3 novembre 2008 - a cura di Claudio Nunziata
La indicazione di possibili soluzioni ai problemi della amministrazione della giustizia presuppone una analisi corretta su quali siano le ragioni che hanno determinato l’accentuarsi delle sue principali problematiche. E, poiché i dati statistici posizionano la crisi all’indomani delle grandi riforme degli anni che vanno dal 1989 al 2000, è legittimo il dubbio che sia mancata una attenzione a mettere a punto tali riforme con opportuni adeguamenti organizzativi e normativi.
Gli operatori del settore sanno che alcuni interventi realizzati successivamente in modo disordinato e senza sinergie, anziché migliorare la loro portata, hanno creato un sistema caotico; sanno che la non appropriata organizzazione dei servizi ed il mancato supporto di una classe dirigente in grado di gestirli ha depauperato l’enorme potenziale di energie intellettuali investite nel settore; sanno che i continui attacchi alla magistratura, ai principi di legalità e di eguaglianza dei cittadini rischia di appannare definitivamente quelle energie e di trasformare in pura burocrazia l’istituzione giudiziaria. Sanno che la campagna contro giudici fannulloni è strumentale ed al massimo tocca una marginalità di molto inferiore a qualsiasi altro settore. Il modo fuorviante con cui vengono sbandierati dati statistici falsi o erroneamente elaborati dimostra solo il livello di approccio di un ceto politico inadeguato ed animato da prevalenti finalità di delegittimazione.
E’ paradossale che si pretenda di riformare ulteriormente la magistratura proprio nel momento in cui viene applicata una nuova normativa di grande impatto, quella sulla temporaneità degli uffici direttivi e semidirettivi, che ha una effettiva potenzialità riformatrice non ancora sperimentata.
Questa riforma in un arco limitato di tempo ha già dato luogo alla sostituzione di ben 257 titolari di uffici direttivi e 89 di uffici semidirettivi. Un ricambio di tale portata rappresenta un fattore innovativo che non ha precedenti nella storia della magistratura ed è destinato a dare carattere strutturale alla sperimentazione di nuovi modelli organizzativi. Una innovazione vera, che potrà avere delle ricadute significative ed estese, se saranno colti anche i risultati della riflessione già da tempo avviata motu proprio dalla magistratura su indicatori di funzionalità, analitici ed articolati in relazione ai più significativi mestieri del giudice, cui oggi è possibile far ricorso sulla base dei dati monitorati attraverso gli strumenti informatici.
E’, di conseguenza, altrettanto paradossale che da parte governativa vengano proposti modelli di valutazione della laboriosità primordiali (i cd. tornelli) rivolti a misurare la presenza in ufficio di magistrati e dipendenti della Giustizia, di portata ancora più arretrata delle statistiche tradizionali misurate senza tener conto delle diverse caratteristiche (tempi, ponderosità e complessità) delle più significative attività svolte.
Mentre tutto il mondo progredito per misurare le prestazioni intellettuali ricorre a strumenti di valutazione complessi ed articolati (resi fruibili dall’informatica) e valorizza attraverso gli strumenti telematici il lavoro a distanza, si pretende di assumere come unità di misura del lavoro dei magistrati la presenza in uffici disadorni, con scarse strutture e servizi, che non consentono neanche la concentrazione necessaria alla riflessione.
Peraltro, se ciò dovesse significare l’abbandono del ricorso alla utilizzazione dei dati raccolti nelle banche dati, comporterebbe il progressivo impoverimento della capacità delle strutture giudiziarie di tenere a regime la moltitudine di dati che vi sono conservati e di ottenere un ritorno di funzionalità dai rilevanti investimenti realizzati nel settore, peraltro già compromessi dalla riduzione dei necessari impegni economici.
La presunzione di ricavare dalla presenza in ufficio un indice di produttività appartiene ad una concezione da caserma che non attribuisce alcuna rilevanza alla qualità del lavoro, ai criteri di valutazione e verifica delle complessità e si fonda sull’inconfessabile retropensiero secondo il quale non ha senso trarre giovamento dalle energie intellettuali che i magistrati spendono lavorando ulteriormente presso le proprie abitazioni invece di dedicarsi agli affetti familiari. Un giorno il ministro Brunetta ed i suoi soci si sveglieranno e capiranno che l’Italia sopravvive proprio grazie a tante persone che – in tutti i settori - esprimono un elevato senso dello Stato.
Sembra quasi che gli attuali membri del Governo abbiano bisogno di far ricorso ai tornelli per non confrontarsi con le complessità, nella preoccupazione – che solo a loro appartiene - di rinvenire nei risultati di verifiche oggettive limiti alle arbitrarietà cui vorrebbero adeguare anche la magistratura. Brunetta come ministro dell’innovazione è in effetti l’altra faccia di Calderoli ministro della semplificazione: entrambi esprimono un semplicismo disarmante in cui si riassume una concezione medioevale della innovazione e della capacità di governo.
