martedì 18 dicembre 2007

Rassegna di interventi sulle primarie

Sommario
INTERVISTA A GIULIANO AMATO A CURA DI SERGIO ZAVOLI
INTERVENTO DEL SENATORE I FRANCO DEBENEDETTI
LE "PRIMARIE"... NON SONO PRIMARIE DI CINO CASSON
UNA SCHEDA DA RIFIUTARE DI ALDO TORTORELLA
LA DEMOCRAZIA INTERNA DEI PARTITI (SERGIO SANTORO)
SCONFIGGERE UNA DIMENSIONE DELLA POLITICA CHE È PURA PRATICA DELLE CLASSI DIRIGENTI (BRUNO PASTORINO)
LA GRANDE SCELTA IN TRE DOMANDE (GIOVANNI SARTORI)
CONSIGLIO COMUNALE PISA, 28/2/2003: ILLUSTRATE LE MODALITÀ PER PARTECIPARE ALLE PRIMARIE
LE PRIMARIE: MA COSA SONO IN PRATICA? (GUIDO DE SIMONE) PRIMARIE E DEMOCRAZIA DI LUCA MOLINARI
PERCHÈ NON CREDO NELLE PRIMARIE


Intervista a Giuliano Amato a cura di Sergio Zavoli
da l'Unità - 20 settembre 2004


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Chi sarà in minoranza dovrà adeguersi alle posizioni della maggioranza. Il principio della maior pars, dei voti contati, che dal 2001 abbiamo tante volte subìto, può trasformarsi nell'efficacia vera del Parlamento e nell'autentica utilità del Paese?

Sì, se sarà corroborato da una forte verifica democratica, entro la quale le durezze delle identità partitiche siano costrette a stemperarsi. Per questo sono così favorevole alle primarie, come grande occasione di confronto tra programmi e leaders del Centro-sinistra, al termine del quale saranno tutti i cittadini "attivi" dello stesso schieramento a decretare la prevalenza dell'uno sull'altro,

e quindi a creare una condizione obbligata per il perdente. So bene che alle primarie non parteciperanno tutti i nostri elettori ed è giusto ricordarlo, come fa D'Alema. Ma le primarie non saranno una prova elettorale a ranghi ridotti: saranno la chiamata a raccolta di quelli, tra i nostri elettori, che vorranno unirsi a noi nell'impegno attivo per la vittoria elettorale.

Anche per questo, secondo me, i partecipanti dovranno registrarsi ed accettare che i loro nomi siano pubblicati. Si tratterà comunque di un bagno di democrazia partecipativa e ciò creerà, in chi vince come in chi perde, le ragioni di una responsabilità non revocabile.

migliorare il nostro bipolarismo aspro e rodomontesco è possibile. Per esempio cambiando la legge elettorale; la quale, così com'è, consente disparità assolutamente abnormi in un sistema democratico (basta raffrontare i seggi conseguiti da Rifondazione con quelli che, pur disponendo di meno voti, riesce ad avere la Lega). La mia preferenza va al maggioritario a due turni, sciaguratamente respinto anni fa, il più adatto ad assecondare il consolidamento di un pluralismo frammentato.

Intervento del senatore i Franco Debenedetti
"Il Riformista"

29 novembre 2002
Se scommettete su quale ragazza vincerà il concorso di bellezza, ammoniva John Maynard Keynes, non puntate su quella che vi piace di più, ma su quella che ritenete piacerà di più agli esaminatori. Il ragionamento si applica anche quando si deve scegliere non "la più bella del reame", ma il candidato alle prossime elezioni politiche. Il metodo delle primarie, che gode di grande popolarità nella sinistra soprattutto in quella ulivista, passerebbe il test di Keynes o no?
Prima domanda: perchè uno dovrebbe voler votare alle primarie? E’ noto il paradosso del votante: dato che il peso di ogni singolo voto é incomparabilmente minore delle risorse impiegate per esprimerlo, nessuno dovrebbe andare a votare. Se ciò non accade é perché al calcolo razionale, si contrappone il gusto di manifestare - in modo palese o nel segreto dell’urna - la propria volontà. Questo nelle elezioni politiche, quelle in cui l’elettore indica da chi vuole essere governato. Quando, come nelle primarie, si indica il candidato che correrà per il proprio partito, la bilancia tra ragioni di interesse e ragioni di autoespressione é tutta spostata su queste ultime. Dato che non si sceglie chi ci governerà, le ragioni di interesse praticamente non esistono, conta solo la motivazione a manifestare la propria identità politica. E’ quindi logico che alle primarie si presentino in pochi, e molto motivati.
Secondo: chi ha diritto a votare alle primarie? Di solito, per evitare abusi o rischi di manipolazioni, si chiede di registrarsi, eventualmente versando un piccolo contributo. In tal modo si introduce un elemento che ulteriormente riduce il numero dei partecipanti e favorisce ancor più la selezione a favore dei più politicizzati. Corollario: poichè il numero degli aventi diritto, nelle primarie, non é determinabile, mentre nelle elezioni politiche la non partecipazione al voto é comunque un mezzo di espressione di volontà politica, così non é nelle primarie, in cui contano solo i voti espressi.
Conclusione: l’insieme di chi partecipa alle primarie non é un campione significativo dell’insieme di chi ha diritto di partecipare alle elezioni; il risultato delle primarie non può in alcun modo essere preso come un sondaggio indicativo delle preferenze degli elettori. La probabilità che la differenza tra risultato delle primarie e risultato di un sondaggio é tanto maggiore quanto meno omogeneo é l’insieme di tutti gli elettori nei riguardi delle preferenze verso i candidati. Se poi la propensione a partecipare alle primarie é positivamente correlata alla preferenza per un determinato candidato, aumenterà ancora la differenza tra il candidato che esce dalle primarie e quello che può raccogliere i maggiori consensi nelle elezioni. Queste sono le condizioni che si constatano in questo momento a sinistra: poca omogeneità, anzi profonde divisioni di natura ideologica; forte correlezione tra ben identificabili scelte ideologiche e preferenze politiche e propensione a votare alle primarie nettamente. Il tipo di ragazza su cui punteranno quelli che assistono al concorso sarà molto diverso da quella che selezioneranno i giurati che votano. In realtà il gioco é ancora più complicato del modellino di Keynes: perchè qui chi scommette non si accontenta di scegliere tra ragazze selezionate da altri, ma vuole fare lui anche la selezione. Anzi: selezionare la "ragazza" e votarsela, é la vera motivazione di chi vuole le primarie. E questo desiderio, di per sè assolutamente legittimo, non fa però delle primarie un metodo nè efficace, nè efficiente, nè "democratico".
Non é efficace: perché per scegliere il candidato con maggiori probabilità di vincere bisogna spogliarsi delle proprie preferenze personali, non farsene influenzare, per concentrarsi invece a cercare di capire e prevedere le reazioni degli elettori; i quali, é bene non dimenticarlo, probabilmente sono più numerosi di un ordine di grandezza dei simpatizzanti, e di due ordini di quanti partecipano attivamente alla vita politica. Questa obbiezione non ha molto peso per quelli per cui scopo dell’azione politica non sia vincere le elezioni, ma preservare la propria identità ideologica e testimoniare le proprie convinzioni ( come mi viene, a volte con qualche ruvidezza, ricordato dai giornali della sinistra). Non stupisce che tali convincimenti siano particolarmente diffusi tra coloro che sostengono il metodo delle primarie.
Non é efficiente: perchè manca di un sistema premi punizioni. Se la scelta é stata sbagliata, chi ha votato alle primarie paga solo con la propria delusione. Al contrario un funzionario di partito paga, o dovrebbe pagare, con la propria carriera. Egli ha dunque un incentivo razionale e non solo emotivo a scegliere il candidato giusto.
Non é "democratico": a dispetto dell’apparenza. Troppo facile ricordare che chi rivendicava alle avanguardie politicizzate il ruolo di guida, non viene considerato, dalla recente storiografia, un campione di democrazia. Ma soprattutto: la sovranità é nel popolo degli elettori, non nel popolo delle primarie. Quello di poter scegliere da chi essere governati é un diritto: se il candidato che esce dalle primarie é diverso da quello che potrebbe avere il voto della maggioranza, la conseguenza non é solo che verrà bocciato, ma anche che gli elettori verranno privati del diritto di essere governati da un candidato a loro gradito. E questo é un problema di democrazia.
Il sistema elettorale uninominale maggioritario potrebbe far pensare ad analogie con le primarie americane. Ma l’analogia è fuorviante. Quel che fa la differenza è che lì le primarie si applicano a un sistema bipartitico. Dunque misurano l’influenza dei diversi covenant di un medesimo partito all’interno di una stessa costituency. in caso di sconfitta elettorale del candidato prescelto, scatta in maniera inesorabile l’inevitabile diminutio - a livello locale, e nel partito - del covenant che aveva indicato il candidato. Da noi, con coalizione multipartitiche, le primarie inevitabilmente misurerebbero invece l’influenza dei diversi partiti dell’alleanza. E in caso di sconfitta è inevitabile che non scatti alcuna responsabilità, potendosi attribuire l’esito alla molteplicità contraddittoria dei comportamenti degli alleati.
Risulta dunque comprensibile che le primarie possano acquisire grande importanza agli occhi di chi oggi a sinistra intende innanzitutto scrivere "regole dello stare insieme", per risolvere il travaglio dei conati cui assistiamo da un anno e mezzo a questa parte. Vincere le elezioni, con chiari meccanismi di responsabilità in caso di sconfitta, è però tutt’altro paio di maniche

