martedì 9 settembre 2008

Il principio di legalità e la fuga continua dalle regole

IL PRINCIPIO DI LEGALITA’ E LA FUGA CONTINUA DALLE REGOLE
intervento di Claudio Nunziata
Bologna, 11 settembre 2008

seminario della Cgil “I vincoli del patto costituzionale di fronte alle trasformazioni economiche e sociali. Le responsabilità della Politica e quelle del Sindacato"

La storia non ci regala sempre condizioni di progresso, eppure con il cambiamento dobbiamo misurarci. Dovremmo trovarci nelle condizioni di vedere affermati nuovi diritti ed invece siamo costretti a difendere la Costituzione da continui rischi di svuotamento.
I nuovi cultori del diritto forse inventeranno la categoria delle norme costituzionali “desuete”, categoria speculare a quella delle norme programmatiche creata negli anni ’50 per impedirne l’attuazione. Ma le pratiche di svuotamento sono tante.
Inutile opporsi ai fattori oggettivi di cambiamento che presentano aspetti di rigidità insuperabili, ma dobbiamo opporci allo svuotamento della Costituzione.
A fronte delle complessità dei processi di cambiamento è necessaria una analisi del loro reale significato, spesso difficile da decodificare da parte di un profano, ma anche da parte di quei politici troppo legati agli schemi ideologici sui quali hanno costruito la propria immagine.
Bisogna individuare i caratteri delle rigidità del cambiamento, verificare se rischiano di alterare le condizioni dei lavoratori, verificare se essi non possano essere governati ed in quale misura ed a quali costi possano essere contrastati.
Ed a fronte dei mutamenti sui quali non è possibile intervenire occorre studiare regole per attutirne gli effetti e renderli conformi ai principi costituzionali.
L’equilibrio tra rigidità divergenti può essere difficile, ma con questa esigenza bisogna misurarsi.
I parametri di riferimento di questo equilibrio sono i principi costituzionali che pongono il lavoro come tema fondante della Repubblica (art.1) e come ineludibili le sue garanzie (artt. 4 e 35-40) e la tutela ancora più elevata stabilita dai trattati europei con la affermazione del diritto del lavoratori ad operare anche per il miglioramento delle condizioni di vita.
Il Sindacato, in quanto soggetto collettivo di grandi dimensioni presente in tutti i settori della società, ha sotto questo profilo grandi potenzialità, in quanto è nelle condizioni di attivare sensori in ogni settore e percepire i mutamenti in atto. Può dunque essere in grado di cogliere gli indicatori significativi dei mutamenti strutturali.
E’ stato importante il ruolo che esso ha svolto - quando le condizioni politiche lo hanno consentito - affiancando al sistema della contrattazione quello della concertazione. Forse c’è ancora spazio per un impegno del sindacato, sganciato da fasi politiche contingenti.
Occorre prendere atto che pesano sul sistema paese condizioni di illegalità diffusa e di alterazione del quadro dei rapporti di forza tra i poteri dello Stato che accentuano i caratteri di squilibrio a danno dei lavoratori; occorre prendere atto che attraverso operazioni di falsificazione e mistificazione pesano costantemente sui lavoratori i rischi di una falsa rappresentazione delle complessità e che questi insidiano costantemente le scelte politiche che incidono sulla loro condizione.
Vi è una relazione diretta tra questi aspetti e processo di svuotamento dei principi costituzionali.
La costituzione materiale cambia anche attraverso la introduzione nel sistema di una serie di comportamenti diffusi accettati e praticati: la introduzione di una serie di prassi illegali, le interferenze dell’economia legale con un vasto sistema economico illecito, la evasione fiscale diffusa e tutto il network di protezioni istituzionali che favorisce questi comportamenti.
Il corollario sono una serie di luoghi comuni secondo i quali: il pubblico è inefficienza, gli statali sono fannulloni, privato è bello, l’alleggerimento fiscale porta progresso, i giudici violano sistematicamente la privacy dei cittadini, il dibattito politico è la dimostrazione di inaffidabilità di un partito. Su questi ed altri luoghi comuni si è oramai formata una cd opinione pubblica diffusa con la grancassa continua di giornali e tv che li considerano la base condivisa sulla quale si fonda qualsiasi ragionamento.
Vi sono vari piani per tentare di invertire la tendenza in atto: la pressione politica, la concertazione, il potenziamento di una informazione che contrasti i luoghi comuni. Ma soprattutto la legalità deve tornare ad essere uno dei parametri fondamentali della vita civile, deve entrare nei cromosomi del tessuto sociale. Deve essere posta alla base di una grande rivoluzione culturale.
