lunedì 16 febbraio 2009

La acquisizione della notizia di reato nel progetto di riforma del cpp

Claudio Nunziata

Attribuendo alla polizia giudiziaria il potere esclusivo di individuare le notizie di reato e scindendo il momento della sua acquisizione della notizia di reato da quello di esercizio dell’azione penale, si svuota di fatto il principio di obbligatorietà di cui all’art. 112 Cost
Innanzitutto perché si circoscrive l’ambito di coloro che possono individuare un reato e poi perché si esclude proprio il PM che è l’organo tecnico individuato dall’ordinamento a questo scopo. Un capovolgimento dello schema disegnato dal cpp del 1988.
A fronte dell’interesse dichiarato ad eliminare spazi di arbitrarietà nella individuazione della notizia di reato, non ci si affida ad una regolamentazione che assicuri principi di obiettività, generalità ed astrattezza, ma ci si limita a spostare questa pretesa arbitrarietà da un organo tecnico, quale è il PM che offre garanzie giurisdizionali, ad un altro organo, la polizia giudiziaria, che queste garanzie non le può offrire. Anzi quelle poche che ha le vengono tolte.
Nella sostanza non viene più assicurata la trasparenza in quella delicata fase di passaggio dalla analisi dei fenomeni criminali alla definizione di un strategia di scandaglio al loro interno. Sarebbe bastato imporre al PM un obbligo di motivazione e di documentazione sul processo di acquisizione della notizia di reato ed automaticamente la previsione di una futuro controllo avrebbe eliminato la possibilità di qualsiasi abuso. Essa è oggi implicita nei criteri di priorità che completano un sistema di controlli sull’operato del PM, perseguito anche mediante gli strumenti dell’accentuazione del vincolo gerarchico tra sostituti e capo della procura e la temporaneità degli uffici direttivi con verifica dei criteri di gestione dopo quattro anni. Sarebbe stato sufficiente quanto meno aspettare gli effetti di questa riforma da poco entrata in vigore ovvero indicare parametri più puntuali di verifica da parte del CSM .
Le norme proposte denunziano invece tutte una sola e maniacale aspirazione: avvilire il ruolo del PM. Esse, però, perseguono anche il risultato diverso, e non dichiarato, di indebolire il meccanismo di repressione dei sistemi criminali e pregiudicano pesantemente le garanzie giurisdizionali del processo penale, con un risultato finale di realizzare il contrario dell’obiettivo che si assume di volere perseguire.
Saremo tutti esposti alle scelte persecutorie dell’esecutivo, dal momento che la loro arbitrarietà viene considerata un atto di discrezionalità politica e come tale insindacabile.
Ed, a prescindere dagli abusi che rimarrebbero impuniti, l’analisi dei fenomeni criminali più complessi e meno appariscenti sarebbe condizionata dagli umori politici, dalle esigenze di assicurarsi consenso politico, da una visione settoriale conseguente anche alla parcellizzazione degli uffici di polizia sul territorio ed alla molteplicità dei corpi di polizia esistenti in Italia.
Si ripercuoterebbe sul PM e su tutto il meccanismo della repressione penale un processo di dipendenza oggettiva dalle fonti confidenziali, che è tipico della polizia giudiziaria. Non sarebbero degli specialisti ad imporre gli orientamenti della repressione penale, quanto piuttosto i criminali, anche di calibro, che periodicamente si liberano delle scorie della propria organizzazione, o tentano di liberarsi delle organizzazioni concorrenti per guadagnarsi spazio, mossi spesso da interessi o strategie proprie, delle quali la polizia spesso diventa succube e strumento involontario.
Viene di fatto abolito la garanzia di oggettività data dalla visione generale dei fenomeni criminali su un territorio che ha il Procuratore della Repubblica, in quanto punto di confluenza e di concentrazione delle notizie provenienti dai vari di corpi di polizia e di valutazione della loro bontà, anche con riferimento al relativo ipotizzabile esito processuale.
Una seria attività di contrasto al crimine può essere solo il frutto di una visione generale dei fenomeni criminali che si verificano sul territorio al fine di elaborare vere e proprie strategie di contrasto del crimine, di individuare le centrali che alimentano i traffici e le attività illecite, che sono sempre nascoste dietro una cortina fumogena di mezze figure, di esecutori, spesso intercambiabili e facilmente sostituibili. Questo ruolo di alta competenza tecnica viene affidato dalla Costituzione al Procuratore della Repubblica, inteso come componente di un ordine autonomo ed indipendente rispetto al potere esecutivo.