RIFORMISMO E DINTORNI
Dopo l'esperimento della lista "Uniti nell'Ulivo" alle elezioni europee, i riformisti rilanciano: un soggetto federativo delle riformiste e dei riformisti, che dia stabilità al centrosinistra e credibilità al suo messaggio di governo. Quale programma dovrebbe caratterizzare questo soggetto? Quale cultura politica? Quali proposte su welfare ed economia? Quale politica estera, quale ruolo dell'Europa nel mondo? E ancora: come selezionare le candidature? Dove (e come) prendere le decisioni unitarie?
Chiunque abbia voglia di partecipare al nostro dibattito può scriverci al seguente indirizzo: agora@libertaeguale.com



LE "PRIMARIE"... NON SONO PRIMARIE di Cino Casson
Non sono – in linea di principio – favorevole alle “primarie”, come, del resto, diffido da quegli strumenti di cosiddetta “democrazia diretta” come i “referendum” e le stesse assemblee, se non guidate da regole certe; penso che siano un modo di semplificare questioni complesse, con il rischio di sostituire l’impulso alla riflessione, facilmente manipolabili, pericolosamente contigue alla demagogia, soprattutto se estese a tutte le candidature, come molti sostengono. Non nego che per la scelta dei candidati a cariche elettive forse sarebbe utile introdurre qualche meccanismo di selezione più aperto degli attuali, ma non mi nascondo i rischi di far emergere candidati dalle opinabili competenze politiche, ma graditi all’elettorato per ragioni estranee alla politica: non va dimenticato che un amministratore locale o un parlamentare devono, innanzitutto, sapere di che cosa sono tenuti ad occuparsi e non solo essere “simpatici” agli elettori. In Italia mi sembra difficilmente adattabile un sistema “all’americana”, sia nella forma delle “primarie” che in quello della “convenzione”, e ciò per diversi motivi. Innanzitutto la frammentazione della rappresentanza politica, che differenzia, anche storicamente, i sistemi pluripartitici da quelli bipartitici; pensare a “primarie” anche solo per ciascuno dei 10/12 partiti che si presentano in ogni collegio è immaginare un meccanismo infernale e ingestibile; si potrebbe pensare a “primarie di coalizione” (ed è questa la proposta di Sergio Fabbrini, “Le regole della democrazia”, Bari, 1997), ma, prima, bisognerebbe attendere che le coalizioni attuali diventassero davvero soggetti politici coesi; temo che ci vorranno, se ci si arriverà, vent’anni … A rendere difficilmente praticabile, in Italia, la selezione dei candidati con il sistema delle “primarie”, poi, è la diffusa tendenza italiana - meglio, italiota - alle “furbate”; sta di fatto che nessun sistema politico è al riparo da imbrogli, ma quello italiano vi è pressocché predestinato. Nulla potrebbe impedire, infatti, a un gruppo di aderenti al partito A di iscriversi alle “primarie” del partito B e di concorrere - magari in maniera determinante - a far designare un candidato debole, di scarsa “presa” sull’elettorato ( se non, addirittura, una “quinta colonna”); è ben vero che lo ... scambio di cortesie potrebbe intrecciarsi, almeno tra i partiti maggiori, ma il risultato sarebbe, comunque, il trionfo della slealtà. Nessuno, poi, potrebbe obbligare un cittadino che ha partecipato alle “primarie” di un partito, o di una coalizione, di dare, poi, il suo voto a quella coalizione; è vero che nemmeno negli USA esiste un vincolo siffatto, ma nell’elettorato statunitense vi è una idea del “fair play” così radicata che ben pochi si sottraggono all’impegno morale della fedeltà alla scelta dichiarata. Infine, la difficoltà di regolamentare i meccanismi di finanziamento dell’attività politica potrebbe favorire - e questo avviene anche negli USA ed è uno dei punti più deboli di quel sistema - i candidati che possono investire ingenti somme (o che possono farsele mettere a disposizione, e non certo a titolo di grazioso omaggio, da potenti e interessati gruppi economici). Un po’ diverso è il discorso per la designazione del candidato “premier”; in questo caso una certa dose di demagogia – in “modica quantita” – si potrebbe tollerare; in fondo il candidato migliore … è quello che può vincere e, per vincere – come ben testimonia Berlusconi – non è certo necessario essere il “migliore”… Nel nostro caso, tuttavia, le “primarie” mi appaiono abbastanza ultronee; non pare dubbio che l’unico candidato “vero” sia Prodi e che eventuali candidati “di sinistra” (Bertinotti, Salvi) potrebbero ottenere soltanto risultati “di bandiera”. Vedo, viceversa, il rischio che si propongano altri candidati “di destra” – che so, Mastella, Dini … - al solo scopo di “farsi vedere” e contrattare, poi, ruoli e posti. In ogni caso un Prodi designato da meno del 70 per cento della platea delle “primarie” non ne sarebbe certo rafforzato. Certo, le “primarie” possono avere qualche utilità, costituire un forte momento di mobilitazione, godere di un periodo di attenzione mediatica, offrire al “leader” designato una maggior forza nella trattativa sul programma. Ciò che trovo assolutamente stravagante è l’idea, cara a Bertinotti, di “primarie” sul programma; come sarebbe possibile sottoporre un programma, che non fosse composto soltanto da slogan “senza se e senza ma”, a centinaia di migliaia di potenziali elettori? Il programma per il governo – perché di questo si tratta, non di un programma per “cambiare il mondo” – è sempre il risultato di un confronto faticoso, complesso, fatto di rinunce ed elisioni, di attenti bilanciamenti tra valori e interessi, che non si presta ad enunciazioni categoriche. Perciò, si facciano pure le “primarie”, ma solo se saranno definite regole ben precise, se sarà esplicitamente accettato da tutti che l’esito darà al candidato vincente l’ultima parola sul programma, una “leadership” vera, che possa, se del caso, anche “imporre”, non solo “proporre”; se sarà esplicitamente accettato da tutti che la legittimazione delle “primarie” darà al “premier” eletto, poi, garanzia di sostegno leale, senza costringerlo a ricontrattare, anno dopo anno, la realizzazione del programma. Altrimenti tra il Prodi del 2006 (speriamo!) e un qualsiasi “premier” degli anni del pentapartito non ci sarebbe alcuna differenza, primarie o non primarie.