Ma vi sono nel sistema anche altri meccanismi: la battaglia instancabile contro i poteri sommersi che alterano gli equilibri del sistema democratico, la denunzia costante delle prassi illegali che di fatto svuotano di contenuto le leggi; il ricorso costante alla magistratura ed alla eccezione di illegittimità costituzionale, tutte le volte che se ne verifichi la occasione.
Per contrastare il passaggio dal livello della illegalità diffusa a quello dei poteri sommersi, è necessario rafforzare i poteri legali, far vivere una reale partecipazione dei cittadini alla politica, non lasciare solo allo Stato ed alle iniziative dei singoli il contrasto delle illegalità diffuse.
A tale scopo sono certamente utili e necessarie le manifestazioni contro la criminalità organizzata. Ma forse c’è bisogno di qualcosa di più. C’è bisogno di un sostegno convinto a tutte le iniziative di denunzia di illegalità allorché esse presentino una particolare attitudine ad alimentare comportamenti diffusi che svuotano l’agibilità dei diritti.
Se il parlamento riuscirà a mettere il bavaglio ai PP.MM. spostando sulla polizia giudiziaria tutto l’onere della ricerca delle notizie di reato – con il forte rischio di interferenze governative – occorrerà potenziare l’efficacia delle di denunzie dei singoli cittadini.
I singoli possono non avere la forza economica per sostenerle sino in fondo una battaglia giudiziaria e possono essere esposti a ritorsioni, minacce, trasferimenti e mobbing.
E, difatti, di pari passo con il potere della criminalità organizzata e della corruzione, si è creata nel paese una sorta di cultura mafiosa che travalica di molto i territori sottoposti al controllo della criminalità organizzata. Questa cultura alimenta le intimidazioni e scoraggia le iniziative di contrasto. Avvilisce il potenziale di controllo diffuso che possono porre in atto i cittadini che è il più efficace strumento che può assicurare il mantenimento di elevati standard di legalità.
Occorre, dunque, un sostegno “politico” al contrasto delle manifestazioni di illegalità diffusa. A prescindere dall’impegno dello Stato, delle forze di polizia e delle Procure - che da sole non ce la fanno - occorre che siano create e diventino veramente funzionali delle strutture rivolte alla analisi sistematica di quanto di illegale tende a trasformare il paese ed a svuotare sistematicamente i diritti dei cittadini.
Un programma televisivo come “Report” o iniziative di denunzia di qualche altro giornale, il coraggio di qualche associazione o cittadino, la denunzia del ferroviere Dante De Angelis non possono essere lasciate nell’isolamento. Occorre costantemente un sostegno che dia forza ad esse, e non tanto per il merito delle tesi sostenute, quanto per l’affermazione del diritto alla verificabilità di qualsiasi notizia abbia un risvolto di interesse pubblico.
Più sarà forte questo sostegno, più aumenterà automaticamente il suo effetto deterrente e andrà riducendosi la protervia dell’illegalità.
Occorrerà forse anche elaborare una proposta di legge a garanzia di chi chiede legalità contro le ritorsioni mafiose. Ed anche contro il mobbing cui spesso sono esposti i lavoratori che mostrano spirito critico, pratica oramai diffusa attraverso la quale una classe dirigente, spesso inadeguata, si difende dal controllo che viene eseguito all’interno dei luoghi di lavoro.
In questo paese, oltre che una caduta generale del livello di legalità e correttezza, vi è una crisi profonda della classe dirigente. Vi è una classe dirigente priva di cultura dell’organizzazione, spesso incapace di interpretare i processi del cambiamento, di rendere più funzionali i sistemi complessi.
Certo, chi ha compiti di responsabilità deve essere in grado di assumere decisioni, ma anche di misurarsi con il contributo critico e la richiesta di correttezza e di legalità, che devono tornare ad essere i caratteri ineludibili di una classe dirigente.
Certamente occorre una continua evoluzione nella formazione delle leggi, un continuo aggiornamento delle regole, ma anche un circuito virtuoso di controlli che regoli il sistema impedendo ad uomini e regole di perdere di vista i principi ed il contatto con la realtà.
E il controllo critico dei cittadini e i principi costituzionali devono sempre fungere da pompa di valori per vivificare il senso delle regole.
