volontà degli elettori.
L’importanza di una scelta trasparente e democratica di un capo dell’esecutivo, dal Premier al sindaco, è importante, perché, soprattutto i sindaci, hanno in sé sia una funzione politica partigiana, sia una funzione amministrativa di rappresentanza che interessa sia chi li ha votati sia chi li ha avversati.
La politica è passione e non “uno sport per ricchi signori”.
Diceva Antonio Gramsci: “Chi vuole costruire il futuro senza ricordare il passato è un costruttore di palafitte”.
Luca Molinari

PERCHÈ NON CREDO NELLE PRIMARIE
Da tempo, soprattutto negli ambienti del centro sinistra, è sul tappeto la questione di introdurre la procedura delle primarie nel sistema elettorale maggioritario italiano. La questione è complessa e presenta moltepllici sfaccetttaure ma certo non può essere respinta o adottata in base a frettolose considerazioni o improvvisate parole d’ordine. Per avviare un dibattito, riportiamo perciò il testo dell’amico liberale Andrea Bitetto che, al di là della sua scelta di contrarietà, è molto ragionato e fornisce spunti per una discussione argomentata dalla quale non crediamo si possa prescindere.

Se scommettete su quale ragazza vincerà il concorso di bellezza, ammoniva John Maynard Keynes, non puntate su quella che vi piace di più, ma su quella che ritenete piacerà di più agli esaminatori. Il ragionamento si applica anche quando si deve scegliere non "la più bella del reame", ma il candidato alle prossime elezioni politiche. Il metodo delle primarie, che gode di grande popolarità nella sinistra soprattutto in quella ulivista, passerebbe il test di Keynes o no?

Prima domanda: perché uno dovrebbe voler votare alle primarie? E' noto il paradosso del votante: votare costa tempo per informarsi, per recarsi al seggio, ecc.; il vantaggio che ogni singolo elettore può attendersi dal suo voto è infinitesimo; quindi in teoria nessuno dovrebbe andare a votare. Se ciò non accade é perché al calcolo razionale si contrappone la soddisfazione di esprimere la propria volontà. Questo nelle elezioni politiche, quelle in cui l'elettore indica da chi vuole essere governato. Quando, come nelle primarie, si indica il candidato che correrà per il proprio partito, la bilancia tra ragioni di interesse e motivazioni alla autoespressione é tutta spostata su queste ultime. Dato che non si sceglie chi ci governerà, le ragioni di interesse praticamente non esistono, conta solo la voglia di manifestare la propria identità politica. E' quindi logico che alle primarie si presentino in pochi, e molto motivati.

Secondo: chi ha diritto a votare alle primarie? Di solito, per evitare abusi o rischi di manipolazioni, si chiede di registrarsi, eventualmente versando un piccolo contributo. In tal modo si introduce un elemento che ulteriormente riduce il numero dei partecipanti e favorisce ulteriormente la selezione a favore dei più politicizzati. Corollario: poiché nelle primarie non è determinabile il numero degli aventi diritto, per definizione nelle primarie non esiste l’astensione, che è invece anch’essa l’espressione di una volontà politica di cui si deve tenere conto.

Conclusione: l'insieme di chi partecipa alle primarie non é un campione significativo dell'insieme di chi ha diritto di partecipare alle elezioni; il risultato delle primarie non può in alcun modo essere preso come un sondaggio indicativo delle preferenze degli elettori. La probabilità che la differenza tra risultato delle primarie e risultato di un sondaggio sia elevata, é tanto maggiore quanto meno omogeneo é l'insieme di tutti gli elettori quanto a preferenze verso i candidati. Se poi la propensione a partecipare alle primarie é positivamente correlata alla preferenza per un determinato candidato, aumenterà ancora la differenza tra il profilo politico del candidato che raccoglie i maggiori consensi alle primarie, e il profilo di quello che può raccogliere i maggiori consensi nelle elezioni. In questo momento a sinistra si constata: poca omogeneità, profonde divisioni di natura ideologica; forte correlazione tra ben identificabili scelte ideologiche e preferenze politiche e propensione a votare alle primarie. Ci sono dunque tutte le condizioni perché il tipo di ragazza su cui punteranno quelli che assistono al concorso (cioé che votano alle primarie) sia molto diverso da quella che selezioneranno i giurati ( cioè gli elettori). In realtà il gioco é ancora più complicato del modellino di Keynes: perché qui chi scommette non si accontenta di scegliere tra ragazze selezionate da altri, ma vuole fare lui anche la selezione. E questo desiderio, di per sé assolutamente legittimo, non fa però delle primarie un metodo né efficace, né efficiente, né "democratico".

Non é efficace: perché per scegliere il candidato con maggiori probabilità di vincere bisogna spogliarsi delle proprie preferenze personali, per concentrarsi invece a cercare di prevedere le reazioni degli elettori; i quali probabilmente sono più numerosi di un ordine di grandezza dei simpatizzanti, e di due ordini di quanti partecipano attivamente alla vita politica. Questa obbiezione non è certo condivisa da quelli secondo cui scopo dell'azione politica non é vincere le elezioni, ma preservare la propria identità e testimoniare le proprie convinzioni. Lo so, dato che sovente mi è stato ricordato, anche con qualche ruvidezza, dai giornali della sinistra. Qui importa notare come questa visione dell’attività politica sia particolarmente diffusa tra coloro che sostengono il metodo delle primarie.

Non é efficiente: perché manca di un sistema premi punizioni. Se la scelta é stata sbagliata, chi ha votato alle primarie paga solo con la propria delusione. Al contrario un politico che sbaglia la scelta paga, o dovrebbe pagare, con la propria carriera. Egli ha dunque un incentivo razionale e non solo emotivo a scegliere il candidato giusto. Il sistema elettorale uninominale maggioritario potrebbe far pensare ad analogie con le primarie americane. Ma l'analogia è fuorviante. Quel che fa la differenza è che lì le primarie si applicano a un sistema bipartitico. Dunque misurano l'influenza dei diversi covenant di un medesimo partito all'interno di una stessa costituency. in caso di sconfitta elettorale del candidato prescelto, scatta in maniera inesorabile l'inevitabile diminutio - a livello locale, e nel partito - del covenant che aveva indicato il candidato. Da noi, con coalizione multipartitiche, le primarie inevitabilmente misurerebbero invece l'influenza dei diversi partiti dell'alleanza. E in caso di confitta è inevitabile che non scatti alcuna responsabilità, potendosi attribuire l'esito alla molteplicità contraddittoria dei comportamenti degli alleati.

Non é "democratico": a dispetto dell'apparenza. La sovranità é nel popolo degli elettori, non nel popolo delle primarie. Quello di poter scegliere da chi essere governati é un diritto: se il candidato che esce dalle primarie é diverso da quello che potrebbe avere il voto della maggioranza, la conseguenza per lui é che verrà bocciato, ma per gli elettori è di trovarsi privati del diritto ad essere governati da un candidato a loro gradito.

E’ comprensibile che le primarie possano acquisire grande importanza agli occhi di chi oggi a sinistra intende innanzitutto scrivere "regole dello stare insieme", per risolvere il travaglio dei conati cui assistiamo da un anno e mezzo a questa parte. E’ legittimo chiedere che la selezione del candidato sia fatta in modo efficiente e trasparente. Le primarie solo in apparenza soddisfano queste esigenze. Vincere le elezioni, con chiari meccanismi di responsabilità in caso di sconfitta, è però tutt'altro paio di maniche.

Andrea Bitetto

novembre 2002