UNA SCHEDA DA RIFIUTARE di Aldo TortorellaSommario Referendum elettorale numero 6 maggio 2000
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Il sistema uninominale maggioritario a turno unico funziona nei paesi anglosassoni dove una realtà bipartitica è presente da grandissimo tempo e ha praticamente coinciso con l'affermarsi del sistema democratico parlamentare. Anche in questi paesi, però, il funzionamento di quel sistema elettorale e del bipartitismo è ottenuto al prezzo di una drastica riduzione della rappresentanza. Non è vero che quel sistema inaugura il metodo del suffragio al "più vicino" o al "meno distante" dalle proprie idee, poiché molto più spesso incoraggia a non votare affatto realizzando così percentuali di astensionismo che trasformano spesso le assemblee elettive che dovrebbero rappresentare la maggioranza del popolo, in assemblee che rappresentano una minoranza (e chi governa, ovviamente, rappresenta una parte sola di questa minoranza). E non è vero che quel sistema impedisce il nascere di altre formazioni politiche. Esse nascono, e diventano anche robuste e consistenti (ad es. i liberali inglesi) ma vengono puramente e semplicemente cancellate dalla rappresentanza: e così non solo le assemblee rappresentano spesso una minoranza, ma stravolgono anche la realtà politica del paese che si manifesta nel voto.
Tuttavia, la relativa coesione degli eletti discende dalla esistenza di partiti solidi e consolidati da lunghe tradizioni. Al contrario, in un sistema tradizionalmente pluripartitico il sistema elettorale maggioritario a turno unico favorisce il trasformismo parlamentare (come si è visto nel Parlamento italiano dove per la prima volta più di cento parlamentari hanno cambiato gruppo) e la proliferazione dei partiti (come si sa, con il proporzionale sbarrato al 4% sono entrati alla Camera 7 partiti, mentre ora sono un numero imprecisato superiore certamente ai 25). È logico che questo avvenga come ben si seppe nel Parlamento italiano della fine del secolo scorso, eletto a sistema uninominale a turno unico, dove il trasformismo e la volubilità delle aggregazioni politiche erano la regola.
Con il collegio uninominale a turno unico, in una realtà pluripartitica come quella italiana, è infatti indispensabile costruire coalizioni (e questo può essere un bene) ma queste coalizioni, poiché possono perdere il collegio anche per un solo voto, debbono cercare di rastrellare anche il più piccolo gruppo disponibile a farsi coinvolgere, con la conseguenza della vaghezza e della incoerenza programmatica: il che trasforma il possibile significato positivo delle coalizioni in un dato potenzialmente negativo. In una coalizione, poi, è incerto - per definizione -chi abbia il potere di proposta dei candidati: cosicché ogni gruppo politico deve sedersi al "tavolo" della trattativa sulle candidature e poiché c'è il timore (logico e giustificato) delle esclusioni i gruppi si costituiscono sempre più numerosi anche per sedersi - come è ovvio - a quel "tavolo delle candidature".
Si dice che, per superare questa sorta di mercato, si potrebbe mettere in atto la procedura delle "primarie" per proporre le candidature: ma la proposta è un puro diversivo ingannevole. Su questa rivista è stata pubblicata una analisi attenta delle diversità grandi tra i differenti Stati degli Usa nella organizzazione di questo sistema e sui molti dubbi e critiche che lo circondano (oltre che sul fatto che esso stesso si fonda sulla democrazia del denaro). Ma in ogni modo un dato è certo: le primarie americane si svolgono nella gara tra diverse componenti (gruppi d'interesse, gruppi di affinità culturale, etc.) di una medesima appartenenza per quanto vaga essa sia (democratici e repubblicani con storie, miti, rituali, gruppi dirigenti più o meno consolidati). Qui da noi le primarie suscitano il fondato sospetto che esse divengano l'appannaggio del gruppo politico più forte nazionalmente o localmente, il che avrebbe il risultato di esaltare il complicato disagio tra le varie componenti della coalizione, diverse tra di loro per cultura e per tradizione e di far saltare dunque la coalizione stessa.
Lo "scettro" della decisione che avrebbe dovuto tornare al popolo con il maggioritario rispetto al sistema dei partiti, torna in realtà non ai partiti ma, peggio, al gruppetto ristrettissimo dei "capi" dei vari gruppi partitici, meno piccoli o più piccoli che siano, anche perché - com'è ovvio - si tratta di distribuire non i collegi in generale, ma quelli considerati "sicurissimi" o "sicuri" o "quasi sicuri" dato che degli altri ci si interessa poco o nulla. Il popolo sovrano ha dunque come proprio ambito di decisione quello di ratificare o non ratificare la scelta compiuta da chi ha definito le candidature; il che basterebbe da solo a giustificare l'astensionismo.
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Una legge a doppio turno di collegio, come in Francia, significa la presentazione in ogni collegio dei candidati delle varie forze politiche e il passaggio al secondo turno di quelli che superano una certa percentuale dei voti. Vanno così al ballottaggio, inevitabilmente, solo i candidati proposti dalle forze politiche più consistenti. Tale esito potrebbe essere evitato solo se si ripetesse per il doppio turno di collegio la procedura del "tavolo delle candidature" per la distribuzione dei posti come per il turno unico: il che - ovviamente - rende ingannevole e risibile la procedura del doppio turno. Inoltre, se fosse stato approvato ieri il referendum, così come se venisse approvato oggi, sarebbe stato, e sarà, troppo facile invocare il voto popolare per condannare qualsiasi legge diversa dal maggioritario di collegio a turno unico.
Il peggio è che, mancando alle elezioni politiche ormai poco tempo, si potrebbe andare al voto non solo con una legge a turno unico con tutti quei pessimi risultati che ho ricordato, ma proprio con la legge-mostro che uscirebbe dal referendum abrogativo. Una legge-mostro, lo ripeto, perché - come fu documentato l'anno scorso - il metodo della elezione dei "migliori secondi" (al posto del 25% attualmente eletti con il voto proporzionale) non esiste in nessun paese del mondo ed è tale da generare il pieno stravolgimento del responso elettorale. Com'è stato matematicamente dimostrato, il sistema dei "migliori secondi" può far diventare maggioranza la coalizione perdente. Basta, a tal fine, l'ottenimento anche di qualche decina di "migliori secondi" da parte di liste locali appositamente studiate per alterare completamente l'esito finale rispetto ai voti ottenuti e ai collegi conquistati dai primi arrivati. Un pasticcio ignobile.
Ma a parte questa mostruosità (che getterebbe nuovo sprezzo su questo nostro povero paese), si sa bene che proprio per la natura della elezione con collegio uninominale a turno unico (in un sistema tradizionalmente pluripartitico) non è possibile garantire ciò che costituisce lo scopo di questo ulteriore giro di vite elettorale: e, cioè, la stabilità della maggioranza parlamentare e degli esecutivi.
Non si fa dunque mistero - ad esempio da parte della dirigenza dei democratici di sinistra - di volere una legge che rafforzi la eventuale maggioranza parlamentare attraverso l'utilizzazione di una parte consistente di quel 25% di proporzionale che sarebbe abolito nel caso di vittoria del referendum. Si sommerebbe così al premio di maggioranza implicito nel sistema uninominale a turno unico (dove - come si sa - si può essere eletti anche con percentuali modeste assai se esistono più liste nel collegio) un ulteriore premio di maggioranza per assicurare la governabilità: un'altra escogitazione unica al mondo e francamente scandalosa da un qualsiasi punto di vista democratico.
Avanza allo stesso tempo l'idea del presidenzialismo o del "sindaco d'Italia" come se non bastasse l'esempio fornito dalle conseguenze di quella estrema personalizzazione della politica già evidente nella elezione diretta dei sindaci delle città (e vedremo, ora, con i presidenti delle regioni). Sempre di più il Parlamento tende ad essere concepito come un organo consultivo: la decretazione d'urgenza e la ampiezza delle deleghe sostituiscono già ora la decretazione ordinaria. La stessa facoltà delle Camere di esprimere il governo viene ormai vista con fastidio. Sembra che la efficienza debba necessariamente contrastare con la democraticità delle decisioni: e dunque si ritiene anche a sinistra che è piuttosto la democraticità a dover essere sacrificata. Non si dimentichi che l'Italia, come tutti gli altri paesi di Europa, è entrata in guerra contro la Federazione jugoslava senza interpellare il Parlamento. Il percorso che si propone, dunque, è quello di una limitazione drastica della rappresentanza unitamente alla riduzione, già in atto, della funzione del Parlamento.
Il concetto cui ci si ispira è che, se il sistema democratico manifesta incapacità a governare, esso, in definitiva, condanna se stesso. (Lo spettro che viene agitato è quello della repubblica di Weimar). Di conseguenza, le limitazioni nella rappresentanza e nei suoi poteri dovrebbero essere viste come un bene ai fini del mantenimento della democrazia, o - almeno - come il minor male. È la posizione ben nota della "democrazia possibile" che si contrapporrebbe alle pericolose astrazioni di una democrazia che si volesse proporre come onnicomprensiva e assoluta. Dunque, anche il sacrificio di quelle forze politiche che rifiutassero o non si sentissero in grado di partecipare ad una delle due coalizioni (o partiti) sarebbe, in definitiva, da comprendere e giustificare, poiché - si dice - senza una chiara scelta in materia di governo sulla base delle opinioni raccoglibili "a sinistra" o a "destra", sarebbe impensabile proporsi per la costruzione di una maggioranza. Chi rifiutasse questa concezione in nome dei suoi propri valori considerati come irrinunciabili sceglierebbe, secondo questa concezione, un ruolo di testimonianza: e dunque sarebbe comprensibile e giustificabile che a chi compisse questa scelta venisse assegnato (come prevedono i Ds in quell'idea di legge monoturno maggioritario cui ho accennato) il cosiddetto "diritto di tribuna" e cioè una rappresentanza simbolica in Parlamento per comunicare la propria voce (per esempio, un dieci per cento dei deputati da dividersi tra tutte le liste che rifiutassero di coalizzarsi a sinistra o a destra).
Tutta questa concezione, però, più che della "democrazia possibile" parla, appunto, di una democrazia autoritaria che confonde la governabilità con l'arbitrio. Ci sono molti modi - nella democrazia rappresentativa - per aggirare o inquinare il principio "una testa, un voto", principio che prevede l'eguaglianza non solo nel diritto al voto, ma nella potestà implicita in quel voto. Come si sa, l'essenziale ostacolo alla attuazione del principio sta nella sproporzione abissale tra le possibilità di intervento nella gara elettorale tra chi possiede molto o moltissimo e chi non ha nulla: e cioè tra chi dispone solo del suo voto e chi, invece dispone degli strumenti per condizionare il voto di molti altri. A questo modo di essere della società conseguono forme e modi giuridicamente definiti per correggere, temperare, ridurre il principio di eguaglianza nel voto e nella sua potestà. Le leggi elettorali fanno parte in misura maggiore o minore di questo apparato giuridico.
Stupisce l'accanimento nella sinistra moderata contro il principio di eguaglianza rappresentato dal proporzionalismo. Si può cercare la via per evitare che il proporzionalismo puro sia di stimolo a quello che viene definito un eccesso di frammentazione della rappresentanza, ma bisognerebbe - almeno - rendere omaggio al principio del Parlamento come "specchio del Paese" come un ideale, come una ispirazione, come una idea che stimola anche se è di difficile attuazione. Pare invece che la parola "proporzionalismo", essendo stata pronunciata anch'essa in presenza di Berlusconi e di Bossi, sia divenuta una parolaccia, una vergogna reazionaria e restauratrice.
Si teme che ove venisse ripreso un sistema di rappresentanza proporzionalistico sia pure con lo sbarramento al 5%, alla tedesca, perciò stesso si darebbe luogo ad un principio di ingovernabilità o di assoluto predominio di un nuovo centro oscillante tra destra e sinistra e pronto a servirsi, come si dice, ai due forni. Fosse anche vero che questo è un pericolo incombente ciò non autorizza né a dire un falso storico né a criminalizzare un principio democratico. Il falso storico è che la molteplicità dei governi nella "prima repubblica" fosse unicamente relativa al proporzionalismo e sia da definire come instabilità. La stabilità fu massima (sempre la Dc fu al potere) e il mutamento dei ministeri altrettanto massima per la convenzione ad escludere il Pci dal governo (giusta o sbagliata che fosse questa convenzione rimasta pienamente in vigore anche quando il Pci ebbe rotto i rapporti che lo legavano all'Urss). In luogo dell'alternanza tra partiti si generò così un'alternanza tra correnti e uomini della Dc (e poi delle alleanze di centro-sinistra) in una soffocante immobilità. Altro che instabilità politica. Ma al falso storico si unisce la criminalizzazione del principio proporzionalistico il quale, invece, non solo in Germania dimostra di funzionare. Si dice che in Germania funzionò nel passato perché vi fu la messa al bando dei comunisti, oltreché dei nazisti. Ma l'argomento è del tutto falso: il meccanismo tedesco funziona ancora oggi in una situazione "normale", del tutto analoga a quella italiana. E con la conseguenza che c'è più bipolarismo in Germania che nel frammentatissimo "bipolarismo" italiano dettato dal maggioritario a turno unico.
Ma è poi davvero un pericolo incombente un centrismo oscillante capace di servirsi ai "due forni"? Certamente lo è se la sinistra pensa se stessa non come una reale alternativa per il governo del Paese, ma puramente e semplicemente come una forza la cui caratteristica è una disponibilità assoluta a qualsiasi politica. Vale a dire che il pericolo del "centro" esiste relativamente alla idea che la sinistra si fa di se stessa. Ora che si ritiene che a destra non vi sia più una forza eversiva del sistema democratico, date le numerose autocritiche e trasformazioni del partito che occupa quella posizione, non ci dovrebbe più essere il timore di dovere per forza accordarsi con il centro per impedirgli di accordarsi con la destra. E, infatti, questa intesa avviene già oggi e concorre per il governo. Il timore della politica dei "due forni" nasce solo se il fornaio di sinistra è pronto a qualsiasi sconto sui prezzi per avere il privilegio di servire il "centro".
Anche l' idea che Berlusconi sia realmente per il proporzionale alla tedesca è una forzatura propagandistica. Egli ha dimostrato, avendo buoni consiglieri, di non temere quella soluzione dati gli inconvenienti e i guai veri del monoturnismo maggioritario: ma è egualmente pronto a sposare, come ha detto, il sistema americano e cioè l'elezione diretta del capo dell'esecutivo unitamente al maggioritario a turno unico. Berlusconi è specializzato a sostenere una cosa e il suo contrario, dunque, come di chi vuole ostentare certezza di sé e delle proprie forze. Non conviene, dunque, misurare le proprie parole e i propri convincimenti su quelli di Berlusconi.
Il vero pericolo è altrove. E cioè nel fatto che ci si immagina che con il successo del referendum e l'abolizione della quota proporzionale si costringerà quella parte della sinistra rappresentata da Rifondazione comunista ad una intesa forzata oppure la si ridurrà al "diritto di tribuna" riducendone il peso (già non grande) invocando contro di essa il "voto inutile". È una linea che tende ad annullare quel tanto di positivo che si è potuto realizzare con l'accordo unitario per le regionali: una linea francamente prevaricatrice, lontana non solo da una vera sensibilità democratica, ma dalla capacità di intendere che i problemi politici non si risolvono con atti di imperio. La esistenza di una vasta area a sinistra dei Ds - non tutta rappresentata da Rifondazione comunista - dovrebbe fare riflettere la maggioranza di questo partito sul modo di manifestare capacità di comprensione e di intesa con questi modi di pensare, di sentire e di agire, anziché respingerli tutti assieme come cosa perversa e condannevole. C'è il rischio che nella esasperazione degli animi avvenga il peggio: candidati di Rifondazione in tutti i collegi che rifiutassero l'eventuale ghetto loro destinato ed entrassero in competizione con il centro-sinistra sarebbero destinati a cadere, ma porterebbero un duro colpo per la coalizione.
Una sinistra capace di intendere, come è necessario, le ragioni del moderatismo socialmente più ragionevole non può dimostrarsi incapace di intendere le ragioni di quella parte della opinione di sinistra che si manifesta con un voto per altre forze o con una astensione che ha diversi (e persino opposti) contenuti, ma non è "qualunquistica" ed è comunque perfettamente leggibile con il metodo di una seria analisi sociologica. Per meglio dire, una sinistra che dimostrasse questa incapacità di intendere dimostrerebbe soltanto la propria vacuità e pochezza.
Non si tratta però solo di comprendere le ragioni altrui: per i Ds si tratta di intendere anche le proprie. Al congresso, la maggioranza ha potuto tenere (anche cedendo, per la prima volta, un 20% a sinistra) perché ha giurato - al suono dell'Internazionale - sulla volontà di formare un partito socialdemocratico europeo. Ma non ha senso un partito se esso scompare nelle elezioni politiche. La contraddizione era evidente già allora, ma ora diviene ancor più chiara. A parte i partiti personali che si vanno costruendo nel Paese dal Nord al Sud, la linea referendaria porta necessariamente al partito democratico, seppure con tappe successive, valide a tener buoni i riottosi. È questo il vero obiettivo, dunque. Anche perché se veramente si considerasse necessaria e utile la ipotesi maggioritaria in alternativa al modello tedesco non sarebbe obbligatorio un salto suicida, come quello che si vuol fare nel maggioritario uninominale a turno unico. La proposta del maggioritario di coalizione a doppio turno può pienamente corrispondere alla esigenza di chiarezza davanti agli elettori chiamati a scegliere, per il premio maggioritario, tra due coalizioni diverse contemporaneamente salvaguardando le esigenze di rappresentanza per chi rifiuti la coalizione. E non è neppure questa l'unica strada, date le possibili varianti, se si vuole conciliare rappresentanza e governabilità. Ma se passa il referendum, il vincolo diventerà soffocante e respingerlo a me pare doveroso.
C'è un motivo in più per respingere il referendum: lo lascio per ultimo, perché può apparire - come si dice - puramente "formale" (anche se si tratta, in realtà, di corposa sostanza). La decisione di ammettere il referendum perché esso è stato respinto "solo" dal mancato raggiungimento del quorum e non da una maggioranza di "no" è, a mio giudizio, non solo una forzatura della legge, ma un suo reale stravolgimento. Se viene stabilito un quorum, come tutti sanno, non ci sono solo due voti, ma tre: il sì, il no, l'astensione. Questo è l'unico caso in cui l'astensione, comunque motivata, è un voto. Ignorarlo significa far prevalere sul diritto altri tipi di convincimento.
Non si tratta di vacua "forma". Mi stupisco del vasto silenzio dei molti che pure si strappano le vesti giurando sulla liberal-democrazia. Questa non può esistere senza rispetto delle norme. Anche per questo motivo - oltre a tutte le ragioni di merito - a me pare che questo referendum vada respinto. Per quanto mi concerne, rifiuterò la scheda che lo riguarda quando essa mi sarà porta nel seggio.