Da quando si è abbandonato il criterio della indipendenza della dirigenza pubblica dal potere politico e si è aperta la strada allo spool system anche di secondo livello, si è accentuato il decadimento della classe dirigente, che - protetta da un sistema politico che troppo spesso ha proceduto a nomine senza ricorrere al criterio delle competenze - è di fatto svincolata ancor di più da ogni forma di controllo.
La storia della democrazia italiana fornisce la dimostrazione palese di come, dopo il terrorismo e le stragi politiche, si siano evoluti i meccanismi del condizionamento sino al punto da ipotizzare di annullare anche ogni forma di conoscibilità e verificabilità da parte dell’opinione pubblica di tutto ciò che può avere una rilevanza sulla correttezza pubblica.
Queste azioni dirette ad ostacolare l’interpretazione della realtà in determinate condizioni celano talvolta la stessa carica eversiva che in contesti diversi si esprimeva attraverso gli atti di terrorismo indiscriminato.
Oggi la medesima strategia si attua con effetti similari attraverso le strade insidiose della manipolazione dell’opinione pubblica, della falsificazione, ed anche dell’avvilimento di tutti gli organismi di controllo, favoriti dalla concentrazione dei mezzi di informazione in poche mani. Ma anche spostando l’attenzione dei cittadini verso determinate tematiche, con il riduzionismo, con la superficialità, e comunque con il tentativo di prospettare la semplificazione della complessità, che è tipico di chi ha una cultura autoritaria.
Per potere bypassare gli ostacoli creati dalle regole del diritto, si sono diffusi nel nostro paese, come in un sistema feudale, centri di potere alternativi a quelli istituzionali che hanno creato una rete di interrelazioni che agevola le possibilità di condizionamento o di ritorsione.
L'intolleranza verso le regole del sistema democratico ha favorito la formazione di aggregazioni segrete che hanno fatto passare i meccanismi di formazione dei processi decisionali per strade diverse da quelle legali.
Ciò ha consentito da una parte il rafforzamento della economia illegale attraverso il sistema della corruzione dei centri di potere, dall'altra l'emarginazione progressiva e mascherata di coloro che si frapponevano a questo disegno.
E quando queste situazioni continuano a non essere contrastate, si determina la legittimazione della coesistenza, insieme al potere dello Stato, di centri di potere paralleli ed il prevalere della tentazione di lasciare che ciascuno di questi poteri regolamenti in modo autonomo i propri ambiti di influenza.
Così si sono create nuove categorie sociali caratterizzate da ben precisi interessi:
una vasta area prettamente criminale con distinti livelli, dominanti ed esecutivi, tenuti insieme da ben precise caratterizzazioni culturali;
una area di professionisti, commercianti ed imprenditori tenuti insieme dal collante dell’evasione tributaria;
un vasto ceto che vive sulle rendite finanziarie e sulla vocazione di erodere il risparmio dei lavoratori,
un sottoproletariato privo di rappresentanza,
un vasto ceto medio, formato da operai ed impiegati, a rischio di progressivo impoverimento e perdita della propria identità sociale.
Una società così strutturata non può avere futuro e non può aspirare ad alcuna forma di cambiamento verso condizioni di progresso a livello europeo.
E mediante messaggi e slogans suggestivi di varia natura, si forma intorno a questi ceti anche una cultura del consenso sicché coloro che svolgono funzioni di controllo di legalità vengono di fatto posti nelle condizioni di non agire. Se lo fanno, vengono aggrediti da certa stampa e da schiere di parlamentari che se ne servono.
Ed è possibile immaginare la condizione in cui vengono a trovarsi quei pubblici funzionari che non hanno le stesse tutele dei magistrati. Nella migliore delle ipotesi, se mostrano determinazione, si procede nei loro confronti al trasferimento o all’attribuzione di funzioni che non possano creare dei problemi.
Tutto questo genera perdita di fiducia e la mancanza di fiducia porta al totalitarismo e – come icasticlamente ha ricordato Edgard Morin - alla necrotizzazione nella società, alla degradazione della società in massa, in folla di persone slegate tra loro.
Solo una società trasparente, che reagisce, potrà ripristinare un clima di piena fiducia nei confronti dei meccanismi della politica. E più nella società si ripristinerà la fiducia, più questa tenderà a svilupparsi.
Servendosi degli strumenti del diritto è, dunque, indispensabile distruggere, il potere che l’illegalità ha nella società italiana. Una azione del genere ha tale portata innovativa da realizzare di fatto una vera e propria rivoluzione, in grado di rivitalizzare radicalmente la possibilità di sviluppo dei diritti e di ripristinare la fiducia nello Stato.