Già il Ministro Castelli si era prodigato - peraltro rivolgendosi a consulenti dimostratisi non in grado di realizzare l’obiettivo - per la creazione di un cd. “cruscotto” rivolto a misurare la laboriosità dei singoli magistrati come una sorta di “tornello dei numeri” analogo a quello suggerito dal Ministro Brunetta. Una iniziativa che non era mirata a produrre alcun miglioramento organizzativo, perché mirava a colpire singoli magistrati anziché intercettare le modalità organizzative sbagliate che producono inefficienza. Non teneva conto, cioè, del fatto che il lavoro dei singoli magistrati dipende dal carattere collegiale dell’unità di produzione costituita dalle sezioni. E non teneva conto che è compito proprio del Ministro della Giustizia assicurare il buon funzionamento dell’organizzazione giudiziaria e mettere a disposizione mezzi e personale adeguato.
Non teneva conto che i problemi dei tempi lunghi della giustizia hanno cause ben diverse e tutte riferibili a fattori strutturali di carattere normativo e organizzativo ascrivibili alla latitanza del Ministero e del legislatore che è chiamato a trovare soluzioni normative per rendere più efficaci le procedure processuali.
Ed invece il Ministro della Giustizia ha avviato la approvazione di un progetto di riforma del processo civile senza alcun confronto con la magistratura, con l'avvocatura e la dottrina, con "lavori preparatori" costituiti da poche righe e qualche stringato resoconto parlamentare, senza considerare la pratica offensiva della presentazione di rilevanti e delicati interventi riformatori all’interno di manovre finanziarie, quasi che vagonate di studi sul tema possano considerarsi una "sovrastruttura" del sistema economico.
La realtà della giustizia italiana non è immobile, è un grande cantiere con enormi disponibilità e formidabili potenzialità cui occorre dare sbocchi meditati. L’amministrazione della giustizia ha una tradizione gloriosa e la produttività complessiva dei magistrati è in continuo aumento. Dagli inizi degli anni 2000 il sistema statistico della Giustizia è andato raffinandosi con un monitoraggio analitico di tutte le attività giudiziarie, circostanza che consentirebbe valutazioni approfondite ai fini della identificazione dei problemi strutturali con conseguente possibilità di adeguamento dei modelli organizzativi di quelle realtà che evidenziano maggiori carenze.
Ma non è un caso che sul sito del Ministero della Giustizia la pubblicazione delle statistiche è ferma al 2005, nonostante esso disponga di dati statistici praticamente in tempo reale. Non è un caso che mancano elaborazioni sul funzionamento delle sezioni e si rifugge dalle indicazioni dei dati aggiornati che possano identificare le serie storiche in grado di intercettare le inefficienze di alcune dirigenze o i modelli virtuosi di altre. In tal modo non è sempre possibile verificare ed eventualmente contraddire i dati, che vengono sbandierati a fini strumentali in modo errato o fuorviante.
Lo spostamento dell’attenzione in misura pressoché prevalente su tematiche giudiziarie che nulla hanno a che vedere con le disfunzioni del Servizio Giustizia - il più macroscopico, a prescindere dal merito, quello relativo alla separazione delle carriere - rende fondato il sospetto di una volontà sottesa di disarticolare il sistema. La assenza di una visibile determinazione ad identificare le defaillance dirigenziali conferma tale sospetto. La inerzia di iniziative parlamentari rivolte alla semplificazione delle procedure e delle fasi processuali è destinata ad accentuare nel prossimo futuro la situazione con l’effetto inevitabile dello spostamento delle energie giudiziarie ancor di più verso quelle procedure meno garantite previste a carico dei soggetti più deboli, verso provvedimenti sommari, cautelari e d’urgenza che lasciano nei fatti privi anche di sostanziale tutela civile le parti meno abbienti che non si trovano nelle condizioni economiche di sopportare i tempi lunghi per ottenere giustizia. E questa situazione aprirà inevitabilmente la strada anche ad una democrazia di carattere autoritario nella quale non saranno più rinvenibili gli aspetti peculiari dello stato di diritto.
Il carattere prevalentemente militare che si tende ad attribuire alle operazioni di polizia, accentuato dall’affiancamento ad essa di militari e dalla esclusiva derivazione militare delle nuove assunzioni nella Polizia di Stato, gli esasperati proclami di membri del governo verso i problemi della sicurezza, la loro amplificazione oltre misura da parte dei media, la prevalenza degli arresti e dell’azione degli organi di polizia nei confronti di tossicodipendenti, fasce di emarginati ed extracomunitari, l’aggressione continua ed esasperata nei confronti delle iniziative dei PM , la accentuazione della loro subordinazione gerarchica e l’impossibilità di utilizzare per ben 5 anni nelle funzioni requirenti e monocratiche i giovani magistrati, accentuano la sensazione di oggettiva impossibilità di perseguire le pratiche illegali più radicate e che più profondamente inquinano il tessuto economico e sociale del paese, lasciando ampia libertà di azione a truffatori, falsificatori, bancarottieri, estorsori, riciclatori, usurai, evasori fiscali e ad una classe dirigente corrotta o irresponsabile, peraltro già tutti graziati per il passato dalla riduzione dei termini prescrizionali e dall’indulto. E pochi si rendono conto che gli effetti di questi benefici aumenteranno la già scarsa efficacia della giustizia penale, essendo destinati i relativi effetti, sfalsati nel tempo, a prodursi ancora per 5 o 6 anni, con il conseguente annullamento del suo effetto dissuasivo, fenomeno questo si, che rappresenta la vera causa produttiva della diffusa percezione di insicurezza.