La democrazia interna dei partiti (Sergio Santoro)Consigliere di Stato
1. Firenze, nel Rinascimento, per diversi decenni fu governata da esponenti della famiglia de i Medici, nonostante nessuno dei suoi appartenenti, salvo poche eccezioni, vi ricoprisse alcun incarico pubblico. Questa specie di “signoria occulta” si poté realizzare mantenendo, sul libro-paga della storica famiglia di politici-banchieri, i cosiddetti "accoppiatori", cui competeva istituzionalmente la redazione delle liste (dette "borse") ove erano inseriti i nomi dei legittimati al sorteggio alle candidature alle varie cariche pubbliche della città e dello Stato, come allora si usava. Sulla carta, tutti i cittadini in possesso di determinati requisiti obiettivi avrebbero potuto accedere alle varie cariche, ma i Medici, attraverso gli "accoppiatori", individuavano i cittadini da inserire nella "borsa" (una vera e propria lista) tra le persone gradite alla "famiglia" ed al suo partito. Gli oppositori, viceversa, non vi entravano mai.
Oggi come allora, la trasparenza nella scelta dei candidati alle competizioni politiche si rivela essenziale per l’effettività del gioco democratico, soprattutto là dove si è affermato il principio maggioritario.
Da quando nella legislazione elettorale nazionale prevale questa tendenza, sempre più spesso, anche per effetto dell’uso improprio e della concentrazione della proprietà dei più incisivi e diffusi mezzi d’informazione, il convincimento e la scelta dell’elettore, anche nei collegi uninominali, si orientano ormai preferibilmente (e paradossalmente) sulla coalizione e sul suo leader, piuttosto che sul nome del singolo candidato nel collegio.
In un sistema così deformato, la selezione dei candidati (e futuri eletti) alle cariche politiche è dunque affidata quasi esclusivamente agli organi di partito, con notevole alterazione dei principi a fondamento del suffragio universale consacrati nell’art. 48 Cost.
La democrazia interna nei partiti, nei sistemi elettorali a prevalente contenuto maggioritario, è divenuta quindi indispensabile per ristabilire l’effettività della sovranità popolare.

2. Il recente riemergere dell'interesse per il problema della democrazia interna dei partiti ha seguito un lungo periodo, dalla Costituente ad oggi, nel quale – sulla base soprattutto sugli atti dei lavori del 1947 - il significato dell’espressione “metodo democratico”, nell'articolo 49 della Costituzione sui partiti, era stato riferito all'attività esterna di questi, piuttosto che alla loro organizzazione, ed utilizzato unicamente per escludere dalle competizioni elettorali quelli che non sembravano ispirarsi a valori democratici.
La recente evoluzione del sistema elettorale verso principi a prevalente contenuto maggioritario ha tuttavia imposto un ripensamento di quell’interpretazione. Ne sono seguite, tra l’altro, alcune proposte di legge d’iniziativa parlamentare, nella XIII (Mancina ed altri, A.C. n. 5326; Salvi ed altri, A.S. n. 3954), e XIV legislatura (A.C. n. 598, Chiaromonte ed altri), tutte essenzialmente centrate su condivisibili metodi e strumenti di democrazia nell’organizzazione interna dei partiti (obbligatorietà di norme statutarie sull’attività degli organi rappresentativi e modalità di selezione delle candidature; scelta dei candidati alle varie elezioni attraverso le “primarie”; comitato di garanti, ecc.), prive però di ogni accorgimento utile ad assicurarne l’effettività, pur nel rispetto dell’autonomia ed indipendenza dei partiti, attraverso la previsione di procedure e strumenti idonei a sanzionare la violazione o l’elusione delle norme e dei principi ivi affermati.

