martedì 18 dicembre 2007

Il Partito Democratico potrà essere per questa città ciò che fu il PCI di una volta ?

Il “partito” a Bologna era il PCI. Poi vennero il PDS e i DS, ma il “partito” restò sempre un pò la madre ed il padre di ogni iniziativa, una risorsa necessaria ed ineludibile in un paese assediato da un anticomunismo viscerale, che poi è andato progressivamente in sordina sotto la pressione della sensibilità sociale che cresceva nel paese. Così il partito in anni difficili svolse una sana funzione di lievitazione delle energie critiche della società e le sezioni del partito furono centri di aggregazione che educarono, insieme, al senso civico ed al fare politica. Poi la società si è trasformata e la funzione stessa dell’istituzione partito è cambiata. Dall’impegno alla sua crescita ed al proselitismo si è passati alla delega al partito della soluzione di ogni problema, anche di quelli che le comunità avrebbero potuto meglio risolvere su piani diversi ed in piena autonomia. Questa delega, a volte eccessiva, ha affievolito l’impegno di tanti ed è stata l’occasione per una presa di distanza ed il ritirarsi nel privato per tanti altri che mal sopportavano l’eccesso di egemonia. A Bologna il fenomeno si è manifestato in modo più massiccio perché il partito rappresentava oggettivamente gran parte dell’elettorato. Così la città ha avuto da una parte un partito forte, talvolta troppo invasivo per effetto anche della debolezza di altre istituzioni cittadine, e dall'altra una società debole, che sbandiera continuamente una pretesa di partecipazione che si riduce in un assemblearismo protestatario ed inconcludente.
Riavvicinare i cittadini alla politica, restituir loro il piacere ed i modi giusti per contare è una delle sfide principali del partito democratico, una sfida possibile ad alcune precise condizioni di metodo e di sostanza. Da una parte la possibilità di formazione di un ceto politico sulla base di regole di effettiva democrazia interna, dall’altra la presa di distanza netta e radicale rispetto a partiti che si richiamano ad una visione del mondo non solidale e non rispettosa dei principi della Costituzione.
Ma sulla base di questi presupposti il Partito Democratico potrà essere egualmente ciò che fu per questa città il PCI di una volta ? Per un verso è auspicabile con riguardo alla grande capacità di coinvolgimento dei cittadini nei problemi della comunità che fu propria del PCI, per altro verso dovrà essere necessariamente diverso l’approccio verso un partito nuovo che bandisce ogni pretesa di egemonia di un pensiero dominante e che presuppone necessariamente il rispetto, la comprensione e l’accettazione di alcune diversità culturali.
Lo strumento delle primarie nell’ambito di un contenitore, il PD, che supera retaggi e steccati culturali oramai privi di senso, sembra l’unica strada presente nel panorama italiano per un vero rinnovamento e superare i difetti e le storture che, per scelta o per necessità, l’attuale ceto politico inevitabilmente si è portato dietro. Esso ci offre anche l’occasione storica per far sì che le esigenze di governo del paese e le scelte volte a regolare la convivenza sociale possano coniugarsi con il rispetto per le storie diverse di ciascuno.
La previsione di un livello strategico (il PD) per la composizione dei diversi punti di vista, evitando che questi esplodano in Parlamento, è destinata a restituire maggiore dignità alla politica, intesa come strumento di concertazione delle linee di sviluppo di un paese. Radicalmente diverso per finalità e modalità deve rimanere invece il confronto parlamentare tra le due diverse visioni del bene pubblico e dei rapporti sociali che costituiscono lo spartiacque del sistema bipolare. Con la costituzione del PD le rappresentanze del paese vengono impegnate ad assumersi in modo trasparente e visibile la responsabilità di una opzione politica complessiva in un senso o nell’altro. Senza disconoscere che in questi anni difficili i grandi partiti hanno comunque avuto il merito di avere salvaguardato una cultura condivisa dei principi costituzionali e la credibilità delle istituzioni democratiche, nonostante la corruzione e la illegalità diffusa e la forte pressione disgregatrice degli egoismi, dei localismi, dei poteri sommersi, della mafia e della delinquenza organizzata, in non poche circostanze sfociata anche in una strategia di violenza che il paese ha respinto con fermezza. Ora i partiti storici ci impegnano in una sfida che occorre raccogliere nella consapevolezza che l’impegno politico oggi vada declinato con sempre maggiore convinzione, ma in modo diverso.
Il referendum costituzionale del 25-26 giugno 2006, e l’interesse che esso ha suscitato, sembra avere aperto la strada per la definizione della vera traccia di discrimine tra le diverse visioni politiche intorno alle quali si è evoluta la coscienza politica degli italiani: da una parte i valori di solidarietà e pluralismo enunziati nei principi fondamentali della Costituzione, dall’altra parte tutti coloro che in essi non hanno mai creduto e che in vario modo nel corso di questi sessant’anni di democrazia hanno sempre operato per svuotarli di operatività.
E’, dunque, ai valori di quella Carta Costituzionale che occorre ritornare, è nell’alveo dei suoi principi che il PD potrà ritrovare materia per i suoi programmi, perché la loro difficile attuazione e la loro elaborazione in chiave moderna richiede energie che lo impegneranno per i prossimi decenni e perché al di fuori di essi continueranno a manifestarsi significative resistenze che sono strutturali nella società italiana.
I contenuti di sostanza potranno approssimarsi nella misura più ampia possibile agli interessi reali del paese solo se gli apparati saranno in grado di ridurre la diffidenza che allontana i cittadini dalla politica, solo se il PD si presenterà in modo appetibile a vasti ceti della società che, pur indisponibili ad una adesione piena ed a rinunziare completamente alla propria identità, siano aperti ad ipotesi di governo più prossime ai propri interessi.
Ma tutto questo sarà possibile solo se le primarie saranno una vera competizione democratica nella quale figure nuove saranno chiamate a misurarsi con le esperienze politiche di coloro che hanno diretto nel recente passato i partiti che si apprestano a fondare il PD.
Ebbene, se una prospettiva di questo genere a livello nazionale può giovarsi di personalità credibili ed accattivanti come Veltroni e Franceschini, che rappresentano una bandiera e sono in grado di coagulare un gradimento molto vasto, a livello locale ha bisogno di rappresentanze politiche più vicine ad un elettorato in parte diverso ed auspicabilmente molto più ampio. Il PD locale non può presentarsi come la replica dell’onnipresente macchina politica del PCI di una volta e dei DS di oggi. Sarebbe una risposta di continuità ed identità con il passato che l’elettorato delle primarie rischierebbe di non comprendere.

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