IL RIDIMENSIONAMENTO DEGLI ORGANI DI GARANZIA NELLA RIFORMA COSTITUZIONALE VOTATA DALLA DESTRA
Da lungo tempo, per risolvere il problema della frammentazione del sistema politico e della breve durata dei governi, è stato avviato il percorso delle riforme istituzionali. Talvolta si è perso di vista che fondamentale per una democrazia è la controllabilità dell’esecutivo che viene assicurata assicurare attraverso il potere attribuito agli organi di garanzia. Problema che viene spesso eluso per la sua attitudine a spogliare la governabilità di un attributo che non le è essenziale ma che è molto ambito: la facoltà di avere le mani libere, molto attrattiva per chi esercita il potere.
Lo ha dimostrato la legislatura precedente dove la presenza nel governo dei segretari dei tre maggiori partiti e la alterazione del principio di rappresentatività, determinata dai meccanismi surrettizi del sistema elettorale, si sono prestati ad atteggiamenti prevaricatori delle posizioni di maggioranza con effetti distorsivi sugli equilibri democratici e sull’etica pubblica.
La legislazione ad personam testimonia la subordinazione assunta del Parlamento rispetto all’Esecutivo con il capovolgimento completo della strutturale autonomia che esso avrebbe dovuto conservare.
Il disastro della finanza pubblica dimostra che alla scarsa sensibilità verso la cosa pubblica possono corrispondere scelte arbitrarie e troppo sbilanciate verso gli interessi privati.
Questi gli effetti di forzature costituzionali, indipendenti dalla riforma, già in una condizione di strutturale debolezza degli organi di garanzia (Capo dello Stato, Corte Costituzionale, Magistratura). Dirompenti sarebbero gli effetti in una situazione di radicale alterazione della loro struttura, quale è prevista dalla riforma costituzionale.
Il Capo dello Stato, che aveva già visti reiteratamente respinti dalla precedente maggioranza i suoi inviti al riesame di leggi che presentavano aspetti di incostituzionalità, nel progetto di riforma perde gli unici poteri forti di cui dispone, il potere di nomina del Presidente del Consiglio e quello di scioglimento delle Camere.
Conseguentemente cesserà di essere il supremo garante degli equilibri istituzionali e sarà ridotto a figura solo rappresentativa. Perderà persino la possibilità di nominare un governo di garanzia che assicuri lo svolgimento delle elezioni nelle fasi di crisi della maggioranza di governo.
La facoltà di nominare 5 senatori a vita viene sostituita da quella di nominare un numero di deputati a vita che alla Camera non potrà mai essere superiore a tre. Non vale a rivalutare il suo ruolo la possibilità attribuitagli di nominare i Presidenti delle Autorità Indipendenti.
Viene alterata anche la composizione della Corte Costituzionale aumentando da 5 a 7 i membri nominati dalle camere e riducendo da 5 a 4 sia quelli nominati dal Capo dello Stato che quelli nominati dalla magistratura.
Di conseguenza il divario tra i membri di origine parlamentare e quelli provenienti dalle altre due componenti si riduce da 5 contro 10 a 7 contro 8 con conseguente aumento di influenza delle istanze di natura politica in sede di decisione.
Una Corte Costituzionale troppo politicizzata rischia di perdere quella sua attitudine ad esprimere un sindacato di costituzionalità oggettivo ed indipendente sulle leggi approvate dalla maggioranza parlamentare.
Un sindacato, già in crisi per i limitati poteri di attivazione, verrà con la riforma di fatto paralizzato in conseguenza della nuova competenza attribuitale di risolvere i conflitti di attribuzione dei comuni nei confronti di regione e stato, attualmente riservati alle giurisdizione amministrativa.
L’unica parte del progetto che va ad incidere sulla Magistratura è quella che attribuisce al Presidente della Repubblica il potere di nominare il Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura - oggi riservata allo stesso Consiglio - e quella che costituzionalizza la prassi già in vigore di limitarne la individuazione tra i membri di nomina parlamentare.
Questa novità non ha significato secondario perché tende a trasformare la figura del Vicepresidente in un delegato, un esecutore cioè delle direttive del Presidente, riducendo il carattere simbolico della autonomia del Consiglio Superiore. L’alterazione dei principi costituzionali in materia di giurisdizione era stata già perseguita per la diversa strada della riforma dell’ordinamento giudiziario, approvata con legge ordinaria, e con il sistematico attacco alla sua autorevolezza ed alla sua immagine di imparzialità.
La debolezza degli strumenti di controllo rischia di accentuare il carattere autoritario della nuova figura di Primo Ministro. Dovrà essere dunque chiaro che qualsiasi ipotesi di futura riforma, se vorrà conservare un carattere democratico, non potrà prescindere dal rafforzamento dei poteri di garanzia, a maggior ragione se saranno potenziati i poteri dell’esecutivo.