3. Attualmente, in assenza di un’organica disciplina legislativa del problema, attuativa dell’art. 49 Cost., il rimedio comunemente ritenuto esperibile, in caso di violazioni in materia, è quello ordinario dell’art. 700 c.p.c., mediante l’inibitoria, richiesta al giudice dagli interessati (candidati od esponenti del partito ingiustamente pretermessi oppure semplici elettori), della presentazione delle liste o di candidati, in violazione delle norme statutarie, anche con richiesta d’eventuale sospensione e rinvio della consultazione elettorale od esclusione della lista interessata.
Non escluderei peraltro l’esperibilità della tutela cautelare dinanzi i Tribunali amministrativi regionali, tenuto conto che i partiti prevalentemente ricevono finanziamenti statali, svolgono compiti pubblicistici e sono comunque già oggi per lo più tenuti, dalle rispettive norme (per ora solo) interne, a seguire procedimenti di tipo amministrativo.
Sembra poi inevitabile l’effetto indiretto, talora dovuto a prevedibili usi impropri o strumentalizzazioni d’ogni tipo, che simili vicende giudiziarie potrebbero avere sul libero convincimento degli elettori, nell’imminenza delle consultazioni.
Tuttavia, l’interesse prevalente dovrebbe essere sempre quello del rispetto sostanziale ed effettivo del principio democratico e, quindi, oportet ut scandala eveniant.
s.santoro@tiscali.it

Sconfiggere una dimensione della politica che è pura pratica delle classi dirigenti (Bruno Pastorino)Liberazione 24 agosto 2004
Dalla discussione in corso tra noi proporrei di abbandonare alcuni toni e certi temi. Che, per esempio, questo dibattito anticipi e intrecci quello che terremo tra pochi mesi andando a congresso mi pare non solo ovvio ma persino giusto; tanto che non intendo perché certi compagni che dissentono dall'intervista di Bertinotti sdegnosamente lo neghino (non tutti, in verità; Ferrando, se ho ben inteso, propone legittimamente un confronto a tutte le aree critiche), e perché altri continuino a sottolinearlo dando l'errata idea che vogliano scartare il merito delle obiezioni che vengono sollevate proprio quando invece gli si dedica tanto spazio e giustamente, con Liberazione, si promuove questa tribuna.
Ma pure l'enfasi con cui quotidianamente qualcuno dichiara la banalità che sulla guerra non sarebbe ammessa alcuna trattativa è, a voler essere generosi, almeno fastidiosa. Il paradigma pacifista non è prerogativa di alcuni di noi e neppure solo nostra, per fortuna. Vandana Shiva, per dire solo un nome, sul saldo legame tra guerra preventiva e forme odierne del dominio ha recentemente scritto un saggio non a caso intitolato "L'unico imperativo". Ecco, quell'allusione neppure tanto remota alla categoria del tradimento (è già stato ricordato: ieri alla pretesa liquidazione del partito o all'oblio della questione operaia o, aggiungo io, alla presunta abiura ai valori della resistenza e oggi addirittura alla guerra globale), non rende tanto feconda la nostra discussione e, questa sì, certamente la ingessa. Insomma non ci sono bandiere lasciate cadere nel fango e non c'è bisogno di alcuno che si precipiti a raccoglierle!
Forse meglio sarebbe concentrarsi sul vero tema sotteso alla proposta della costituente programmatica; di cui le cosiddette primarie, se non sbaglio, non vogliono che essere un sinonimo e non certo quell'improvvisa infatuazione americana di cui qualcuno crede. Mi pare evidente che in questi mesi in settori non certo marginali del centrosinistra si sia fatta strada l'ipotesi di raccogliere il generoso e diffuso sentimento antiberlusconiano e di utilizzare le costrizioni presenti nel sistema maggioritario per provare a vincere le prossime elezioni politiche senza doversi troppo misurare con il conflitto sociale di questi ultimi anni, le domande e le esigenze di trasformazione che questo ha irrorato e, in ultima istanza, neppure con noi. L'accelerazione tentata col partito riformista, le attenzioni rivolte al progetto neocentrista inteso quale possibile soluzione ad un maggioritario per loro forse ancora imperfetto, le improvvide dichiarazioni alle primarie (quelle sì che davvero ci sono state) di Boston, le considerazioni di Amato sull'antiamericanismo, un editoriale di pochi giorni fa della Repubblica - come al solito alfiere di queste ipotesi - dove il referendum per defenestrare Chavez diventa un pretesto per proporre di liquidare qui e ora la sinistra alternativa sono, per citare solo alcuni esempi, tutte spie di questa propensione.
E l'elenco, come tutti sappiamo, potrebbe lungamente proseguire. Insomma, per le aree moderate del centrosinistra la rendita elettorale sarebbe tale e le condizioni del sistema con cui si vota talmente favorevoli che alla fine della favola chi vuol fare cadere questo governo dovrebbe andare a picchiare per forza lì pure in cambio di nulla. Non è un'ipotesi granché peregrina; è la premessa di quel pendolo che abbiamo dichiarato di voler interrompere e rispetto cui - lo dico sommessamente e attento a non far torto all'intelligenza dei compagni che le propongono - quelle soluzioni tecnico elettorali cui Cannavò suggerisce di disporsi sono assolutamente compatibili.
Pensiamoci. Credo che nessuno ritenga il progetto che ci siamo dati un percorso lastricato di petali di rosa, ma la "soluzione tecnico-elettorale" è la dichiarazione preventiva che per forza il governo di domani se non sarà zuppa sarà pan bagnato. E, mi sia concesso, non vedo proprio perché ci si debba subito rassegnare a questa evenienza.
Qual è la sfida, allora? Io penso quella di contrastare e, possibilmente, sconfiggere una dimensione della politica che è pura pratica delle classi dirigenti; quella di tentare di agire sul collo stretto della contraddizione tra un'alternativa socialmente matura e una forma della politica che la espelle. E' qui che nasce l'esigenza, mi pare, di allargare la platea. E che le proposte di costituente programmatica e costituente alternativa non possono essere considerate rette parallele, ma due espressioni di una proposta unitaria. Diversamente resta la staticità oppure il surrogato di esercizi di calligrafia (i famosi paletti; gli accordi locali che poi è mica vero che sono sempre belli) svolti solo per giustificare il proprio voto negli organismi dirigenti.
E' difficile? Senz'altro si. E varrebbe pure considerare che le resistenze purtroppo non provengono solo dalle opposizioni moderate (non apro questo capitolo, ma ricordo solo l'intervento di Negri su Posse). Qui, mi pare, dovremmo concentrarci. Se, come dice Boghetta, "le primarie sul programma non si faranno mai" e se, aggiungo io, quello che certo non ci occorre è un'inconcludente babele o un evento meramente mediatico, come navighiamo allora tra la loro astratta e inconfutabile necessità e le concrete difficoltà di realizzarle?

LA GRANDE SCELTA IN TRE DOMANDE (Giovanni Sartori)
Sapremo domani chi sarà il nuovo presidente della superpotenza del nostro tempo. Io non mi spericolo mai in previsioni sul giorno dopo: aspetto tranquillamente un giorno. In attesa, vediamo 1) come funziona il processo di selezione di un presidente americano, 2) quale sia l’effettiva «potenza», l’effettivo potere, del cosiddetto uomo più potente del mondo, 3) che differenza fa che il vincitore sia Bush jr. oppure Gore. Come si sa, il presidente Usa emerge da un complesso ed estenuante seguito di elezioni primarie. Chi le vince, le primarie? Intanto, chi ha la forza fisica di un toro. Per quanto bravo, un «fragilino» non ce la può fare: invece di finire alla Casa Bianca finisce molto prima in ospedale. E poi, secondo, vincono i soldi, vince chi ha più soldi. Si calcola che l’insieme di queste elezioni sia costato circa un miliardo di dollari. Sarà che io sono all’antica, ma a me la cifra sembra non solo enorme ma anche abnorme. Perché sono ormai i soldi che costruiscono i candidati. Ne pagano i discorsi (scritti per loro dai ghost writers , da estensori occulti), ne pagano i sondaggi che li pilotano, ne pagano gli spot pubblicitari. Tutto diventa fasullo.
Sia chiaro: esistono procedimenti di scelta peggiori delle primarie. Ma è altrettanto chiaro che le primarie non favoriscono i migliori. Stavolta il candidato di spicco era (a detta dell’ Economist ) John McCain; ed è lestamente restato a terra. Gli americani si terranno le loro primarie; ma non mi sentirei di raccomandarle in giro. In termini di costi-benefici sono un disastro.
Secondo: quanto «può» un presidente americano? Il suo è davvero un potere forte? Sì e no. Se la sua è una «maggioranza indivisa», e cioè se lo stesso partito vince la presidenza e il controllo del Congresso, allora il presidente è forte, relativamente forte. Se invece si dà una situazione di maggioranza divisa (presidenza democratica e maggioranza repubblicana, o viceversa), allora abbiamo un divided government , un governo diviso, e per esso un presidente relativamente debole. Si deve sempre dire «relativamente», perché nel Congresso americano la disciplina di partito è rilassata. Pertanto il Congresso non obbedisce al «suo» presidente più di tanto, ma nemmeno lo impiomba, nel caso di governo diviso, più di tanto.
Allora il nuovo presidente sarà forte o debole? Anche questo è un interrogativo apertissimo. Oggi non viene soltanto eletto un presidente, ma anche tutta la Camera dei rappresentanti e un terzo del Senato. Finora la maggioranza del Congresso è stata repubblicana. Ma di poco: 54 seggi su 100 al Senato, e 13 seggi in più (su un totale di 435) alla Camera. Come nulla le maggioranze si potrebbero invertire. È quindi possibile che Bush si trovi contro un Congresso democratico, oppure che vinca un Gore che resta in minoranza. In questa elezione è davvero tutto incerto. Non soltanto chi sarà il nuovo presidente, ma anche se risulterà forte o no.
Intendiamoci: anche un presidente senza maggioranza tanto debole non è mai. Dispone pur sempre di un potere di veto, e assegna motu proprio circa 3 mila posti. Aggiungi che un presidente debole sul fronte interno resta pur sempre cruciale nelle decisioni di politica estera che ricadono sul capo del resto del mondo.
Terzo: che differenza fa, o farà, se il presidente sarà Bush oppure Gore? Ai circa cento milioni di americani che probabilmente non andranno a votare la differenza evidentemente sfugge. Ma c’è. E l’Europa e il resto del mondo hanno ragione di temere l’inesperienza e anche la ciucaggine di Bush nei problemi di politica internazionale. È vero che nemmeno Clinton, in esordio, ne sapeva molto. Ma è stato un quick learner , svelto a imparare. Se vincerà Bush, lo sarà anche lui? In un’elezione piena d’incognite questa è la più grave. E sarà sciolta chissà quando. Non certo domani.