E questa funzione attribuita al Procuratore della Repubblica sul territorio verrebbe di fatto svuotata, egli non potrebbe più svolgere il ruolo di network di competenze ed informazioni diverse necessarie per superare il limite della parcellizzazione della p.g.. Si creerebbe una dipendenza informativa del PM dalla pg, che impedirebbe il processo virtuoso di approfondimento e di analisi del tessuto criminoso di un determinato territorio. E questa visione complessiva e la possibilità di prendere conoscenza anche di reati minori sintomatici di fenomeni criminali più vasti e complessi consente solo al Procuratore della Repubblica la possibilità di valutare la necessità o meno di svolgere e approfondire indagini che si pongano in un rapporto di progressione criminosa inevitabile con altri fatti criminosi più gravi.
Ma in realtà si ha l’impressione che si voglia impedire che questa attività di analisi venga svolta, sia spogliando il PM del suo potere di iniziativa sia privandolo della possibilità di utilizzare strumenti come le intercettazioni che gli consentano di indagare più a fondo, facendo emergere notizie di reato a catena. Cosa che inevitabilmente avviene ogni volta che l’occhio dell’investigatore va ad esplorare a fondo l’interno di un ambiente criminale.
Non siamo un paese dove i fatti criminali costituiscono esplosioni individuali di aggressività o di antisocialità che possano essere trattati atomisticamente, anche se questi fenomeni, che rappresentano solo la marginalità dell’attività criminale, sembrano essere l’unico obiettivo del nuovo modello di processo penale disegnato dal governo.
Anche quando si considerino reati diversi da quelli associativi e propri della criminalità organizzata, questi sono spesso inseriti in un contesto di relazioni criminali che prevedono a monte ed a valle una rete di complicità in attività strumentali o di sfruttamento criminale, che costituiscono l’unico chiavistello disponibile per accedere alle informazioni sul funzionamento del sistema del crimine organizzato. Limitare la repressione penale solo ai fatti atomizzati ed impedire poi l’approfondimento di questi - con le previste limitazioni all’uso dello strumento delle intercettazioni e di qualsiasi altro mezzo di ricerca della prova azionato autonomamente dal PM - significa favorire le strutture di sfruttamento criminale che rappresentano una parte rilevante del sistema economico di questo paese. Ed anche un vasto bacino elettorale.
La lettura complessiva del disegno di legge governativo rende evidente che esso è oggettivamente destinato non già a proteggere i cittadini da una ingiusta indagine, quanto piuttosto a favorire quell’area criminale che mal sopporta anche la celebrazione di un giusto processo.
Viene capovolta la filosofia del sistema di difesa sociale, tant’è che i cittadini saranno esposti alla umiliazione di poter essere convocati ed accompagnati - se necessario anche con mezzi coercitivi - nell’ufficio del difensore dell’imputato per essere da lui interrogati. Senza nessuna garanzia per il testimone, non essendo prevista la presenza di un cancelliere o di un ufficiale di pg che verbalizzi la sua deposizione, e con una ben scarsa garanzia se è prevista la sola pena della multa (alternativa alla pena detentiva da 15 gg ad un anno) per i difensori che alterino il contenuto delle dichiarazioni rese o presentino al giudice indagini difensive falsificate, là dove la norma generale attualmente esistente (art.374 ter cp) prevede la pena da 1 a 5 anni.
Siamo in una fase di avvilimento progressivo della funzione stessa del processo penale e di svuotamento surrettizio dei caratteri democratici della Costituzione. Un processo di alterazione grave dello stato di diritto e dell’equilibrio tra i poteri dello stato, che peraltro è coerente con l’onnipotenza oramai riconosciuta ad un esecutivo senza più contrappesi.
Attribuire la selezione delle notizie di reato di fatto al potere esecutivo significa lasciare i cittadini esposti ad una discrezionalità politica sottratta a qualsiasi controllo giurisdizionale. Significa condizionare tutto il flusso dell’attività penale al modello monolitico del Capo dell’Esecutivo e del gruppo di potere che vi fa riferimento. Significa esporre tutti i cittadini a possibili ricatti da parte del sottogoverno. Significa chiudere ogni possibile spazio di agibilità per chi intenda affermare posizioni sgradite a chi governa. La dimostrazione è data dagli inqualificabili accertamenti eseguiti nei giorni scorsi nei confronti della Casa di Cura La Quiete di Udine che aveva accettato di rendere eseguibile la sentenza non gradita dal Governo relativa ad Eluana Englaro.
In un periodo di serenità certamente meno compromessa che in questa fase politica, al tempo della Bicamerale, nessuno si sognò di espropriare il PM della pienezza dell’esercizio dell’azione penale. Il testo di riforma costituzionale licenziato dalla Bicamerale prevedeva indicazioni di segno completamente diverso da quello attuale. Affermava:
127 L'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria.
132. Il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale e a tal fine avvia le indagini quando ha notizia di un reato.