Nel tentativo di bloccare questa degenerazione istituzionale occorre stimolare un processo di razionalizzazione, che passa necessariamente attraverso la semplificazione dei regolamenti delle cancellerie e lo svecchiamento di tutta le dirigenze giudiziarie, ponendo come condizione insuperabile la approfondita conoscenza delle nuove tecnologie informatiche e dei processi di riorganizzazione, in modo da avviare una efficace gestione di tutti i servizi amministrativi e di cancelleria. Occorre razionalizzare le circoscrizioni ed i distretti giudiziari stimolando l’accorpamento dei piccoli tribunali e delle piccole Corti di appello. Su 166 tribunali ve ne sono ben 77 con meno di 15 giudici in organico, solo 34 tribunali con più di 30 magistrati, 94 tribunali con una popolazione di riferimento inferiore a 250.000 abitanti, 10 Corti di Appello su 29 con meno di 20 magistrati e con una popolazione di riferimento inferiore al milione di abitanti.
Occorre inoltre da subito adottare le necessarie iniziative organizzative e normative affinché siano semplificate le procedute di notifica nel settore penale, e che determinati provvedimenti, quali la emissione di decreti penali, la pronunzia di sentenze di improcedibilità e di prescrizione possano essere automatizzati con procedure standardizzate, bypassando adempimenti che, tenuto conto anche della numerosità della casistica distraggono il personale dallo svolgimento del più impellente lavoro corrente.
Questo passaggio è urgente ed indispensabile perché allo stato la presenza massiccia di fascicoli di questa natura altera con un numero oscuro di non irrilevanti dimensioni i dati statistici e non consente di assumere le adeguate valutazioni organizzative e di produttività. A parità di misurazione della laboriosità vi sono uffici che trattano per la metà processi prescritti (e senza parte civile) ed altri che li accantonano concentrando le proprie energie nella esclusiva trattazione di processi che possono arrivare ad un completo esame del merito. Non valorizzare questa differenza dà luogo a confusione ed errori di valutazione.
A tali esigenze si potrebbe porre rimedio rendendo obbligatorio lo scorporo dei dati dei processi improcedibili e prevedendo la soluzione delle problematiche più impellenti con procedure standardizzate da realizzare:
a. con progetti finalizzati da affidare allo stesso personale in servizio, che dovrebbero trovare adeguate forme di finanziamento. Tale modalità sarebbe certamente meno costosa e più affidabile rispetto al ricorso a personale precario esterno. Inoltre sarebbe in grado di coinvolgere il personale, dare motivazione e contribuire alla efficace organizzazione delle risorse in campo.
b. con il reperimento da uffici pubblici del territorio di risorse umane per integrare le carenze degli organici giudiziari,
c. sollecitazione alle regioni e ad agli altri soggetti locali per la organizzazione di corsi di formazione ad hoc e del necessario supporto tecnico-organizzativo,
d. diffondendo la conoscenza delle buone pratiche e delle potenzialità dei progetti già realizzati in modo da socializzare e rendere più diffusamente efficaci le iniziative positive già sperimentate
Naturalmente nessun problema potrà trovare soluzione se si continuerà ad accrescere il numero dei reati (da ultimo le scritte sui muri per il quale appaiono sufficienti adeguate sanzioni amministrative) e non si procederà alla depenalizzazione di quelle condotte che non manifestano alcun carattere di pericolosità sociale quali quella prevista dall’art. 14 della legge sulla immigrazione clandestina che riempie i tribunali e le carceri con iniziative inutilmente persecutorie, posto che i clandestini che si dedicano ad attività criminose potranno essere perseguiti in base a ben altri titoli di reato.
Anche per il settore civile occorre maggiore determinazione, in particolare automatizzando i decreti ingiuntivi e facendo progredire con gli opportuni investimenti il progetto per il processo civile telematico, in modo da razionalizzare l’attività degli operatori ed accelerare i tempi di alcune operazioni, traducendo le interazioni fra le persone in scambi a distanza mediante strumenti elettronici. Ciò comporterà la completa riprogettazione delle mansioni e dei ruoli, delle diverse unità operative (abolizione dell'ufficio copie, dell'ufficio redazione sentenze, ecc.) ed un recupero di risorse umane da reinvestire in altri settori oggi fortemente trascurati.
La sensibilità verso questi obiettivi dovrebbe essere sollecitata dalla constatazione che lo sviluppo economico viene fortemente appesantito anche dai tempi lunghi della giustizia civile, oltre che dalla preoccupazione dei cittadini verso i problemi della sicurezza, sensibilmente acuiti dalle lungaggini dei processi penali. Ma i segnali che vengono da questo governo non sembrano affatto rivolti a rafforzare una funzione così delicata . Occorre verificare quanto si possa fare prescindendo da questo atteggiamento.
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