Verso le primarie Ds
Cerreto: "Migliaia di cittadini pisani sceglieranno i candidati dei Democratici di Sinistra" al Consiglio Comunale Pisa, 28/2/2003 Illustrate le modalità per partecipare alle primarie


Conferenza stampa delle grandi occasioni, in casa DS, con i vertici politici e organizzativi del partito cittadino e della Federazione, per presentare l'"evento" politico del 22 e 23 marzo, il fine settimana in cui si svolgeranno le elezioni primarie dei Democratici di Sinistra nel Comune di Pisa. In concreto, tutti i cittadini pisani, iscritti ai DS o meno, potranno recarsi a votare e scegliere, esprimendo fino a tre preferenze, i candidati e le candidate dei DS al Consiglio Comunale di Pisa: decidere, insomma, chi sarà nella lista dei DS il giorno delle elezioni comunali.
"Per partecipare alle primarie - spiega il segretario cittadino dei DS Roberto Cerreto - non serve essere iscritti: basta dichiararsi elettore dei Democratici di Sinistra. Non solo, anche la candidatura alle primarie è aperta a tutti: servono solo venti firme e chiunque può partecipare alle primarie per entrare nella lista dei DS.
Ormai da diversi anni, infatti, il partito pisano, anticipando le scelte nazionali, ha scelto di selezionare i propri candidati attraverso le primarie "aperte", in cui appunto ogni simpatizzante può candidarsi e votare: e la risposta dei cittadini è stata entusiastica. Hanno partecipato a migliaia, in maggioranza non iscritti ai DS: mi sembra la dimostrazione più chiara che quando i partiti si aprono alla società e danno ai cittadini la possibilità di contare in prima persona, i cittadini si fidano di più ed esprimono una grande voglia di partecipare e di farsi sentire.
L'altro elemento che vorrei sottolineare - ha aggiunto Cerreto - è il ruolo delle donne: il regolamento delle primarie stabilisce che il numero delle candidate sarà uguale a quello dei candidati; e anche dopo le primarie, nella lista per il Consiglio Comunale, sarà garantito l'equilibrio tra candidature maschili e femminili. Tutto questo rientra in una strategia complessiva del partito per incoraggiare e valorizzare maggiormente il contributo delle donne alla vita pubblica della città e all'attività politica e amministrativa".
"Per i DS - ha dichiarato il segretario delle Federazione Giancarlo Lunardi - le primarie costituiscono ormai non più l'eccezione, ma la regola, e il nostro partito è impegnato in una battaglia culturale per farle diventare il metodo normale di selezione delle candidature nella coalizione dell'Ulivo: in questo modo, ai cittadini sarebbe data la possibilità di scegliere i candidati, per esempio, anche nelle elezioni politiche e questo aiuterebbe a superare le difficoltà che, nel sistema maggioritario uninominale, essi talvolta avvertono a identificarsi con il loro candidato. Comunque, per quanto riguarda noi DS, abbiamo scritto nel nostro statuto che, ovunque ci siano da selezionare candidature del partito, il metodo sono le elezioni primarie: mi sembra un'apertura di grande significato politico".
"Ma le primarie sono anche un grande fatto organizzativo" hanno aggiunto i responsabili organizzazione della Federazione, Corrado Guidi, e dell'Unione Comunale, Mario Montrone. "Si tratta di allestire decine di seggi elettorali in tutta la città, per dar modo di votare al maggior numero possibile di persone.
Persone che, naturalmente se lo desiderano, potranno da quel momento in poi essere inserite in una speciale banca dati, ai sensi di legge, e informati di tutte le iniziative dei DS, in campagna elettorale o anche successivamente; anche attraverso dei semplici SMS sul loro cellulare, o via e-mail, oltre che in forme più tradizionali. Ma si tratta anche di informare tutti i cittadini pisani di questa opportunità, dei tempi, dei luoghi e delle modalità concrete di preparazione e svolgimento delle primarie; intanto, chiunque desideri avere maggiori informazioni sulle primarie, o sia magari interessato a candidarsi, può rivolgersi alla Federazione DS, al numero 050 45321, o a una delle nove sezioni del partito cittadino".