Recitava la relazione di maggioranza redatta dall’on.le Boato:
“Si tratta di una tematica di grande complessità, nella quale si intersecano problematiche di equilibrio costituzionale, di garanzia dell'effettività dell'ordinamento giuridico, di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge…”. E ricordava: “che l'articolo 231 delle norme di attuazione del codice di procedura penale - anche aderendo a pronunzie della Corte Costituzionale - aveva abrogato tutte le disposizioni che prevedevano l'esercizio dell'azione penale da parte di organi diversi dal pubblico ministero….. Si è quindi imposta l'esigenza di individuare un meccanismo che, evitando mere petizioni di principio, consenta di porre rimedio a tale situazione, definendo un circuito suscettibile di coinvolgere in modo pieno ed efficace tutti i livelli di responsabilità istituzionale e di rendere effettiva la dichiarata obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale”
Aveva visto giusto il senatore Cossutta nella sua relazione di minoranza affermando:
“Ci sembra che corrisponda ad esigenze di garanzia affidare il delicato potere di iniziativa penale a magistrati esperti di indagini, ma anche formati nella cultura delle garanzie, nell'abitudine al contraddittorio, nell'ascolto delle ragioni di tutti e dei quali sia prevista la soggezione soltanto alla legge.” E aveva visto giusto individuando la pericolosa tendenza pur manifestatasi allora con l'esclusione della sottoposizione del PM «soltanto alla legge» che faceva già temere “il risorgere di pratiche gerarchiche, che possono ricondurci ai «porti delle nebbie» e all'epoca dell'insabbiamento di tanti procedimenti sulle stragi e la corruzione”.
Se vi fosse una reale volontà di assicurare un sistema di esercizio dell’azione penale libero, rispettoso del diritto ed autonomo rispetto al potere esecutivo, sarebbero state quanto meno previste garanzie per gli ufficiali di polizia giudiziaria che vengono chiamati ad esercitare un potere tanto delicato, sarebbe stato previsto uno specifico divieto di interferire con la loro attività, di dare direttive e anche solo di chiedere loro informazioni . Sarebbero state rafforzate le garanzie di indipendenza per chiunque esercita poteri di controllo, di indagine o ispettivi nell’ambito della pubblica amministrazione. Invece contestualmente si tenta di introdurre norme che ampliano i poteri di condizionamento da parte degli organi di governo, abolendo anche quei residui meccanismi di salvaguardia attualmente previsti, per quanto già ridotti e di scarsa efficacia. La riforma difatti prevede la eliminazione del nulla osta da parte del PM e del PG per i casi di trasferimento o promozione del personale e del dirigente della sezione di p.g., circostanza che li espone completamente ai dictat del potere esecutivo.
Lo spostamento in capo alla polizia giudiziaria del potere di individuare le notizie di reato nei confronti delle quali procedere avrebbe richiesto la creazione di un nuovo statuto per la polizia giudiziaria, la sua elevazione ad organo con le stesse garanzie dei magistrati e soprattutto il completo sganciamento di tutti i corpi di polizia dal vincolo gerarchico di carattere militare. Carabinieri e Guardia di Finanza oggi sono anche formalmente ancora sottoposti a questo vincolo che è assolutamente incompatibile con una attività di natura giurisdizionale. E la compatibilità dell’obbligo gerarchico di questi militari a riferire ai loro superiori viene ribadita, prevedendo che l’obbligo al segreto degli atti di indagine assicurato dal disegno di legge della Camera n.1415, abbia una applicazione limitata ai soli casi in cui la condotta criminosa venga realizzata mediante modalità o attività illecite (escludendo quindi i militari tenuti a rispettare il rapporto gerarchico).
Questo principio già desumibile da quanto si è detto è ribadito in una norma che prevede esplicitamente che non potrà più esser fatto alcun uso e svolta alcuna indagine in relazione alle notizie di un reato per le quali, sia pure a fronte di un fatto sintomatico, non siano state individuate circostanza concrete di violazione di legge penali. Significherà per il PM non potere più eseguire autopsie anche quando sussista qualche dubbio sulle cause della morte, non potere eseguire più accertamenti sulle cause di un fallimento, sui risultati di una verifica fiscale addomesticata, sulla denunzia di un privato che non sia stato in grado – come spesso accade - di esporre compiutamente i termini di un grave vicenda criminale di cui sia rimasto vittima. Significherà non potere eseguire perquisizioni alla ricerca di prove nei confronti di persone sospette dopo la commissione di un reato, se questo non sia stato previamente circostanziato dalla p.g. E le relative segnalazioni dovranno essere comunque distrutte.