Credo che il sindacato possa diventare un sindacato dei diritti in senso più ampio, dove la tutela del posto di lavoro e del salario non possano essere considerati disgiunti da tutto ciò che influisce sulle condizioni di vita. E ciò per una ragione molto semplice: perché oggi non solo si tende a svuotare sempre di più la tutela del posto di lavoro, ma anche a realizzare attraverso prassi deboli uno svuotamento anche di quel complesso di diritti di cittadinanza che se singolarmente azionati rimangono deboli, mentre se esercitati collettivamente possono diventare forti.
Il sindacato con la sua organizzazione deve supportare i lavoratori in questa esigenza di interpretazione delle complessità, fornendo strumenti di analisi e di decodificazione di cui il singolo non può disporre. Può avviare un circuito virtuoso per il controllo diffuso di legalità, identificando tutte quelle situazioni che prescindendo dai casi singoli si atteggiano come prassi sistematiche di illegalità produttive di distorsioni sociali.
Nella Carta sociale europea firmata a Torino il 18 ottobre 1961 e nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989, vengono definiti come obiettivi l’allargamento dei diritti sindacali a tutto ciò che attiene al “miglioramento delle condizioni di vita…al dialogo sociale…al progresso….alla riduzione della emarginazione” . Ne consegue che i lavoratori ed il sindacato diventano titolari anche di un diritto ad esercitare un controllo diffuso affinché questi obiettivi si traducano in realtà.
D’altra parte se viene riconosciuto il diritto di sciopero, che rappresenta il diritto a reagire a difesa della propria condizione, il diritto di denunzia può a maggior ragione essere considerato una forma attenuata di reazione dei lavoratori.
L’attenzione dovrà essere quella di incanalare questo controllo diffuso in forme lecite e non dispersive. Preparare i lavoratori ad esercitarlo in forme adeguate, ma soprattutto metabolizzarlo attraverso un processo di razionalizzazione che trasformi i temi personali in temi generali.
Il sistema Italia potrà migliorare solo se sarà stimolato da una capacità critica costante, se si attrezzerà per avere la capacità di resistere alle critiche rivolte a una classe dirigente che si è dimostrata spesso non all’altezza della situazione ed incapace di adeguare le strutture organizzative ai mutamenti del sistema economico, sociale ed alla evoluzione tecnologica.
Ma questo controllo critico diffuso – in una fase di grave avvilimento della capacità di denunzia dei media – potrà essere esercitato in misura adeguata solo se saranno assicurare delle tutele adeguate.
Se non si riuscirà ad includere nel sistema delle apposite norme di tutela, occorrerà comunque predisporre nei meccanismi organizzativi affinché ciò possa avvenire nelle forme più efficaci possibili e spingere sul piano della evoluzione giurisprudenziale e dell’applicazione delle garanzie costituzionali.
Il sindacato ha un enorme vantaggio, ha una ramificazione estremamente diffusa che consente di percepire e cogliere il senso delle disfunzioni anche all’interno delle strutture ove le stesse si verificano. Ed allora occorre che questo potenziale informativo sia utilizzato per stigmatizzare tutte quelle pratiche di approfittamento che avviano processi di illegalità sistematica.
Ci si potrà chiedere se questo fa parte del ruolo del sindacato. Io penso di si e penso anche che sarebbe utile che il sindacato periodicamente intavolasse – e non solo a livello generico in sede nazionale, ma intervenendo sul concreto nelle sedi periferisce - tavoli di confronto al fine di indurre le PP.AA. a funzionare secondo standard di alta qualità quali competono ad un paese moderno.
Senza che alcun settore ne resti escluso. Ad esempio il sistema di legalità ha vitale bisogno di un servizio giustizia che funzioni. Il dibattito sulla giustizia è intossicato dalle esigenze personali del premier. In questo clima il ceto politico non ha la forza di proporre la riduzione dei casi di impugnazione delle sentenze e un radicale adeguamento della dirigenza giudiziaria alla cultura della organizzazione, che sono gli unici rimedi concreti in grado di restituire vitalità al sistema giustizia. Il Sindacato può denunziare a gran voce questa contraddizione, come può richiedere con forza ai partiti democratici che gli strumenti di partecipazione politica diventino realmente effettivi.
Un supporto alla decodificazione di una realtà complessa e una azione di denunzia civile costante possono ridare vitalità ai principi costituzionali e fornire una grande prospettiva di incremento di importanza al ruolo del Sindacato.

Claudio Nunziata
claudio.nunziata@fastwebnet.it