LE PRIMARIE: MA COSA SONO IN PRATICA? (Guido De Simone) Data di pubblicazione: 22.09.2004
Nella sinistra italiana si fa un gran parlare di elezioni primarie per la scelta del candidato premier e dei presidenti delle regioni. Ma cosa sono le "primarie" e come potrebbero svolgersi è più difficile da spiegare. Ci proviamo con un'introduzione ai vari tipi di Consultazioni Primarie ed alla loro adattabilità al Caso "Italia" illustrata dal presidente del "Comitato nazionale per le primarie".
di Guido De Simone
Le Consultazioni Primarie si svolgono subito prima delle Elezioni e servono a stabilire chi saranno i candidati ammessi nelle rispettive liste elettorali. Difatti, ipotizzando che per ciascuna lista vi siano più "aspiranti" ad essere candidati, tale consultazione stabilisce con metodo democratico chi ne avrà l'onore e l'onere. Dato che le Primarie, si svolgono "a monte", cioè subito prima (da cui l’aggettivo “primarie”), delle elezioni vere e proprie, esse non “riformano” affatto l’attuale sistema vigente, qualsivoglia sia la sua natura. Difatti, sono applicabili a qualsiasi sistema elettorale. Facciamo un esempio con i due sistemi, il "maggioritario" ed il “Proporzionale”.
Nel MAGGIORITARIO in ciascun Collegio elettorale uninominale ogni lista che si presenta ha bisogno di un solo candidato da presentare alle elezioni. Dato per scontato che ci sia più di un aspirante alla candidatura per quella lista, si effettuano le PRIMARIE subito prima dell'inizio della campagna elettorale vera e propria. Gli “Aspiranti Candidati” (elettorato passivo) si presentano (campagna per le primarie) a coloro che dovranno votarli (elettorato attivo) i quali, decretano con il loro voto chi tra essi rappresenterà quella lista elettorale. Il candidato vincente e perciò candidato ufficiale della Lista inizierà, subito dopo, la campagna elettorale di sempre e il suo nome comparirà sulla scheda elettorale per la sua lista.
Nel caso di elezione con il metodo PROPORZIONALE le cose variano di poco. Essendo necessario per ogni Lista in competizione presentare e compilare una lista con più nomi che competeranno sul ben più ampio territorio della Circoscrizione Elettorale (corrispondente ad un’intera Regione o ad una consistente porzione della stessa) e poiché i "voti generici" di Lista (senza indicazione di nominativo) ed anche tutti i voti non sufficienti a far eleggere un nome in lista vanno come resti al primo della lista, partendo dall’alto, che non abbia ancora raggiunto il numero sufficiente alla propria elezione, è chiaro che i favoriti sono coloro che sono in “testa di lista”. Pertanto, le PRIMARIE servono a stabilire in quale ordine gli aspiranti candidati compariranno sulla lista, dal Capolista all'ultimo, e per l’esattezza nello stesso ordine con cui gli “aspiranti-candidati” si saranno classificati per numero di voti presi alle Primarie stesse. Perciò, non vi sarà più un mero ordine alfabetico che segue i primi nomi che tradizionalmente erano considerati i "capolista ufficiali" del partito (non a caso tassativamente decisi dal "vertice" dello stesso) in base alle percentuali di voti di solito presi da quel partito in quella Circoscrizione e che difficilmente variavano di molto. Invece l'ordine di lista sarà frutto di un processo democratico di selezione delle candidature, le PRIMARIE, appunto. Eventuali nominativi eccedenti il numero dei posti in lista e classificatisi per ultimi alle Primarie non saranno ovviamente presenti nella lista e perciò non parteciperanno alle elezioni.
Qui di seguito sono esposte tre caratteristiche, quelle principali, comuni a qualsiasi dei due metodi elettorali sopra descritti, che permettono la scelta di varie opzioni. È ovvio che la differente combinazione di opzioni per ciascuna voce costituisce un ben diverso tipo di Primarie:
1) IN BASE ALL'ELETTORATO ATTIVO (CHI VOTA), LE PRIMARIE POSSONO ESSERE DI VARIO TIPO:
a) CHIUSE: riservate ai soli iscritti/militanti (residenti ed elettori nel territorio interessato) del partito o dei partiti partecipanti in coalizione alla stessa lista elettorale.
b) SEMI-CHIUSE: ai militanti si aggiungono gli iscritti di alcuni movimenti o associazioni di "area" (cioè notoriamente simpatizzanti per tale parte politica (residenti ed elettori nel territorio interessato).
c) SEMI-APERTE: possono partecipare tutti i cittadini (residenti ed elettori nel territorio interessato) che si "iscrivano" anche solo temporaneamente e come simpatizzanti al/i partito/i della Lista o sottoscrivano un protocollo d'appoggio al programma della Lista.
d) APERTE: partecipano tutti i cittadini residenti ed elettori nel territorio interessato, senza alcun necessità di dichiarazione o d'iscrizione o limite o vincolo od obbligo, salvo l'esibizione di un documento che comprovi la residenza nel territorio interessato (quest'ultimo obbligo vale di solito per tutte le altre ipotesi sopra elencate).
2) IN BASE ALL'ELETTORATO PASSIVO ("ORIGINE" DI CHI SI CANDIDA, CIOÈ DA CHI È CANDIDATO):
a) DA PARTE DEL VERTICE NAZIONALE: i candidati sono espressi solo dal vertice centrale del partito.
b) DA PARTE DEI VERTICI NAZIONALE/LOCALE: i candidati sono decisi di comune accordo tra il vertice nazionale e quello/i locale/i.
c) DA PARTE DEI VERTICI/DIRIGENZA LOCALI: un gruppo ristretto della Direzione Locale decide i nominativi in lizza.
d) DA PARTE DELLA ASSEMBLEA LOCALE ISCRITTI: tutti i militanti locali possono indicare candidati.
e) DA PARTE DELLA ASSEMBLEA LOCALE + MOVIMENTI SIMPATIZZANTI: si possono aggiungere nominativi presentati da organismi esterni alla parte ufficiale ma invitati dal partito ad indicare dei nomi.
(NOTA: in questi primi casi, se applicati ad una "Lista di Coalizione" (più partiti che l'appoggino), gli aspiranti potrebbero essere candidati da ciascuno dei partiti partecipanti alla Coalizione e nel caso "2e" tale possibilità si estenderebbe anche dalle relative associazioni esterne ammesse.)
f) DA PARTE DI CHIUNQUE (“EX OMNIBUS"): chiunque può candidare o candidarsi per tale lista in competizione.
In tutti i casi, le candidature andrebbero suffragate dalla raccolta di un determinato numero di firme dei cittadini del Collegio, corrispondenti almeno al quantitativo minimo necessario per l'ammissione alle elezioni secondo quanto previsto dalle norme vigenti per l’elezione a cui le Primarie si riferiscono. Ciò "dirada" di parecchio il numero delle candidature alle Primarie: indicativamente, ove la proposta “ufficiale” del partito non sia condivisa, sono prevedibili da 1 a 7 ulteriori candidature. Oltre sarebbe difficile poiché solo una percentuale minima di elettori (tra il 3 ed il 10%, percentuale che varia da partito a partito e secondo le contingenze) accetta di sottoscrivere una candidatura schierandosi apertamente per una parte politica.
Una considerazione, prima di concludere con l'ultima caratteristica: La configurazione "1d+2f" (PRIMARIE "APERTE" e con CANDIDATURE "EX OMNIBUS", da parte di chiunque) risponderebbe a varie esigenze:
1) Darebbe una "seria" risposta alla sfiducia ed alla delusione dei cittadini nei confronti del sistema politico in genere, i cui comportamenti, la cui incertezza ed incoerenza ha creato una pericolosa distanza del popolo dai partiti e dalla politica, fino al punto di indurne un numero sempre più crescente di elettori a non partecipare al voto. Le uniche controtendenze si sono verificate quando appunto i cittadini hanno avuto la sensazione che il loro voto “contasse” veramente. E le Primarie del tipo suddetto lo consentono definitivamente.
2) Realizzerebbe gli articoli 1, 2, 3 e 49 della Costituzione Italiana (principi, e garanzia della loro tutela, di sovranità del popolo, eguaglianza e centralità di tutti i cittadini nella vita politica e nei partiti), principi fin qui disattesi poiché in Parlamento non sono state mai varate le Leggi Ordinarie che avrebbero dovuto dar loro concretezza.
3) Creerebbe una "naturale" concorrenza tra la cittadinanza ed il partito in termini di qualità delle candidature: se le candidature del partito non fossero sufficientemente valide dal punto di vista dei cittadini nulla più impedirebbe agli stessi di individuarne una o più, alternative alle stesse. Già solo questo creerebbe un cambiamento epocale nei partiti. Infatti...
4) Creerebbe i presupposti stessi della DEMOCRAZIA INTERNA dei partiti, perché:
a) la "base" dei militanti acquisterebbe più importanza del "vertice", dato che i primi saranno i veri protagonisti dell'individuazione delle migliori candidature e della relativa "trattativa" con i concittadini, che conoscono e di cui sanno aspettative, esigenze e timori. La "piramide" gerarchica tradizionale ne risulterebbe capovolta: e' il presupposto primo della Democrazia.
b) Eventuali "dissenzienti" dalla linea del "vertice" possono presentarsi alle elezioni anche per proprio conto ma per lo stesso partito, sia grazie ai militanti locali che lo conoscono e possono credere nella sua opinione, sia grazie ai suoi stessi concittadini che gli darebbero così forza nel partito. Solo in questo modo i partiti saranno il frutto naturale dell'indirizzo dei cittadini sovrani (l'art. 49 della Costituzione è molto chiaro in merito).
c) Di conseguenza, verrebbe a cadere la vera motivazione (il finanziamento è solo un ulteriore "incentivo") che attualmente induce chi non può fronteggiare lo strapotere del "vertice" del partito (Segreteria ed alta dirigenza) e ne abbia le possibilità (seguito di "fedeli") ad "accomodarsi" fuori del partito stesso ed a formarne uno suo (da cui l'attuale numero incredibile di partiti di ogni dimensione).
3) IN BASE ALLA MODALITA' DI SVOLGIMENTO:
a) PER SINGOLA LISTA: si svolgono e sono gestite direttamente dal Partito o dai partiti partecipanti alla Lista. Nel caso "1c", i cittadini partecipanti sono costretti a dichiararsi apertamente e per iscritto come simpatizzanti (se non "temporaneamente iscritti") del/i partito/i di cui vogliano decidere il candidato. Nel caso "1d", sarebbero comunque apertamente partecipanti ad una PRIMARIA "di parte". Queste due ipotesi inducono a pensare ad una partecipazione molto bassa rispetto all'elettorato complessivo, a causa della difficoltà concettuale e culturale degli italiani nello schierarsi apertamente e visti i non proprio ottimi rapporti con i partiti, almeno attualmente, degli elettori in genere.
b) a SESSIONE PUBBLICA GENERALE: di fatto, con la convocazione delle elezioni, vengono convocate anche le CONSULTAZIONI PRIMARIE, per cui i cittadini ricevono un certificato elettorale che ha un apposito tagliando in più che permette loro di partecipare alle PRIMARIE. Tutti le Liste in competizione sono obbligate a partecipare alle PRIMARIE (eventuali deroghe sono da prevedere nella legge istitutiva; p.e.: le candidature indipendenti o di liste mai presentatesi prima o di liste prettamente locali in elezioni a carattere nazionale, ecc.). l'elettore che si reca a votare alle PRIMARIE andrà in un seggio che dovrebbe perciò coincidere con quello cui si recherà circa due mesi dopo per le elezioni vere e proprie. Lì riceve una scheda unica in cui compaiono tutte le liste in competizione con i relativi "aspiranti candidati". Ne potrà indicare uno solo di una sola lista. Quest'ultimo metodo ha le seguenti ripercussioni:
A) Essendo a gestione pubblica, è controllabile e verificabile per legge da parte di chiunque ne faccia richiesta ed il costo è un costo sociale generale, il che evita che si debba autofinanziare con quote di partecipazione le quali si rivelerebbero un'ulteriore dissuasivo alla partecipazione generale dell'elettorato ed una "sperequazione" nei confronti di coloro che sono economicamente "deboli" (pensionati al minimo, disoccupati, poveri, ecc.).
B) La scheda unica tutelerebbe il principio della SEGRETEZZA DEL VOTO. Nessuno può sapere per quale delle liste il singolo elettore ha deciso di scegliere il candidato.
Guido De Simone

COMITATO PROMOTORE NAZIONALE PER LE PRIMARIE APERTE AL POPOLO SOVRANO (Associazione temporanea, senza scopo di lucro ed apartitica, tra singoli
individui).

COORDINAMENTO NAZIONALE "VERSO L'ITALIA DELLE PRIMARIE" (Associazione tra
organismi collettivi favorevoli all'introduzione delle Primarie Aperte).