Attività di approfondimento potranno essere svolte solo dalla polizia giudiziaria, che spesso non è organizzata a farlo o non ne ha la competenza tecnica, o si trova in una situazione di aver bisogno della copertura di un magistrato. Ma soprattutto la polizia giudiziaria sarà tenuta ad agire sulla base degli imput – insindacabili, insondabili e non verificabili - del potere esecutivo. E se non avrà agito, la relativa inattività non sarà sottoposta al vaglio di un giudice. Un capovolgimento completo in un sistema nel quale il GIP, a garanzia dell’applicazione della legge, potrebbe sempre poter rifiutare la richiesta di archiviazione di un PM e disporre che egli comunque proceda ad accertamenti.
C’era solo da razionalizzare il sistema sottraendolo per quanto possibile alla causalità ed inserendovi - al contrario di quanto intende fare il governo - i caratteri di autorevolezza della visione strategica del Procuratore della Repubblica, previamente definiti in via generale e specifica mediante la previsione di apposite procedure, formali, motivate e verificabili al momento del rinnovo dell’incarico.
Operare al di fuori di questo schema significa incidere non solo sull’art. 112 Cost., ma anche su altri principi fondamentali tali dalla Carta Costituzionale, non suscettibili di revisione, in quanto contenuti nella prima parte, quali il principio di eguaglianza dei cittadini e quello di legalità.
Nulla dice il disegno di legge sul potere di denuncia di reato che può essere esercitato da qualsiasi cittadino. Rimane oscuro se la modifica dell’art. 330 cpp comporterà anche una modifica dell’art. 333 cpp con il filtraggio delle denunzie dei privati da parte della polizia giudiziaria. E proprio i cittadini e le associazioni di cittadini potrebbero teoricamente integrare i settori di illegalità lasciati inesplorati dalle omissioni dell’esecutivo se non incombesse su di loro il ricatto continuo della incriminazione per calunnia.
Senza garanzie diverremo un paese ove non si può chiedere conto e dove neanche l’opinione pubblica attraverso la stampa potrà farlo. Dove viene abolita la responsabilità e viene legittimata la possibilità per il potere esecutivo di coprire le illegittimità proprie e della propria base elettorale di riferimento.
La limitazione proposta all’azione penale del PM adombra un messaggio che oserei definire mafioso, nel senso di propensione a coprire invece che a scoprire gli altarini di una classe dirigente che si nega alla trasparenza e tende a nascondere la propria spregiudicatezza.
Questa norma – i cui effetti saranno amplificati a dismisura dalla centralizzazione delle notizie di reato in unica banca dati - è mirata a stabilizzare un controllo pieno sulla società italiana, ad assicurarsi le mani libere e la benevolenza di vasti settori della criminalità economica. E non è senza significato che analoghe iniziative siano state attuate anche in materia fiscale con la centralizzazione dei controlli fiscali e la eliminazione dell’autonomia di accertamento da parte delle Agenzie territoriali delle Entrate.
Proprio in questi giorni anche il Presidente della Corte dei Conti ha manifestato le proprie perplessità in ordine alla nuova normativa introdotta dal ministro Tremonti che limita notevolmente la possibilità per gli uffici finanziari di acquisire gli indispensabili mezzi di prova per gli accertamenti fiscali. Ed ha ricordato la soppressione dell’appena reintrodotto obbligo di allegazione alla dichiarazione Iva degli elenchi clienti/fornitori, che, peraltro, in ragione dell’ormai generalizzata informatizzazione nella tenuta delle contabilità, non avrebbe provocato particolari complicazioni gestionali ed oneri aggiuntivi ai contribuenti, e l’abrogazione di altre norme in materia di limitazione dell’uso di contanti e di assegni, di tracciabilità dei pagamenti e di tenuta da parte dei professionisti di conti correnti dedicati.
Vi è dunque una strategia ad ampio raggio non a favore della libertà dei cittadini, ma della irresponsabilità dei cittadini, nei cui confronti non si vuole sia compiuto alcun accertamento, ma solo che ci si limiti a prendere atto della loro responsabilità penale o fiscale, quando questa sia tanto palese da non potere voltare lo sguardo dall’altra parte, quando chi ha commesso una violazione della legge non siano stato tanto bravo e furbo da cautelarsi.
Un potere invasivo sino all’inverosimile che ha sfiducia in tutte le articolazioni dello Stato ed una autostima smisurata solo in se stesso. Brutto segnale per un paese moderno, per una democrazia, per uno stato di diritto. Questo progetto di riforma invece rischia di cambiare l’assetto del paese introducendo non pochi caratteri tipici di un sistema autoritario.

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