Claudio Nunziata
28 maggio 2006
Da lungo tempo, per risolvere il problema della frammentazione del sistema politico e della breve durata dei governi, è stato avviato il percorso delle riforme istituzionali. Talvolta si è perso di vista che fondamentale per una democrazia è la controllabilità dell’esecutivo che viene assicurata assicurare attraverso il potere attribuito agli organi di garanzia. Problema che viene spesso eluso per la sua attitudine a spogliare la governabilità di un attributo che non le è essenziale ma che è molto ambito: la facoltà di avere le mani libere, molto attrattiva per chi esercita il potere.
Lo ha dimostrato la legislatura precedente dove la presenza nel governo dei segretari dei tre maggiori partiti e la alterazione del principio di rappresentatività, determinata dai meccanismi surrettizi del sistema elettorale, si sono prestati ad atteggiamenti prevaricatori delle posizioni di maggioranza con effetti distorsivi sugli equilibri democratici e sull’etica pubblica.
La legislazione ad personam testimonia la subordinazione assunta del Parlamento rispetto all’Esecutivo con il capovolgimento completo della strutturale autonomia che esso avrebbe dovuto conservare.
Il disastro della finanza pubblica dimostra che alla scarsa sensibilità verso la cosa pubblica possono corrispondere scelte arbitrarie e troppo sbilanciate verso gli interessi privati.
Questi gli effetti di forzature costituzionali, indipendenti dalla riforma, già in una condizione di strutturale debolezza degli organi di garanzia (Capo dello Stato, Corte Costituzionale, Magistratura). Dirompenti sarebbero gli effetti in una situazione di radicale alterazione della loro struttura, quale è prevista dalla riforma costituzionale.
Il Capo dello Stato, che aveva già visti reiteratamente respinti dalla precedente maggioranza i suoi inviti al riesame di leggi che presentavano aspetti di incostituzionalità, nel progetto di riforma perde gli unici poteri forti di cui dispone, il potere di nomina del Presidente del Consiglio e quello di scioglimento delle Camere.
Conseguentemente cesserà di essere il supremo garante degli equilibri istituzionali e sarà ridotto a figura solo rappresentativa. Perderà persino la possibilità di nominare un governo di garanzia che assicuri lo svolgimento delle elezioni nelle fasi di crisi della maggioranza di governo.
La facoltà di nominare 5 senatori a vita viene sostituita da quella di nominare un numero di deputati a vita che alla Camera non potrà mai essere superiore a tre. Non vale a rivalutare il suo ruolo la possibilità attribuitagli di nominare i Presidenti delle Autorità Indipendenti.
Viene alterata anche la composizione della Corte Costituzionale aumentando da 5 a 7 i membri nominati dalle camere e riducendo da 5 a 4 sia quelli nominati dal Capo dello Stato che quelli nominati dalla magistratura.
Di conseguenza il divario tra i membri di origine parlamentare e quelli provenienti dalle altre due componenti si riduce da 5 contro 10 a 7 contro 8 con conseguente aumento di influenza delle istanze di natura politica in sede di decisione.
Una Corte Costituzionale troppo politicizzata rischia di perdere quella sua attitudine ad esprimere un sindacato di costituzionalità oggettivo ed indipendente sulle leggi approvate dalla maggioranza parlamentare.
Un sindacato, già in crisi per i limitati poteri di attivazione, verrà con la riforma di fatto paralizzato in conseguenza della nuova competenza attribuitale di risolvere i conflitti di attribuzione dei comuni nei confronti di regione e stato, attualmente riservati alle giurisdizione amministrativa.
L’unica parte del progetto che va ad incidere sulla Magistratura è quella che attribuisce al Presidente della Repubblica il potere di nominare il Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura - oggi riservata allo stesso Consiglio - e quella che costituzionalizza la prassi già in vigore di limitarne la individuazione tra i membri di nomina parlamentare.
Questa novità non ha significato secondario perché tende a trasformare la figura del Vicepresidente in un delegato, un esecutore cioè delle direttive del Presidente, riducendo il carattere simbolico della autonomia del Consiglio Superiore. L’alterazione dei principi costituzionali in materia di giurisdizione era stata già perseguita per la diversa strada della riforma dell’ordinamento giudiziario, approvata con legge ordinaria, e con il sistematico attacco alla sua autorevolezza ed alla sua immagine di imparzialità.
La debolezza degli strumenti di controllo rischia di accentuare il carattere autoritario della nuova figura di Primo Ministro. Dovrà essere dunque chiaro che qualsiasi ipotesi di futura riforma, se vorrà conservare un carattere democratico, non potrà prescindere dal rafforzamento dei poteri di garanzia, a maggior ragione se saranno potenziati i poteri dell’esecutivo.
Claudio Nunziata
28 maggio 2006
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