Sede e Segreteria Esecutiva: Via Savoia, 78 - 00198 Roma
Recapiti tel.:
Direzione Politica: 06.86.20.32.33 - 06.86.32.82.10
Fax: 06.86.38.20.91
Servizio Esecutivo: 06.854.32.41
Portavoce Nazion. (Guido De Simone) Tel. portatile: 0348-3318633
Responsabile Organ. (Umberto Calabrese) Tel. portatile: 0338-4928568
e-mail: guidodesimone@iol.it
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Sito WEB: in fase di costruzione

PRIMARIE E DEMOCRAZIA di LUCA MOLINARI
Alla vigilia di ogni competizione elettorale ci si interroga su quali basi le forze politiche debbano scegliere i propri candidati per le cariche elettive.
Con l’attuale sistema elettorale prevalentemente maggioritario l’importanza della qualità della leadership è stata notevolmente aumentata, anche se pure con il precedente sistema proporzionale la visibilità delle candidature era influente: nessuno può negare che le vittorie del PCI negli anni ’70 fossero legate alla figura del segretario Enrico Berlinguer, oppure che l’aumento del bottino elettorale del PRI nel 1983 non fosse determinato dal fatto che il segretario del partito dell’Edera era anche il Presidente del Consiglio in carica (il cosiddetto “effetto Spadolini”) ed, infine, non si può dimenticare la grande popolarità dei “sindaci rossi” negli anni ‘70-’80: da Novelli (Torino) a Valenzi (Napoli), passando per Zangheri (Bologna) e Petroselli (Roma).
Quindi è molto importante come si selezionano le leadership e la guida di un partito o di una coalizione politica.
Il candidato ad una carica elettiva, a nostro modesto parere, può essere selezionato in due diversi modi che non sono l’uno esclusivo dell’altro, ma vanno utilizzati in due casi differenti che si possono verificare nel momento della designazione dei candidati
Innanzi tutto ci sentiamo in dovere di invitare i nostri lettori (che sono anche elettori) a diffidare di tutti gli uomini della provvidenza che si propongono tramite le cosiddette convention all’americana basandosi solo sulla propria persona: negli Stati Uniti d’America i leader sono il frutto di accordo tra potenti lobby affaristiche e, quindi non sono sempre le persone più adatte a ricoprire le cariche alle quali vengono candidati.
Il primo dei due metodi di scelta proposti consiste nel designare il candidato da parte degli organi dirigenti della coalizione politica con una votazione unanime: il candidato è l’espressione e la personificazione di un determinato programma politico, economico e sociale frutto di un vasto accordo.
Qualora non sia possibile giungere ad un designazione seguendo le modalità espresse in precedenza, in quanto sussistono più candidature rappresentanti differenti sfumature politiche e programmatiche in seno alla medesima area politica, si dovrebbe ricorrere, come avviene nel Regno Unito, ad elezioni primarie:
i vari candidati si confrontano e si sottopongono alla scelta degli elettori e dei militanti che si riconoscono in quella determinata coalizione.
Questi ultimi effettuano la propria scelta tramite un voto che deve essere regolato in maniera trasparente e democratica (ad esempio si dovrebbe chiedere a tutti i votanti che partecipano alle primarie un contributo monetario minimo affinché non si abbiano inquinamenti da parte di elettori di schieramenti avversari).
Questo metodo di scelta impone a tutti i partecipanti, soprattutto a quelli sconfitti una forte fedeltà di coalizione: tutti, vincitori e vinti devono impegnarsi al massimo nella campagna elettorale evitando, gli sconfitti, di presentare liste di disturbo dannose per la coalizione e che rappresenterebbero un tradimento sia dello spirito stesso delle primarie sia della volontà degli elettori.
L’importanza di una scelta trasparente e democratica di un capo dell’esecutivo, dal Premier al sindaco, è importante, perché, soprattutto i sindaci, hanno in sé sia una funzione politica partigiana, sia una funzione amministrativa di rappresentanza che interessa sia chi li ha votati sia chi li ha avversati.
La politica è passione e non “uno sport per ricchi signori”.
Diceva Antonio Gramsci: “Chi vuole costruire il futuro senza ricordare il passato è un costruttore di palafitte”.
Luca Molinari

PERCHÈ NON CREDO NELLE PRIMARIE
Da tempo, soprattutto negli ambienti del centro sinistra, è sul tappeto la questione di introdurre la procedura delle primarie nel sistema elettorale maggioritario italiano. La questione è complessa e presenta moltepllici sfaccetttaure ma certo non può essere respinta o adottata in base a frettolose considerazioni o improvvisate parole d’ordine. Per avviare un dibattito, riportiamo perciò il testo dell’amico liberale Andrea Bitetto che, al di là della sua scelta di contrarietà, è molto ragionato e fornisce spunti per una discussione argomentata dalla quale non crediamo si possa prescindere.

Se scommettete su quale ragazza vincerà il concorso di bellezza, ammoniva John Maynard Keynes, non puntate su quella che vi piace di più, ma su quella che ritenete piacerà di più agli esaminatori. Il ragionamento si applica anche quando si deve scegliere non "la più bella del reame", ma il candidato alle prossime elezioni politiche. Il metodo delle primarie, che gode di grande popolarità nella sinistra soprattutto in quella ulivista, passerebbe il test di Keynes o no?

Prima domanda: perché uno dovrebbe voler votare alle primarie? E' noto il paradosso del votante: votare costa tempo per informarsi, per recarsi al seggio, ecc.; il vantaggio che ogni singolo elettore può attendersi dal suo voto è infinitesimo; quindi in teoria nessuno dovrebbe andare a votare. Se ciò non accade é perché al calcolo razionale si contrappone la soddisfazione di esprimere la propria volontà. Questo nelle elezioni politiche, quelle in cui l'elettore indica da chi vuole essere governato. Quando, come nelle primarie, si indica il candidato che correrà per il proprio partito, la bilancia tra ragioni di interesse e motivazioni alla autoespressione é tutta spostata su queste ultime. Dato che non si sceglie chi ci governerà, le ragioni di interesse praticamente non esistono, conta solo la voglia di manifestare la propria identità politica. E' quindi logico che alle primarie si presentino in pochi, e molto motivati.

Secondo: chi ha diritto a votare alle primarie? Di solito, per evitare abusi o rischi di manipolazioni, si chiede di registrarsi, eventualmente versando un piccolo contributo. In tal modo si introduce un elemento che ulteriormente riduce il numero dei partecipanti e favorisce ulteriormente la selezione a favore dei più politicizzati. Corollario: poiché nelle primarie non è determinabile il numero degli aventi diritto, per definizione nelle primarie non esiste l’astensione, che è invece anch’essa l’espressione di una volontà politica di cui si deve tenere conto.

Conclusione: l'insieme di chi partecipa alle primarie non é un campione significativo dell'insieme di chi ha diritto di partecipare alle elezioni; il risultato delle primarie non può in alcun modo essere preso come un sondaggio indicativo delle preferenze degli elettori. La probabilità che la differenza tra risultato delle primarie e risultato di un sondaggio sia elevata, é tanto maggiore quanto meno omogeneo é l'insieme di tutti gli elettori quanto a preferenze verso i candidati. Se poi la propensione a partecipare alle primarie é positivamente correlata alla preferenza per un determinato candidato, aumenterà ancora la differenza tra il profilo politico del candidato che raccoglie i maggiori consensi alle primarie, e il profilo di quello che può raccogliere i maggiori consensi nelle elezioni. In questo momento a sinistra si constata: poca omogeneità, profonde divisioni di natura ideologica; forte correlazione tra ben identificabili scelte ideologiche e preferenze politiche e propensione a votare alle primarie. Ci sono dunque tutte le condizioni perché il tipo di ragazza su cui punteranno quelli che assistono al concorso (cioé che votano alle primarie) sia molto diverso da quella che selezioneranno i giurati ( cioè gli elettori). In realtà il gioco é ancora più complicato del modellino di Keynes: perché qui chi scommette non si accontenta di scegliere tra ragazze selezionate da altri, ma vuole fare lui anche la selezione. E questo desiderio, di per sé assolutamente legittimo, non fa però delle primarie un metodo né efficace, né efficiente, né "democratico".

Non é efficace: perché per scegliere il candidato con maggiori probabilità di vincere bisogna spogliarsi delle proprie preferenze personali, per concentrarsi invece a cercare di prevedere le reazioni degli elettori; i quali probabilmente sono più numerosi di un ordine di grandezza dei simpatizzanti, e di due ordini di quanti partecipano attivamente alla vita politica. Questa obbiezione non è certo condivisa da quelli secondo cui scopo dell'azione politica non é vincere le elezioni, ma preservare la propria identità e testimoniare le proprie convinzioni. Lo so, dato che sovente mi è stato ricordato, anche con qualche ruvidezza, dai giornali della sinistra. Qui importa notare come questa visione dell’attività politica sia particolarmente diffusa tra coloro che sostengono il metodo delle primarie.

Non é efficiente: perché manca di un sistema premi punizioni. Se la scelta é stata sbagliata, chi ha votato alle primarie paga solo con la propria delusione. Al contrario un politico che sbaglia la scelta paga, o dovrebbe pagare, con la propria carriera. Egli ha dunque un incentivo razionale e non solo emotivo a scegliere il candidato giusto. Il sistema elettorale uninominale maggioritario potrebbe far pensare ad analogie con le primarie americane. Ma l'analogia è fuorviante. Quel che fa la differenza è che lì le primarie si applicano a un sistema bipartitico. Dunque misurano l'influenza dei diversi covenant di un medesimo partito all'interno di una stessa costituency. in caso di sconfitta elettorale del candidato prescelto, scatta in maniera inesorabile l'inevitabile diminutio - a livello locale, e nel partito - del covenant che aveva indicato il candidato. Da noi, con coalizione multipartitiche, le primarie inevitabilmente misurerebbero invece l'influenza dei diversi partiti dell'alleanza. E in caso di confitta è inevitabile che non scatti alcuna responsabilità, potendosi attribuire l'esito alla molteplicità contraddittoria dei comportamenti degli alleati.

Non é "democratico": a dispetto dell'apparenza. La sovranità é nel popolo degli elettori, non nel popolo delle primarie. Quello di poter scegliere da chi essere governati é un diritto: se il candidato che esce dalle primarie é diverso da quello che potrebbe avere il voto della maggioranza, la conseguenza per lui é che verrà bocciato, ma per gli elettori è di trovarsi privati del diritto ad essere governati da un candidato a loro gradito.

E’ comprensibile che le primarie possano acquisire grande importanza agli occhi di chi oggi a sinistra intende innanzitutto scrivere "regole dello stare insieme", per risolvere il travaglio dei conati cui assistiamo da un anno e mezzo a questa parte. E’ legittimo chiedere che la selezione del candidato sia fatta in modo efficiente e trasparente. Le primarie solo in apparenza soddisfano queste esigenze. Vincere le elezioni, con chiari meccanismi di responsabilità in caso di sconfitta, è però tutt'altro paio di maniche.

Andrea Bitetto

novembre 2002

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